Parti: Ricucci c. Editoriale Genesis
In Nessun riferimento bibliografico
Anno: 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO – SEZIONE PRIMA
nella persona del giudice unico Dott. Claudio MARANGONI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al N. 40398/2004 R.G. promossa da:
Stefano RICUCCI
elettivamente domiciliato in Corso Lodi, 45 – Milano, presso e nello studio dell’avv. Leda SINA LESKOVIC che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Michele SINIBALDI del Foro di Roma;
ATTORE
contro
EDITORIALE GENESIS s.r.l., in persona del legale rappr.te pro tempore;
Umberto BRUNETTI;
elettivamente domiciliati in Via G. Cantù, 1 – Milano, presso e nello studio degli avv. Fulvio MORESE e Daniela TUFAROLI che li rappresentano e difendono;
CONVENUTI
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 7.6.2004 Stefano Ricucci conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale l’Editoriale Genesis s.r.l. e Umberto Brunetti in relazione alla pubblicazione sul periodico Prima Comunicazione della rubrica “Star & Stress” contenente affermazioni diffamatorie nei suoi confronti.
Chiedeva pertanto la condanna delle parti convenute al risarcimento di tutti i conseguenti danni.
Si costituivano le parti convenute con memoria comune, deducendo il non contestabile esercizio nel caso di specie del diritto di critica e di satira e chiedendo il rigetto delle avverse domande.
Precisate dalle parti le rispettive conclusioni, il giudice tratteneva la causa per la decisione assegnando i termini massimi di legge per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.
Motivi
L’articolo comparso sulla rivista Prima Comunicazione (numero 340 del maggio 2004) nella rubrica“Star & Stress” conteneva una parte specificamente dedicata alla persona dell’attore, indicato quale “fagottone milionario (in euro) che appena una decina di anni fa faceva l’odontotecnico da qualche parte dei Castelli romani… e che adesso, all’improvviso, è diventato ricco ma così ricco che nessuno capisce come abbia fatto tanti soldi, e i pochi che lo capiscono fanno finta di niente perché si vive meglio da stupidi che da furbi, e con tutti i soldi che ha fatto diosolosacome, ha cominciato a comprare azioni di questa e di quella banca, tirando fuori milioni (in euro) per diventare azionista in un mucchio di posti che contano ma dove lui non conta un cazzo… l’unica cosa che conta di quel tipo… è che si trastulla con Anna Falchi, una montagna di sesso…” e più oltre “… arriva il fidanzato della Falchi, che somiglia a un confetto lassativo vestito a festa… uno così bisognerebbe mandarlo in un’isola per almeno un anno… e invece Ricucci trova spazio sul Sole 24 Ore… mi chiedo: ma perché un confetto lassativo che in un Paese normale trionferebbe solo nel triangolo della cassöla, in questa nostra scassata penisola si guadagna due colonne di apertura sul più autorevole quotidiano economico che c’è in giro?”.
Non sembra inutile premettere alle specifiche valutazioni sul contenuto dell’articolo in questione un richiamo ai principi da ritenersi consolidati in materia di diffamazione, rilevando che in via generale il diritto riconosciuto dall’ordinamento dall’art. 21 Cost. costituisce ed integra una causa di giustificazione che scrimina il comportamento del soggetto cui le dichiarazioni lesive sono attribuite in quanto sussista l’oggettivo interesse che i fatti narrati rivestono per l’opinione pubblica (principio della pertinenza), la correttezza con cui essi vengono esposti (principio della continenza) e la corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli narrati (principio della verità) (in tal senso tra le più recenti v. Cass. 6877/00; Cass. 5947/97), con la precisazione che – rispetto al principio della verità oggettiva – può ritenersi sufficiente anche la sola verità putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca (v. da ultimo Cass. pen. 2518/99; Cass. pen. 11578/97).
Deve tuttavia precisarsi che il richiamo alla scriminante dell’esercizio del diritto di critica implica per se stesso l’esame e la valutazione dell’esposizione di fatti non già a fini informativi – rispetto ai quali assumono rilievo gli ordinari criteri dell’interesse pubblico o sociale della notizia, della verità oggettiva o putativa dei fatti riportati e della continenza formale dell’esposizione – quanto piuttosto una interpretazione di fatti e comportamenti necessariamente frutto di una visione soggettiva, difficilmente riconducibile al criterio della necessità della verità del fatto in quanto l’esercizio del diritto di critica – nel suo aspetto puro, cioè disgiunto da ogni finalità informativa – comporta una valutazione da parte dell’interprete che può esprimersi in termini di condivisibilità o meno delle tesi affermate, non già sotto il profilo della verità delle medesime (v. da ultimo Cass. n. 370/02 nonché Cass. pen. n. 38448/01).
Tuttavia non può negarsi – ad avviso di questo giudice – che l’espressione di un’opinione critica in merito a determinati fatti non possa prescindere dal riferimento ai medesimi quali effettivamente accaduti e storicamente reali.
Invero l’opinione dissenziente – ove difettasse tale condizione – risulterebbe obbiettivamente non motivata e priva della effettiva riferibilità ad un legittimo esercizio critico, rispetto al quale pertanto del tutto infondato sarebbe il richiamo alla capacità scriminante dell’art. 21 Cost. (v. da ultimo Cass. pen. 13264/05).
Vero è che la giurisprudenza ammette che l’esercizio del diritto di critica possa comprendere anche toni di particolare durezza polemica, più pungenti ed incisivi rispetto a quelli comunemente adoperati nei rapporti interpersonali tra i privati.
Tuttavia, anche nella critica politica – alla quale può ricondursi anche l’esercizio del diritto di satira in quanto particolare espressione del più ampio diritto di critica – ciò che può determinare l’abuso del diritto (e quindi ne costituisce un limite al legittimo esercizio) è la gratuità delle espressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione, e quindi senza alcuna finalità di pubblico interesse, con l’uso dell’argomentum ad hominem, inteso a screditare l’avversario mediante l’evocazione di una sua pretesa indegnità o l’inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi o le azioni.
In altri termini il legittimo esercizio del diritto di critica, pur potendo sopportare toni aspri e di disapprovazione, non deve trasmodare nell’attacco personale e nella pura contumelia e non deve ledere il diritto di altri all’integrità morale, posto che il mancato rispetto di tali limiti riduce il contesto polemico e critico ad un’occasione per aggredire la reputazione altrui (Cass. 8734/00; Cass. Pen. Sez. 18.12.1997, n. 11905).
Sulla base di tali premesse ritiene il giudicante che le parti dell’articolo contestato ritenute di contenuto diffamatorio siano in parte positivamente scriminate da un non contestabile diritto di critica, ancorchè condotto con toni sarcAsti,ci ed anche di non particolare eleganza (“… per diventare azionista in un mucchio di posti che contano ma dove lui non conta un cazzo…”).
Invero l’esercizio del diritto di critica appare fondato laddove l’autore dell’articolo pone la questione della rapidissima e brillante ascesa dell’attore nel mondo finanziario rispetto ad una condizione di partenza che non faceva prevedere una tale prospettiva, questione che ha formato oggetto dell’attenzione generale degli organi di informazione e degli ambienti finanziari e politici così come documentato dalle parti convenute e come peraltro ampiamente noto.
Anche il rilievo dato nell’articolo ad atteggiamenti di diffidenza e fAsti,dio che sarebbero insorti negli ambienti imprenditoriali e finanziari per l’aggressività dei comportamenti dell’attore sulla scena finanziaria ed imprenditoriale registrava sostanzialmente un tema di discussione reale in tali ambienti.
Ritiene inoltre il giudicante che anche le allusioni contenute nell’articolo ai dubbi sussistenti sulle modalità con le quali in pochissimi anni l’attore aveva conseguito notevolissime disponibilità finanziarie (“…adesso, all’improvviso, è diventato ricco ma così ricco che nessuno capisce come abbia fatto tanti soldi, e i pochi che lo capiscono fanno finta di niente perché si vive meglio da stupidi che da furbi”) pur nella loro indubbia valenza pregiudizievole per la reputazione dell’attore stesso debbano comunque ritenersi scriminate da un non censurabile esercizio del diritto di critica, attese le documentate perplessità registrate diffusamente nel medesimo periodo a tale proposito anche con non superficiali inchieste giornalistiche (v. in particolare i docc. 15 e 16 fasc. conv.).
Tuttavia le doglianze di parte attrice risultano fondate laddove si appuntano sulla lesività per la sua reputazione ed immagine personale degli epiteti ad esso specificamente diretti (“…fagottone miliardario…”; “…confetto lassativo vestito a festa…”), privi di qualsiasi giustificazione che possano eliminarne l’aspetto sostanzialmente e gratuitamente ingiurioso.
Il ricorso a tali espressioni non trova alcuna motivazione effettiva nel contesto dell’articolo, né risultano applicabili in particolare i presupposti del diritto di satira, posto che esse contengono in se stesse solo l’evidente intento di compromettere e sminuire l’immagine personale dell’attore a prescindere dalle vicende per le quali esso si trovava alla ribalta della cronaca giornalistica dell’epoca.
Entro tali limiti deve dunque confermarsi la fondatezza delle domande di parte attrice e dichiararsi l’autonoma responsabilità dei soggetti che ne hanno consentito l’indebita pubblicazione e diffusione per l’illecito diffamatorio riscontrabile nei suoi presupposti oggettivi e soggettivi.
Nè può essere invero contestata nella specie la sussistenza dell’elemento psicologico della fattispecie di cui all’art. 595 c.p. – rispetto alla quale i fatti sopra esposti risultano idonei ad integrarne l’elemento oggettivo – posto che risulta pacifico in giurisprudenza che la mera consapevolezza di diffondere delle espressioni lesive dell’altrui reputazione appare del tutto sufficiente ad integrare il dolo generico richiesto per la compiuta integrazione del reato.
In tema di delitti contro l’onore, non è invero richiesta la presenza di un animus iniurandi vel diffamandi, ma appare sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, cioè adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell’agente (Cass. pen. 13263/05).
La responsabilità del convenuto Brunetti, quale direttore responsabile del settimanale Prima Comunicazione all’epoca di pubblicazione dell’articolo, sussiste in quanto configurabile sotto il profilo dell’agevolazione colposa del delitto di diffamazione commesso da altri (v. art. 57 c.p.), pur potendo il direttore responsabile in via astratta in determinate circostanze concorrere nel reato stesso di diffamazione.
La responsabilità del direttore della pubblicazione risulta in sostanza integrata in considerazione dell’omissione del dovuto controllo volto ad impedire la consumazione di fatti penalmente rilevanti – realizzati nel caso di specie dagli articoli in questione – mediante l’esercizio dei poteri ad esso spettanti nell’ambito delle sue attribuzioni di direttore responsabile della testata giornalistica.
Quanto alla società editrice convenuta, la responsabilità della stessa discende dal disposto dell’art. 11 L. 47/48 che prevede nei reati commessi col mezzo della stampa la civile responsabilità del proprietario della pubblicazione e dell’editore in solido con gli autori del reato stesso.
All’accertamento della responsabilità delle parti convenute per l’articolo in esame, segue la condanna delle stesse in via solidale al risarcimento del danno morale, in base al combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 2059 c.c. non risultando idoneamente provato alcun danno patrimoniale dalla parte attrice.
Ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale deve peraltro tenersi conto, oltre all’ambito di diffusione del settimanale nonché alla risonanza delle notizie diffuse, anche della sostanziale marginalità degli aspetti ritenuti integranti l’illecito diffamatorio rispetto al complesso delle vicende trattate nell’articolo stesso e ritenute oggetto di un corretto esercizio del diritto di critica.
Tale voce di danno deve essere dunque liquidata in via equitativa nella somma di € 10.000,00, intendendosi tale somma già rivalutata e comprensiva degli interessi dalla domanda alla sentenza.
Non può essere altresì liquidato il danno ex art. 12 L. 47/48.
La norma prevede una riparazione pecuniaria aggiuntiva rispetto al risarcimento.
Trattandosi di una conseguenza civile del reato di diffamazione compiuta col mezzo della stampa, la giurisprudenza ritiene che essa possa essere applicata solo all’autore del reato ed agli eventuali correi, escludendone l’applicazione sia al direttore, qualora risponda ex art. 57 c.p., sia all’editore (v. da ultimo Cass. 14485/00).
Tale orientamento deve essere condiviso e, pertanto, gli odierni convenuti non possono essere condannati a pagare a tale titolo nessuna somma.
Deve quindi essere disposta la pubblicazione del dispositivo della presente sentenza a carico delle parti convenute secondo le modalità indicate in dispositivo.
Alla soccombenza delle parti convenute segue la condanna delle stesse in via tra loro solidale alla refusione delle spese di lite in favore dell’attore sulla base della misura del risarcimento riconosciuto e dunque liquidate in complessivi € 5.400,00 (di cui € 400,00 per esborsi, € 1.000,00 per diritti ed € 4.000,00 per onorari), oltre alle spese generali ex art. 14 T.F. ed agli accessori, come per legge.
Ai fini di cui agli artt. 59, lett. d) e 60, ultimo comma, D.P.R. 131/86, si indicano nei convenuti, – in quanto condannati al risarcimento del danno prodotto da fatto costituente reato – le parti nei cui confronti deve essere recuperata l’imposta di registro prenotata a debito.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni ulteriore domanda, eccezione o istanza disattesa, così decide:
1) in parziale accoglimento delle domande avanzate da Stefano RICUCCI nei confronti di EDITORIALE GENESIS s.r.l. e di Umberto BRUNETTI con atto di citazione notificato in data 7.6.2004, accertato il contenuto diffamatorio in danno dell’attore dell’articolo pubblicato sul numero 340 del maggio 2004 del settimanale Prima Comunicazione nella rubrica “Star & Stress”, condanna le parti convenute in via tra loro solidale al risarcimento del danno in favore dell’attore, liquidato in € 10,000,00 con interessi legali dalla data della presente sentenza fino all’effettivo saldo;
2) dispone altresì la pubblicazione a cura e a spese delle parti convenute in via tra loro solidale per una volta e a caratteri doppi del normale del dispositivo della presente sentenza sul periodico Prima Comunicazione entro trenta giorni dalla notificazione della presente sentenza, autorizzando sin da ora parte attrice a provvedervi direttamente ove ciò non sia avvenuto nel termine indicato;
3) condanna le parti convenute in via tra loro solidale al rimborso delle spese del giudizio in favore dell’attore, liquidate in € 5.400,00, oltre alle spese generali ex art. 14 T.F. ed agli accessori, come per legge.
Cosi’ deciso in data 07/05/2007 dal TRIBUNALE ORDINARIO di Milano.
il Giudice Dott. Claudio MARANGONI