Parti: Peppermint Jam Records GmbH c. Telecom Italia S.p.A.
In DANTe, 02-2007, 179
Anno: 2007
Immissione non autorizzata di file musicali sulle reti peer-to-peer — obbligo dell’access provider di fornire le generalità degli utenti identificati tramite dati numerici — sussistenza.
ORDINANZA
nel procedimento cautelare in fase di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. proposto dalla Peppermint Jam Records GmbH con sede in Hannover (O) avverso il provvedimento di rigetto emesso in data 28/29.11 2006 dal Giudice designato in prima istanza di questo tribunale, e contro la NNNN.
Il Collegio;
visti gli atti e documenti del procedimento cautelare; udita la relazione del Giudice estensore;
sentiti i procurati delle parti all’udienza del giorno 9.2.07; sciogliendo la riserva assunta in pari data,
Osserva
La odierna reclamante Peppermint Jam Records lamenta l’erroneità dell’ordinanza di rigetto dell’istanza cautelare dalla stessa proposta contro la NNNN., al fine di ottenere, ex art. 156 bis L. 633/41, l’ostensione dei dati necessari all’identificazione dei fruitori di brani musicali in evasione dei diritti d’autore spettanti ad essa esponente, quale società di produzione musicale titolare dei diritti di sfruttamento di alcuni brani musicali. In termini più tecnici, tale richiesta muove dalla constatazione di supposti comportamenti illegali da parte di vari utilizzatori della rete informatica internet, non potuti identificare completamente per obiettive impossibilità tecniche, ai quali tuttavia sarebbe riferibile una condotta lesiva dei diritti d’autore giacché tali soggetti, attraverso l’uso appositi programmi informatici operavano il cosiddetto upload – ossia un collegamento reciproco incrociato ai dati messi a disposizione da altri utenti della rete in guisa da acquisire tali dati (files registrati nei singoli computer) consistenti in brani musicali registrandoli nella memoria del proprio computer e quindi beneficiando delle registrazioni musicali in evasione dei diritti d’autore. La necessità di ostensione dei dati richiesti alla Telecom scaturiva dall’aver essa esponente rilevato – mediante un apposito programma informatico — l’offerta da parte di molteplici soggetti di brani musicali di cui la stessa aveva la titolarità dei diritti d’autore, e ciò con l’ausilio dei servizi operativi sulla rete internet prestati dalla predetta Telecom.
L’art. 156 bis L. 633141, posto a fondamento della richiesta cautelare della Peppermint, fa riferimento alle informazioni e dati in possesso della “controparte” del soggetto che, sulla base di seri elementi da cui desumere ragionevolmente la sussistenza di una violazione delle posizioni tutelate dalla legge sui diritti d’autore, assume essere stato leso e pregiudicato rispetto a tali diritti soggettivi. Infatti, in tali casi, la normativa di recente introduzione (cfr. art. 3 D.Lgs. 140/2006, da cui origina l’art. 156 bis), ha previsto una forma speciale di tutela dei diritti di proprietà intellettuale ed industriale, fornendo al soggetto leso la possibilità di acquisire – appunto dalla controparte – quegli elementi ed informazioni materiali, rilevanti sul piano probatorio, per ottenere un pieno soddisfacimento del diritto leso, e pertanto in normativa ha previsto la possibilità di obbligare il soggetto — controparte – che direttamente o indirettamente risulti coinvolto nella condotta illecita e lesiva a esibire i dati e le informazioni in suo possesso, relative ai soggetti ulteriori che siano coinvolti nel medesimo illecito.
Tale inquadramento della portata soggettiva della norma in esame consente di limitarne l’ambito operativo ai soli soggetti che, come detto, risultino in qualche modo responsabili anche indirettamente della violazione dei diritti di proprietà intellettuale, con esclusione quindi dalla possibilità di azione ai sensi di tale art. 156 bis L. 633/41 dei soggetti oggettivamente estranei a condotte illecite, in guisa da armonizzare e contemperare l’eccezionalità e specialità della disposizione di recente introduzione, data la portata invasiva intuitivamente insita nella stessa.
Su tali presupposti normativi dev’essere ora esaminato il reclamo interposto dalla Peppermint avverso l’ordinanza di rigetto del ricorso cautelare dalla stessa proposto ai sensi ditale disposizione normativa nei confronti della Telecom; al fine di ottenere da questa gli elementi e le informazioni in suo possesso atte ad identificare compiutamente gli autori della dedotta violazione dei diritti sui brani musicali, di cui l’esponente rivendica la titolarità.
Il reclamo cautelare in premessa è fondato.
Questo Collegio non ritiene condivisibile l’imposizione data dal giudice di prime cure circa il significato da attribuire alla locuzione “controparte” nel testo dell’art. 156 bis citato, ed in particolare il significato esclusivo-soggetto autore dell’illecito lamentato dal ricorrente per la comunicazione dei dati in base alla citata norma speciale. In tale modo, infatti, la norma a aggiungerebbe al normale meccanismo probatorio previsto in generale dall’art. 210 c.p.c., allorché il danneggiato ritenga, sulla base di ragionevoli e fondati elementi indiziari, di ritenere la controparte processuale detentrice di elementi probatori documentali necessari alla completa affermazione giudiziaria del proprio diritto soggettivo e non altrimenti reperibili.
L’introduzione della norma speciale di cui all’art. 156 bis L.A. evidentemente non può essere letta in tale ottica ordinaria, perché superflua e riduttiva rispetto alla ratio e finalità della nuova normativa predisposta ad hoc dal legislatore nazionale recependo la direttiva comunitaria 2004/48/CE del 29.4.2004 in materia dì tutela del diritto di proprietà intellettuale, con la finalità di rafforzare tali posizioni soggettive, appunto enforcement of intellectual property rights.
Va tenuto presente, in proposito, che il legislatore comunitario ha evidenziato, attraverso tale direttiva, una necessità da più parti avvertita di attuare un sistema coordinato ed efficace per il contrasto a livello comunitario della violazione dei diritti di proprietà intellettuale anche attraverso strumenti processuali innovativi, ritenendo insufficienti quelli già esistenti nei vari ordinamenti degli Stati dell’Unione.
In tale esclusiva ottica finalistica, ossia dell’effet utile, va quindi individuata la ratio dell’art. 156 bis L.A. secondo l’impostazione comunitaria citata, dato che, diversamente si ricadrebbe nella logica dell’ordinario meccanismo processuale dell’esibizione documentale prevista dall’art. 210 c.p.c., ovvero dell’ispezione ex ad. 118 c.p.c., esperibile nei confronti della controparte processuale, ossia quella ritenuta antagonista diretta rispetto al diritto azionato. Se così fosse non avrebbe senso alcuno la novazione introdotta dall’art. 156 bis L.A. in esecuzione della direttiva 2004/48/CE in parola.
Non può quindi applicarsi lo stesso criterio sotteso dagli artt. 118 e 210 c.p.c. per ricercare il limite soggettivo di applicabilità dell’art. 156 bis L.A. relativamente all’obbligo di ostensione dei dati posseduti dalla controparte; limite che il primo giudice ha contenuto, come detto, alla parte antagonista del diritto violato e non quale controparte limitatamente allo specifico procedimento di ostensione dei dati: “… l’interpretazione della norma… porta ad escludere che destinatario dell’ordine di esibizione previsto dall’art. 156 bis l. 633/1941 possa essere un soggetto diverso dalla controparte nel giudizio di accertamento della violazione del diritto d’autore che quindi l’ordine possa essere rivolto nei confronti di un soggetto estraneo alla commissione dell’illecito…” cfr. pag. 4 ord. recl.; conseguentemente negando la possibilità alla odierna reclamante Peppermint di ottenere i dati dal provider NNNN in quanto terzo estraneo alla violazione dei diritti lamentata dalla Peppermint.
Lo stesso giudice a quo consolida la propria interpretazione con riferimento all’art. 8 della direttiva 2004/48/CE, dal quale trae argomenti di ulteriore convincimento della correttezza dell’interpretazione restrittiva dallo stesso accolta, ritenendo che tale direttiva contenga il riferimento alle “informazioni sull’origine e sulle reti di distribuzione di merci o di prestazioni di servizi” fornite “dall’autore della violazione”, e dunque pervenendo alla convinzione della portata dell’art 156 bis LA. all’esclusivo ambita endoprocessuale (cfr. pag. 6 ordin.), ossia nei soli confronti degli autori della lesione.
Siffatta interpretazione non è condivisa da questo Giudice.
Ritiene, infatti, il Collegio che siano enucleabili argomenti di natura contraria a detta interpretazione proprio dalla stessa direttive comunitaria analizzata dal primo Giudice, nella parte in cui si prevede la possibilità di ottenere, tramite l’autorità giudiziaria, dati e notizie sull’origine e sulle reti distributive di merci e servizi in violazione di diritti intellettuali, oltre che dall’autore della violazione, anche da “ogni altra persona” che si trovi nelle condizioni materiali descritte dai punti a) b) e c) del testo dell’art. 8 citato; ossia: dai soggetti trovati in possesso di merci ovvero utilizzatori di servizi in violazione di un diritto su scala commerciale, ovvero soggetti che forniscano servizi utilizzati per la violazione dei diritti.
Già questa iniziale rilevazione del testo normativo comunitario fa ritenere applicabile l’obbligo ex art. 156 bis LA. anche a soggetti diversi dai diretti responsabili delle violazioni, posto che dall’autore della violazione ed altri soggetti indicati dalla norma non può sussistere una terza categoria soggettiva, e dunque deve trattarsi necessariamente di soggetti a cui nessuna violazione di diritti intellettuali è imputabile.
Ciò significa che la portata dell’art. 156 bis L.A. è ben più ampia, dal punto di vista soggettivo, dell’ambito endoprocessuale ritenuto, viceversa, assorbente dal primo Giudice, considerato che la locuzione “controparte” indicata dalla norma può trovare una ratio coerente col sistema di origine comunitaria solo estendendo anche a soggetti diversi dagli autori della violazione l’obbligo di comunicare i dati in loro possesso al soggetto leso nel diritto intellettuale, poiché diversamente opinando non si potrebbe assegnare alcun significato logico-giuridico al riferimento fatto dal legislatore comunitario con l’art. 8 della direttiva citata al soggetto autore della violazione e ad altri soggetti. Quindi l’unica possibilità per dare un significato compiuto a tale disposizione solo quello sopra indicato.
D’altra parte l’ampiezza potenziale dell’indicazione fornita dalla direttiva trova un contemperamento concreto proprio dalle fattispecie materiali specificate nella stessa norma, giacché non tutti i soggetti terzi – non autori – della violazione possono essere destinatari di detto obbligo di comunicazione, ma solo quelli che si trovino in una relazione materiale con i beni e servizi oggetto di violazione speciale. Infatti, le ipotesi ivi descritte ai punti a), b) e c) attengono tutte a situazioni materiali differenzianti tali soggetti da tutti i terzi, e che giustificano l’obbligo di ostensione dei dati in loro possesso anche in assenza di elementi di responsabilità della violazione del diritto di proprietà intellettuale.
Appare evidente, infatti, che la previsione di specifiche condizioni materiali da parte del legislatore comunitario deriva dalla necessità di contemperare gli interessi e le posizioni dei soggetti coinvolti in tali vicende, ossia il danneggiato e i soggetti diversi dall’autore della violazione, tenuto conto proprio della portata invasiva dell’obbligo di ostensione ex art. 156 bis L.A., che non avrebbe senso adottare ove ci si riferisse all’autore della violazione.
La migliore conferma della tesi qui accolta è fornita dal punto d) della medesima norma comunitaria, ossia laddove si individua il soggetto destinatario dell’obbligo di ostensione anche in coloro che vi siano stati meramente indicati dai soggetti cui sono imputabili le condotte di cui ai punti a), b) e c) come implicati nella produzione fabbricazione e distribuzione dei prodotti o servizi in violazione dei diritti d’autore.
Alla luce delle considerazioni espresse, appare evidente il senso e le finalità dell’art. 156 bis L.A., quale norma di derivazione comunitaria, di strumento necessario al soggetto leso nei diritti di proprietà intellettuale per poter ricostruire l’illecito commesso nei suoi confronti sia sul piano soggettivo degli autori della violazione, che su quello oggetto della più completa e reale portata della condotta illecita. Infatti, solo attraverso la completezza dell’accertamento e della tutela verso tale tipo di illecito è possibile interrompere gli effetti lesivi dell’illecito attraverso il perseguimento di tutti i soggetti eventualmente implicati in questo.
La norma ha quindi una finalità strumentale alla predisposizione della tutela futura nei confronti degli autori della lesione sicché l’espressione controparte contenuta in questa non può essere intesa come parte responsabile dell’illecito, ma come soggetti che in relazione alla particolare relazione con la cosa e i servizi oggetto di violazione siano in possesso di elementi utili all’individuazione oggettiva e soggettiva dell’intera condotta illecita lamentata dal ricorrente. In altro modo la norma verrebbe sostanzialmente svuotata di significato e sopra tutto di concreta utilità preprocessuale verso l’instaurazione del giudizio di responsabilità verso gli autori della lesione.
Se intesa come riferita ai soggetti che appaiono già di per sé autori dell’illecito; la norma non avrebbe senso alcuno dato che non rafforzerebbe (come voluto dalla direttiva 2004/48/CE) il sistema di tutela già esistente, posto che il sistema processuale dell’esibizione e/o ispezione già consente di proporre nei confronti degli autori di qualsivoglia illecito (ed anche di terzi) richieste di comunicazione di dati e rilevazioni di beni ed cose in genere (cfr. art. 118 e 210 c.p.c.), oltre che iniziative cautelari di contenuto inibitorio. Non appare pertanto logico ritenere che il legislatore dell’art. 156 bis L.A., in un ambito caratterizzato dalla forte specializzazione e sopra tutto dall’esigenza di rendere effettiva la tutela ditali diritti, abbia adottato una scelta il cui senso pratico si risolve nella riedizione del normale diritto all’esibizione già presente nei sistema, dovendosi necessariamente attribuire un significato ben più, ampio e pregnante prevedendo un diritto all’esibizione esperibile anche verso soggetti terzi, col solo contemperamento della relazione materiale in cui questi vengano a trovarsi rispetto ai beni e servizi oggetto di violazione, come indicato nei punti a), b), c) e d) deIl’art. 8 della direttiva 2004/48/CE.
Nella stessa direzione anche il contenuto dell’art. 156 L.A. laddove infatti accanto all’autore della violazione la norma pone i soggetti meri intermediari che abbiano fornito servizi usati per attuare la violazione stessa, rimarcando, così, ancora una volta la finalità pratica perseguita complessivamente dal sistema normativo di precostituire un valido ed efficace strumento di tutela dei diritti di proprietà intellettuale attraverso strumenti nuovi più penetranti al fine di individuare in modo completo gli autori della violazione e l’entità di questa.
L’accostamento topografico delle due norme in esame (art. 156 e 156 bis) fa sì che non possa ritenersi una svista del legislatore il collegamento operativo delle stesse e con riferimento all’intermediario di servizi ed all’ostensibilità dei dati anche nei confronti di quest’ultimo regolata dall’art. 156 bis.
Per altro verso, nemmeno può ravvisarsi un impedimento all’ostensibilità dei dati in questione per la protezione dei dati personali di cui all’art. 24 del D.Lgs. 196/2003, considerato che tale disciplina normativa fa salva la possibilità di utilizzazione ditali dati, anche senza il consenso del titolare, nel caso di utilizzazione per ragione di tutela giurisdizionale; condizione che infatti ricorre pienamente nel caso di specie, di modo che nessun valido argomento ostativo alla comunicazione di siffatti dati personali può essere opposta dalla Telecom.
Né tale disposizione normativa interna si pone in contrasto interpretativo con la disciplina comunitaria prevista dalla direttiva 2004/48/CE per l’ostensibilità dei dati, con riguardo al punto (art. 8 § 3 direttiva) che fa salve le disposizioni regolamentari (nazionali e comunitarie) per la protezione e riservatezza dei dati personali. Infatti, tale direttiva è successiva al D.Lgs. 196/2003 di conseguenza costituisce, nel suo complesso, una di quelle regolamentazioni interne fatte salve dalla stessa direttiva, ossia ritenute compatibili con i contenuti della direttiva, e tra le disposizioni da ritenere armonizzate con quest’ultima ricorre certamente l’art. 24 del D.Lgs. 196/2003 che bilancia la tutela dei dati personali con le esigenze di giustizia dei terzi, consentendone l’uso, sicché non autorizzato, ai soli fini di far valere un diritto in giudizio.
Altro elemento non trascurabile ai fini della valutazione della compatibilità tra le normazioni in esame è il fatto che il suddetto decreto legislativo stato emanato per recepire la direttiva 95/46/CE del 24.10.1995, sicché non può condividersi l’impostazione adottata dal primo giudice, secondo cui il bilanciamento degli interessi in giuoco sarebbe stato risolto dal legislatore comunitario in favore della tutela della privacy, giacché, contrariamente a tale interpretazione, risulta che è lo stesso legislatore comunitario ad aver espresso il criterio di bilanciamento degli interessi in modo affatto diverso, ossia autorizzando gli Stati membri ad adottare disposizioni finalizzate a limitare la portata degli obblighi e diritti per salvaguardare la protezione dei dati personali, Il che significa che il criterio enucleabile dalla normativa interna sulla questione – quindi il D.Lgs. 196/2003 – nel senso della protezione assoluta dei dati personali attraverso la necessità del consenso dell’interessato al loro trattamento, fatta eccezione per i casi in cui tale trattamento strumentale all’esercizio di un diritto in sede giudiziaria, dove infatti non è richiesto tale consenso in base al citato art. 24 del decreto legislativo. In ciò è quindi ravvisabile il contemperamento degli opposti interessi voluto dal nostro legislatore sulla scorta della delega implicita espressa da quello comunitario, pertanto non può quest’ultima norma essere interpretata in modo da escluderne gli effetti sulla scorta di principi comunitari di inesistente segno opposto.
Parrebbe peraltro oltre modo anomalo un siffatto impedimento nel nostro ordinamento, alla luce della norma costituzionale dell’art. 24 che eleva a valore primario la tutela dei diritti e degli interessi legittimi dei soggetti, sicché dovendosi intendere in senso sostanziale ed effettivo tale tutela costituzionalmente protetta, e non solo nominalistica, appare inevitabile la conclusione dell’ammissibilità del sacrificio della privacy laddove il trattamento dei dati sia necessario alla tutela di un diritto dinanzi al Giudice, dunque l’art. 24 del D.Lgs. 196/2003 risulta compatibile, oltre che con l’impostazione normativa comunitaria, anche con i principi costituzionali in materia di tutela giurisdizionale.
A ben vedere, è proprio nell’ottica di un equilibrio concreto degli opposti interessi che l’art. 156 bis L.A. ha previsto il ricorso al giudice per ottenere di volta in volta l’ostensione dei dati personali di terzi laddove questi si profilino necessari alla tutela di un diritto in sede giudiziaria, affidando ciò al controllo del Giudice la stessa fondatezza della pretesa del soggetto all’ostensione ditali dati, in modo da limitare tale facoltà ai casi ritenuti in concreto rispondenti ai requisiti normativi per superare i diritti alla riservatezza dei dati.
Tale norma, infatti, richiede l’esistenza di serie elementi da parte del ricorrente per poter azionare legittimamente il diritto all’ostensione, rimettendo quindi tale valutazione all’organo giurisdizionale in modo da scongiurare abusi in una materia delicata qual questa, cosa che non avrebbe ragione d’essere ove i dati richiesti dal ricorrente si riferissero alla stessa parte destinataria della richiesta perché autore immediato della violazione del diritto. In tale caso sarebbero più che sufficienti i normali strumenti processuali previsti dall’ordinamento per l’esibizione dei dati e delle cose in possesso della controparte processuale, e non vi sarebbe stata alcuna necessità per il legislatore di adottare uno strumento assolutamente nuovo, qual è l’art. 156 bis, per consentire al danneggiato di ottenere i dati necessari a tutelare il proprio diritto in giudizio nei confronti degli autori della lesione.
Da ultimo va anche considerato il dovere di collaborazione imposto, per quanto qui d’interesse, alle imprese di telecomunicazioni ed ai fornitori d’accesso, ossia ai provider, come si desume dalla direttiva 2000/31/CE relativa ai servizi offerti, laddove se da una parte si prevede l’assenza di responsabilità in capo al prestatore di servizi alle condizioni indicate nella direttiva medesima; dall’altra lascia la possibilità ai singoli Stati di prevedere strumenti giurisdizionali e/o amministrativi finalizzati ad impedire la violazione dei diritti, e dunque ribadisce l’interpretazione qui assunta degli artt. 156 e 156 bis LA, secondo cui l’ostensione dei dati concerne sia l’autore della violazione che altri soggetti intermediari, in assoluta assenza di contrasto con la normativa comunitaria; normativa che, al contrario, al punto 40 prevede il dovere dei provider di agire per evitare o far cessare attività illecite, di modo che non sembra seriamente dubitabile l’esistenza in capo agli stessi quantomeno del dovere di collaborazione con i soggetti lesi ove tale pregiudizio sia supportato da elementi concreti, dettagliati e specifici, oltre che legittimamente acquisiti, e la richiesta di collaborazione appaia oggettivamente indispensabile per la tutela del diritto violato.
Tutto ciò trova un puntuale riscontro nella direttiva 2004/48/CE (art. 15), al punto di prevedere la possibilità degli Stati di imporre ai prestatori di servizi obblighi di informazione alla pubblica autorità per attività ed informazioni illecite e obblighi di informazione per l’individuazione dei destinatari dei loro servizi. Sicché si desume che non vi alcun principio comunitario che impedisca la collaborazione del prestatore dei servizi informatici e telematici, essendo al contrario sollecitata in sede comunitaria tale finalità collaborativa, e dunque per quanto qui d’interesse l’interpretazione da dare agli artt. 156 e 156 bis L.A. non può che essere nel senso di ottenere la collaborazione dei provider per l’ostensione dei dati necessari all’individuazione degli autori della violazione dei diritti d’autore spettanti alla ricorrente e reclamante Peppermint; tenuto conto che senza tale collaborazione resterebbe assolutamente preclusa alla stessa la possibilità di tutelare i propri diritti verso coloro che dovessero risultare gli autori immediati dell’illecito lamentato.
Sulla scorta ditali argomentazioni dev’essere quindi accolto il reclamo in premessa e accolta, in revoca dell’ordinanza di prime cure, la richiesta cautelare proposta dalla Peppermint di ottenere dalla resistente Telecom. gli elementi identificativi dei soggetti che risultino autori illegali della pratica internet denominata upload.
La novità della materia trattata autorizza la compensazione integrale delle spese processuali.
P.Q.M.
Ordina alla Telecom Italia S.p.A. di fornire alla Peppermint Jam Records GmbH, entro gg. 15 della notifica della presente ordinanza, le generalità complete dei propri clienti ovvero ogni elemento idoneo all’identificazione degli stessi, corrispondenti ai dati acquisiti dalla ricorrente Peppermint (indirizzi IP e codici GUID), indicati ed allegati nel presente procedimento cautelare;
Compensa integralmente le spese del procedimento.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio del 9.2.2007
Il Presidente f.f. Dott.ssa Marina Meloni