Pubblicato il 15/02/2023 N. 01580/2023 REG.PROV.COLL.
N. 10163/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10163 del 2019, proposto da
Società Italiana Autori ed Editori – Siae, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Mandel, Domenico Luca Scordino e Paolo Turco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Soundreef S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ernesto Belisario, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Innovaetica S.r.l., Associazione Lea – Liberi Editori Autori, Vodafone Italia S.p.A., non costituiti in giudizio;
Sky Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Piero Fattori, Antonio Lirosi, Salvatore Spagnuolo e Paolo Galli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Mediaset S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Fabio Lepri, Giuseppe Rossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Federazione Autori, Federazione Editori Musicali (Fem), Associazione Nazionale Editori Musicali (Anem), Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi (Aidac), Doc/It – Associazione Documentaristi Italiani, Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac), Writers Guild Italia (Writers), Associazione Dell’Autorialità Cinetelevisiva 100autori, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Maria Grazia Maxia, Gian Michele Roberti e Marco Serpone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 11330/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti il ricorso in appello incidentale e i relativi allegati di Federazione Autori, Federazione Editori Musicali (Fem), Associazione Nazionale Editori Musicali (Anem), Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi (Aidac), Doc/It – Associazione Documentaristi Italiani, Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac), Writers Guild Italia (Writers), Associazione Dell’Autorialità Cinetelevisiva 100autori;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di: Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Soundreef S.p.A., Sky Italia S.r.l., Mediaset S.p.A., Federazione Autori, Federazione Editori Musicali (Fem), Associazione Nazionale Editori Musicali (Anem), Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi (Aidac), Doc/It – Associazione Documentaristi Italiani, Associazione Nazionale Autori Cinematografici (Anac), Writers Guild Italia (Writers), Associazione Dell’Autorialità Cinetelevisiva 100autori;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 novembre 2022 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati Luca Domenico Scordino, Antonio Lirosi, dello Stato Anna Collabolletta, Marco Serpone e Felice Belisario per delega di Ernesto Belisario;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con delibera del 25/09/2018 l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (per brevità, anche Autorità o Agcm) ha ritenuto che la società Italiana degli Autori ed Editori – SIAE (per brevità, anche SIAE) avesse posto in essere, almeno dal 1° gennaio 2012, un abuso di posizione dominante contrario all’art. 102 TFUE, riconducibile ad un’unica e complessa strategia escludente dei concorrenti nei mercati relativi ai servizi di intermediazione dei diritti d’autore e del servizio di tutela dal plagio e consistente nell’imposizione di vincoli nell’offerta di servizi diversi nella gestione dei diritti d’autore, di vincoli nell’offerta di servizi di gestione dei diritti d’autore e di servizio di tutela dal plagio, di vincoli nella gestione dei diritti di autori non iscritti alla SIAE nonché di ostacoli ai concorrenti nel rilascio di licenze ad emittenti TV e nella gestione di repertori di aventi diritto stranieri.
Per l’effetto, l’Autorità ha ordinato che la Società Italiana degli Autori ed Editori ponesse immediatamente fine ai comportamenti distorsivi della concorrenza in concreto accertati e si astenesse in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione.
In ragione di quanto rilevato, l’Autorità ha, infine, irrogato alla Società Italiana degli Autori ed Editori, la sanzione amministrativa pecuniaria simbolica di 1.000 € (mille euro), nonché ha imposto alla stessa SIAE di comunicare le iniziative poste in essere per ottemperare all’ordine inibitorio all’uopo emesso.
2. La Siae, ricorrendo dinnanzi al Tar Lazio, Roma, ha dedotto l’illegittimità della delibera del 25/09/2018, sia per vizi procedurali che per vizi sostanziali, inerenti (tra l’altro) alla corretta ricostruzione del quadro normativo vigente in materia di intermediazione del diritto d’autore.
3. L’Autorità, nonché le società Soundreef s.p.a., Sky Italia S.r.l. e Innovaetica s.r.l., si sono costituite in giudizio resistendo al ricorso. L’Associazione dell’Autorialità Cinetelevisiva 100autori (Associazione 100autori), l’Associazione Nazionale di Editori Musicali Italiani (denominata anche FEM, Federazione Editori Musicali), l’Associazione Nazionale Editori Musicali (ANEM), l’Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi (AIDAC), l’Writers Guild Italia (Writers), la Federazione Autori, Doc/It – Associazione Documentaristi Italiani e l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici si sono costituite in giudizio, aderendo al ricorso. L’Associazione LEA – Liberi Editori e Autori ha proposto atto di intervento ad opponendum. La società Mediaset s.p.a. si è costituita in giudizio, riservando al prosieguo del giudizio la formulazione delle proprie conclusioni definitive.
4. Il Tar ha rigettato il ricorso, ravvisando l’infondatezza delle censure attoree.
5. La ricorrente in primo grado ha appellato la sentenza emessa dal Tar, deducendone l’erroneità con l’articolazione di plurime censure.
6. L’Associazione dell’Autorialità Cinetelevisiva 100autori (Associazione 100autori), la Federazione Editori Musicali (FEM), l’Associazione Nazionale Editori Musicali (ANEM), l’Associazione Italiana Dialoghisti Adattatori Cinetelevisivi (AIDAC), la Writers Guild Italia (Writers), la Federazione Autori, Doc/It – Associazione Documentaristi Italiani e l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici hanno proposto appello incidentale a valere “all’occorrenza come atto di intervento ad adiuvandum e/o atto di costituzione”.
Le federazioni e associazioni ricorrenti, dopo avere dato atto di avere impugnato con autonomo ricorso dinnanzi al Tar Lazio, Roma, il medesimo provvedimento rilevante nell’odierno giudizio (pag. 5 appello incidentale), hanno dedotto l’erroneità della sentenza gravata con l’articolazione di plurime censure.
6.1 Con il primo motivo di appello è stata rilevata l’erroneità della decisione gravata, per avere il Tar ravvisato l’abusività di condotte invero lecite, rientranti nell’ambito della riserva legale ex art. 180 LdA.
In particolare:
– la Siae non avrebbe mai preteso il deposito dell’inedito, non ostacolando in tale modo la concorrenza nel mercato della tutela del plagio;
– la Siae non avrebbe affermato alcuna esclusiva nell’intermediazione del repertorio on line;
– l’attività di intermediazione del repertorio estero sarebbe compresa nel perimetro della riserva ex art. 180 L. n. 633 del 1941 (“Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”, per brevità anche LDA);
– l’attività di intermediazione svolta da soggetti diversi dagli Organismi di Gestione Collettiva (OGC) non risulterebbe lecita, sicché eventuali effetti escludenti degli Enti di Gestione Indipendenti (EGI) avrebbero dovuto essere ricondotti al dato normativo e non alla pratica contestata;
– la SIAE sarebbe titolare di una rappresentanza ex lege anche in relazione ai non iscritti (come desumibile anche dal disposto dell’art. 164 LDA, che abiliterebbe la SIAE all’esercizio di azioni nell’interesse degli aventi diritto anche senza bisogno di mandato) e, comunque, risulterebbe giustificata dall’art. 10 LDA in relazione alle ipotesi di contitolarità di diritti in capo a plurimi autori di cui alcuni iscritti alla SIAE;
– la segmentazione dei mandati “opera per opera” individuerebbe uno schema di gestione escluso dalla prassi generale degli OGC europei in ragione dei problemi gestionali che determinerebbe, senza alcun significativo beneficio per i titolari;
– l’attività di intermediazione nei rapporti con le emittenti rientrerebbe nell’ambito della riserva legale e non sarebbe caratterizzata da effetti escludenti (risultando dimostrata, anzi, la circostanza contraria).
6.2 Con il secondo motivo di appello è stata dedotta la violazione, da un lato, dell’art. 106 TFUE, non avendo il Tar tenuto conto che la SIAE risultava incaricata ex lege dell’erogazione di un servizio di interesse economico generale, facendosi, in specie, questione di censure riferite ad ambiti coperti dalla riserva ex art. 180 LDA; dall’altro, dell’art. 21 bis L. n. 287/90, risultando le contestazioni dell’Autorità riferite ad atti implicanti l’esercizio di poteri pubblicistici, con conseguente necessità di ricorrere (al più) al rimedio speciale regolato dallo stesso art. 21 bis.
6.3 Con il terzo motivo di appello è stata dedotta la violazione dei principi del giusto processo, del giusto procedimento e della buona amministrazione, avendo l’Autorità adottato il provvedimento impugnato: a) dopo avere preso per tre volte posizione sulla stessa questione con tre segnalazioni; b) in composizione sostanzialmente monocratica.
7. L’Autorità, nonché le società Sky Italia s.r.l. e Soundreef s.p.a. si sono costituite in giudizio, resistendo all’appello.
8. La società Mediaset s.p.a. si è costituita in giudizio, “riservando al prosieguo del giudizio la formulazione delle proprie conclusioni definitive”.
9. L’Autorità, Sky Italia s.r.l., Soundreef s.p.a., nonché l’Associazione LEA – Liberi Editori Autori hanno prodotto documentazione nel novembre 2021; l’Autorità, l’appellante, nonché le società Sky Italia s.r.l. e Soundreef s.p.a. hanno depositato nel medesimo mese memorie conclusionali; le stesse parti, oltre che le Associazioni e le Federazioni appellanti incidentali, hanno depositato repliche alle avverse deduzioni.
In vista dell’udienza del 23 giugno 2022, l’appellante ha depositato documentazione e memoria conclusionale; parimenti, gli appellanti incidentali, nonché le società Sky e Soundreef hanno depositato memoria difensiva. Le società Soundreef e Sky, l’Autorità, nonché gli appellanti, principale e incidentali, hanno replicato alle avverse deduzioni.
10. Nel corso dell’udienza del 23 giugno 2022 il difensore dell’appellante principale ha eccepito la nullità della costituzione in giudizio della società Soundreef s.p.a e dell’Associazione LEA – Liberi Editori Autori, difese dal medesimo legale sebbene parti in asserita posizione di conflitto di interessi; il Collegio ha rilevato una possibile causa di inammissibilità del ricorso in appello incidentale per difetto di legittimazione attiva, perché proposto da parti cointeressate all’impugnazione di prime cure, che avevano peraltro pure agito autonomamente dinnanzi al Tar Lazio, Roma, per ottenere l’annullamento del medesimo provvedimento (doc. 1 produzione del 29.5.2019 in primo grado degli odierni appellanti incidentali).
11. Con ordinanza n. 5461 del 30 giugno 2022 il Collegio ha ravvisato la necessità, da un lato, di ottenere alcuni chiarimenti in ordine alle modalità di deliberazione del provvedimento impugnato in prime cure, dall’altro, di un’integrazione della documentazione in atti, attraverso la produzione di specifici documenti, richiamati nel provvedimento per cui è causa, secondo la prospettazione dell’Autorità idonei a dimostrare la sussistenza di condotte escludenti rilevanti ai sensi dell’art. 102 TFUE.
12. L’Autorità ha provveduto all’ottemperanza dell’ordine istruttorio, depositando in data 1 agosto 2022 una relazione di chiarimenti corredata dalla documentazione riferita agli ambiti segnalati con l’ordinanza n. 5461/22.
13. L’appellante principale e la società Soundreef hanno prodotto documentazione in data 13 ottobre 2022. Le parti appellanti (principale e incidentali) hanno insistito nelle proprie conclusioni con il deposito di memorie difensive. Le società Soundreef e Sky Italia, oltre che l’appellante principale, hanno depositato memoria di replica.
14. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 3 novembre 2022.
DIRITTO
1. Pregiudizialmente, il Collegio è chiamato a statuire sulle questioni di rito poste dalle parti o rilevate d’ufficio.
2. In primo luogo, occorre esaminare l’ammissibilità dell’appello incidentale proposto dalle Associazioni e dalle Federazioni degli Autori, costituente una questione componente il thema decidendum dell’odierno giudizio, in quanto rilevata d’ufficio nell’udienza del 23 giugno 2022 e sottoposta al contraddittorio delle parti.
2.1 Al riguardo, deve trovare applicazione il disposto dell’art. 102 c.p.a. secondo cui “1. Possono proporre appello le parti fra le quali è stata pronunciata la sentenza di primo grado. 2. L’interventore può proporre appello soltanto se titolare di una posizione giuridica autonoma”.
La legittimazione all’appello deve essere, in particolare, riconosciuta soltanto in favore:
– di colui che abbia assunto la posizione di parte necessaria del giudizio a quo, per aver proposto il ricorso in primo grado o per aver ricevuto la notificazione del ricorso in quanto titolare di un interesse sostanziale, giuridicamente rilevante, alla conservazione del provvedimento impugnato;
– di colui che, non intimato in giudizio mediante la notificazione del ricorso, ma intervenuto volontariamente nel processo inter alios pendente (al ricorrere dei presupposti delineati dall’art. 28 c.p.a.), sia comunque titolare di una posizione giuridica autonoma su cui la sentenza abbia statuito.
Con specifico riferimento alla posizione del cointeressato al ricorso di primo grado -rilevante nell’odierno giudizio-, la giurisprudenza di questo Consiglio ha precisato che “il cointeressato, intervenuto ad adiuvandum o costituitosi direttamente, non può proporre appello surrogandosi al ricorrente inattivo” (Consiglio di Stato, sez. III, 8 giugno 2016, n. 2451); nonché che “Il cointeressato, dunque, in quanto soggetto che acquisterebbe un vantaggio diretto ed immediato dall’annullamento del provvedimento impugnato, al fine di evitare l’elusione dei termini decadenziali, è obbligato a proporre autonoma e tempestiva impugnazione…” (Consiglio di Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 832).
Invero, il cointeressato è un soggetto che, sebbene titolare di una posizione autonoma in quanto direttamente e immediatamente inciso dal provvedimento amministrativo, vanta un interesse coincidente rispetto a quello del ricorrente in primo grado, avente ad oggetto la rimozione del provvedimento impugnato in via principale; il che impedisce di qualificare il cointeressato quale parte necessaria del processo, a prescindere dalla circostanza (invero ascrivibile ad una libera scelta del ricorrente principale) della sua avvenuta evocazione in giudizio.
Come precisato da questo Consiglio di Stato, infatti, “l’essere stato destinatario della notifica del ricorso di primo grado non comporta che il soggetto sia parte necessaria del giudizio di appello” (Consiglio di Stato, Sez. II, Sent., 4 agosto 2022, n. 6829).
La qualifica di parte necessaria, a fronte di un’azione di annullamento quale quella esperita in primo grado, discende infatti, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a. e 49, comma 1, c.p.a., anziché dalla mera ricezione della notificazione del ricorso, dalla posizione sostanziale di controinteresse all’impugnazione, risultando necessario evocare in giudizio (con conseguente riconoscimento della qualità di parte necessaria) soltanto quei soggetti che subirebbero un effettivo pregiudizio in conseguenza dell’accoglimento dell’avverso ricorso (la pubblica amministrazione cui è ascritto l’atto e i controinteressati individuati nell’atto stesso).
Il cointeressato all’impugnazione, invece, non subendo alcun pregiudizio dall’altrui iniziativa processuale, non deve essere intimato in giudizio e, dunque, non assume la posizione di parte necessaria del relativo processo: costui, piuttosto, è onerato ad attivarsi tempestivamente in sede giurisdizionale, potendo scegliere se proporre un autonomo ricorso entro il termine di decadenza all’uopo applicabile ovvero limitarsi ad un intervento tempestivo nel processo inter alios pendente (sempre entro il termine di decadenza al riguardo operante), aderendo al ricorso da altri proposto e accettando lo stato in cui il giudizio si trova al momento della costituzione (ex art. 28, comma 2, c.p.a.). L’eventuale spontanea intimazione in giudizio del cointeressato (su iniziativa del ricorrente) non consentirebbe, invece, di rimettere in termini il cointeressato rispetto all’esercizio di poteri da cui lo stesso sia decaduto.
Peraltro, il cointeressato, ove abbia deciso di agire autonomamente in sede giurisdizionale, proponendo un autonomo ricorso avverso il provvedimento lesivo, consuma il proprio potere di impugnazione, non potendo coltivare la medesima iniziativa impugnatoria intervenendo o costituendosi nel processo da altri introdotto contro il medesimo atto, altrimenti addivenendosi, in violazione del divieto del bis in idem, ad una duplicazione della medesima azione giudiziaria, suscettibile di generare pure un rischio di contrasto di giudicati: la stessa parte, infatti, da un lato, agirebbe con autonomo ricorso avverso l’atto lesivo, dall’altro, contesterebbe il medesimo provvedimento, dapprima, intervenendo o (una volta ricevuta la notificazione dell’altrui impugnazione) costituendosi nel giudizio da altri introdotto, successivamente, appellando la sentenza emessa a definizione del relativo giudizio, onde ottenere, in riforma della pronuncia gravata, la stessa utilità ambita nell’ambito del processo autonomamente introdotto (l’annullamento del medesimo atto lesivo).
2.2 Alla luce di tali rilievi, deve essere dichiarata l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dalle Associazioni e dalle Federazioni odierni ricorrenti.
Come ammesso nello stesso appello incidentale, “Le federazioni e associazioni indicate in epigrafe riuniscono aventi diritto quali segnatamente autori ed editori, per circa. duemila aventi diritto iscritti alla SIAE. In tale veste, esse hanno attivamente partecipato al proc. A508, al quale sono state formalmente ammesse in veste di parti ai sensi dell’art. 7 del d.p.r. n. 217/98 (v. Provvedimento, par. 4); esse partecipano inoltre alla governance di SIAE (par. 118) ed hanno poi impugnato il Provvedimento dinanzi al Tar del Lazio (dove tuttora pende il ricorso r.g. n. 15110/2018) e si sono al contempo costituite nel ricorso promosso da SIAE, definito con la sentenza impugnata” (pag. 5).
Ne deriva che gli appellanti incidentali, da un lato, hanno proposto autonomo ricorso, dinnanzi al Tar Lazio, Roma, avverso lo stesso provvedimento impugnato in prime cure, dall’altro, si sono costituite in primo grado perché evocate dalla SIAE una volta decorso il termine di tempestiva impugnazione dell’atto lesivo: in particolare, come risulta dal fascicolo di primo grado, le federazioni e le associazioni si sono costituite in data 10.1.2019, a fronte di un provvedimento pubblicato nel bollettino n. 40 del 29 ottobre 2018 e “notificato in data 26 ottobre 2018” (atto di costituzione del 10.1.2019).
Gli odierni appellanti incidentali, dunque, sono titolari di un interesse autonomo e coincidente rispetto a quello vantato dal ricorrente principale, per avere subito un pregiudizio direttamente correlato all’atto impugnato: detenendo la maggioranza dei voti negli organi sociali della SIAE (par. 118 del provvedimento impugnato), tali soggetti patiscono, infatti, una compressione della propria sfera giuridica in conseguenza dei limiti imposti all’azione sociale della SIAE, risultando, per l’effetto, titolari di un cointeresse al ricorso.
In ragione di tale qualità, le associazioni e le federazioni non possono ritenersi parti necessarie del giudizio di primo grado, risultando la loro costituzione esclusivamente funzionale all’adesione al ricorso, senza la possibilità di ampliare il thema decidendum con la formulazione di autonome censure, anche in sede di gravame. Per l’effetto, tali soggetti non possono ritenersi legittimati all’odierno appello.
Difatti, si fa questione di soggetti che, da un lato, hanno proposto un’autonoma azione giudiziaria con separato ricorso, consumando in tale maniera il potere di impugnazione dell’atto lesivo, con conseguente esaurimento del potere di impulso processuale, non riesercitabile attraverso l’intervento o la costituzione di un separato giudizio da altri introdotto, né mediante la proposizione dell’appello avverso la sentenza emessa a definizione del relativo processo; dall’altro, in ogni caso, si sono costituiti tardivamente in primo grado, in data 10.1.2019, una volta decorso il termine di impugnazione dell’atto lesivo (pubblicato in data 29.10.2018 e notificato in data 26.10.2018), con conseguente decadenza dalla relativa azione giudiziaria (già inammissibile, perché reiterativa di un’impugnazione già proposta), non esercitabile neppure attraverso l’appello della sentenza emessa sul ricorso da altri proposto, implicando una tale iniziativa pur sempre il diritto ad ottenere una pronuncia sul merito del ricorso da cui la parte risultava decaduta nel giudizio a quo.
2.3 Stante l’inammissibilità dell’appello incidentale, perché proposto da cointeressati all’impugnazione ricorrenti nell’ambito di un separato giudizio e, comunque, tardivamente costituitisi nel giudizio a quo, non potranno essere esaminate, nel merito, le doglianze attoree svolte dalle Associazioni e Federazioni ricorrenti.
3. Altra questione di rito da esaminare in via pregiudiziale concerne l’asserita nullità della costituzione in giudizio della società Soundreef s.p.a. e dell’Associazione LEA-Liberi Editori Autori: trattasi di eccezione opposta dall’appellante e motivata sulla base della difesa processuale comune delle due parti processuali.
L’eccezione è infondata, sia perché non si ravvisa nella specie una costituzione in giudizio dell’Associazione LEA, con conseguente carenza del presupposto processuale alla base della contestazione attorea (dato dall’assunzione della difesa comune di due parti processuali); sia, in ogni caso, perché la società Soundreef e l’Associazione LEA non sono titolari di interessi in conflitto.
3.1 Sotto il primo profilo, si osserva che la costituzione in giudizio implica il deposito di un atto (cfr. art. 47, comma 2, c.p.a., 48, commi 1 e 2, c.p.a., e 129, comma 4, c.p.a. in cui si discorre di “atto di costituzione”) attraverso cui la parte formula una richiesta giudiziale, manifestando la volontà di partecipare al rapporto processuale: nei casi in cui non sia ammessa la costituzione personale, l’atto deve, inoltre, promanare dal difensore munito dello ius postulandi, conferito attraverso il rilascio di rituale procura alle liti ex art. 24 c.p.a.
Nel caso di specie, emerge il deposito nell’ambito dell’odierno giudizio (in data 25 novembre 2021), a cura dell’Associazione LEA, di una mera “nota deposito documenti” con allegata la sentenza della Corte costituzionale n. 149/2020: tale nota non soltanto non reca alcun riferimento al rilascio di una procura alle liti, pur essendo sottoscritta da un difensore, ma non manifesta neppure alcuna volontà processuale dell’Associazione di prendere parte al giudizio.
Si è, dunque, in presenza di una nota promanante da una parte da ritenere non costituita in giudizio, con la conseguenza che tale deposito non potrebbe ritenersi validamente eseguito nell’ambito dell’odierno giudizio.
Non facendosi questione di parte costituita, non potrebbe neppure discorrersi di un conflitto di interessi tra parti costituite con il patrocinio del medesimo difensore.
Per l’effetto, deve rigettarsi l’eccezione di nullità della costituzione in giudizio della società Soundreef e dell’Associazione LEA opposta dall’odierna appellante, trattandosi di eccezione incentrata su un presupposto infondato sul piano fattuale, stante l’inesistenza di una costituzione attraverso il medesimo difensore dei due soggetti giuridici.
3.2 In ogni caso, si osserva che, come precisato dalla giurisprudenza ordinaria (cfr. Cass., sez. III, 25 giugno 2013, n. 15884), nel caso in cui tra due o più parti sussista conflitto di interessi – attuale, ovvero anche virtuale, nel senso che appaia potenzialmente insisto nel rapporto tra le medesime, i cui interessi risultino, in astratto, suscettibili di contrapposizione – è inammissibile la loro costituzione in giudizio a mezzo di uno stesso procuratore, al quale sia stato conferito mandato con un unico atto, e ciò anche in ipotesi di simultaneus processus, dato che il difensore non può svolgere contemporaneamente attività difensiva in favore di soggetti portatori di istanze confliggenti: la violazione è rilevabile di ufficio, anche in sede di appello, poiché investe il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio, valori costituzionalmente garantiti.
Il carattere dell’attualità del conflitto può peraltro venire meno, qualora dalle risultanze processuali emerga che la contrapposizione di interessi è stata effettivamente superata, come accade nel caso in cui una delle parti abbia rinunciato alle proprie pretese, in conflitto con quelle vantate dalla parte rappresentata dallo stesso difensore.
Ai fini della configurazione di un conflitto di interessi, in ogni caso, non è sufficiente la mera eventualità di una contrapposizione processuale e la potenzialità del conflitto non va intesa come astratta eventualità, bensì in stretta correlazione con il rapporto esistente in concreto tra le parti.
Avuto riguardo al caso di specie, non si ravvisa alcuna contrapposizione processuale tra l’Associazione LEA e la società Soundreef, tenuto conto che – oltre a non ravvisarsi alcuna costituzione nell’odierno grado di giudizio dell’Associazione LEA, secondo quanto sopra osservato – alla stregua di quanto emergente dal fascicolo di primo grado, l’Associazione LEA si era costituita dinnanzi al Tar, chiedendo il rigetto del ricorso, per l’effetto assumendo la stessa posizione processuale della società Soundreef, parimenti interessata alla conferma del provvedimento impugnato.
Stante la coincidenza di interessi delle parti processuali in raffronto, di opposizione all’iniziativa processuale avversa, non potrebbe comunque ravvisarsi alcuna nullità della costituzione in giudizio operata attraverso il medesimo difensore.
4. Infine, occorre esaminare sempre in via preliminare l’istanza di sospensione del presente giudizio, avanzata dalla società Soundreef (pag. 5 memoria di replica del 10.6.2022) e tesa ad attendere la decisione della Corte di Giustizia sul quesito pregiudiziale posto dal Tribunale di Roma, relativo alla compatibilità con la direttiva 2014/26/UE di una “legge nazionale che riservi l’accesso al mercato dell’intermediazione dei diritti d’autore, o comunque la concessione di licenze agli utilizzatori, solo ai soggetti qualificabili, secondo la definizione della medesima Direttiva, come organismi di gestione collettiva, escludendo quelli qualificabili come entità di gestione indipendenti, costituiti sia nel medesimo stato sia in altri Stati membri”.
Tale istanza deve essere rigettata, in quanto, come si osserverà infra, nella specie il provvedimento impugnato in primo grado non risulta motivato sulla base dell’asserita incompatibilità della riserva legale posta dall’ordinamento nazionale, ma sull’estensione della posizione dominante ad ambiti sottratti alla riserva (oltre che sullo svuotamento del contenuto dell’autoproduzione autoriale).
Pertanto, argomentando l’Autorità i propri addebiti proprio sulla vigenza di tale riserva e sulla sua indebita estensione, non si pone nell’odierno giudizio un problema di disapplicazione della disciplina interna che riserva alla SIAE (e dall’ottobre 2017, agli organismi di gestione collettiva) lo svolgimento di talune specifiche attività di intermediazione: non occorre, dunque, verificare nel caso in esame se la riserva sia o meno compatibile con il diritto unionale, con la conseguenza che non è necessario attendere la soluzione della Corte di Giustizia, all’uopo investita dal Tribunale di Roma, sulla relativa questione interpretativa.
Le ulteriori questioni di rito poste dalle parti, riguardanti l’inammissibilità di alcune censure attoree o l’assunzione di mezzi di prova in ipotesi rilevanti ai fini della decisione, saranno trattate infra, unitamente alla disamina dei motivi di appello cui afferiscono.
5. Ciò premesso, si osserva che l’appellante, dopo avere ricostruito il quadro normativo di riferimento in materia di intermediazione del diritto d’autore (soffermandosi, in particolare, sull’oggetto della riserva legale ex art. 180 L. n. 633/1941, anche alla stregua della disciplina internazionale e unionale, per come evolutasi nel tempo) e avere descritto i fatti di causa (con riguardo al procedimento osservato in sede amministrativa) e lo svolgimento del giudizio di prime cure, ha articolato sette motivi di appello, diretti a denunciare l’erroneità della sentenza gravata, in relazione sia ai capi decisori concernenti i vizi procedurali dedotti in prime cure, sia ai capi decisori afferenti all’integrazione, sul piano sostanziale, di un’infrazione ai sensi dell’art. 102 TFUE.
6. Con il primo motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso la violazione dell’articolo 21 bis L. n. 287/90.
6.1 A giudizio dell’appellante, l’Autorità avrebbe dovuto emettere preventivamente un parere motivato ex art. 21 bis, comma 1, L. n. 287/90 e soltanto per l’ipotesi di mancata conformazione della SIAE, avrebbe potuto proporre ricorso senza emanare sanzioni o intimazioni.
Difatti:
– nella specie, la contestazione alla base del provvedimento impugnato in prime cure riguarderebbe gli atti di esercizio di poteri pubblicistici;
– l’art. 21 bis della legge n. 287/90, con l’espressione “gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti”, intenderebbe riferirsi a qualunque formale manifestazione espressa dall’ente;
– l’Autorità avrebbe censurato norme dei regolamenti, dei modelli di adesione e disposizioni statutarie, queste ultime recate in atto pure approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, con conseguente non imputabilità alla SIAE e, comunque, non disponibilità del relativo oggetto;
– la natura amministrativa degli atti e comportamenti contestati alla SIAE si ricollegherebbe alle finalità pubblicistiche ad essa assegnate dalla legge;
– la SIAE, quale ente pubblico economico, sarebbe soggetta a vigilanza pubblica, ad ulteriore dimostrazione della natura pubblicistica dell’attività esercitata e delle finalità pubbliche perseguite;
– l’applicazione dell’art. 21 bis L. n. 287/90 sarebbe pure imposta per evitare la violazione dei principi di irragionevolezza, illogicità e di buona amministrazione.
6.2 Il motivo di appello è infondato.
6.3 Questo Consiglio (sez. V, 30 aprile 2014, n. 2246), nel ricostruire la portata applicativa dell’art. 21 bis L. n. 287/90, ha precisato come la relativa disciplina non preveda due forme di tutela attivabili dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato – l’una con accesso diretto ed immediato al giudice e l’altra mediata dalla fase pre-contenziosa – , facendosi questione di un rimedio giuridico unitario soggetto al medesimo regime processuale.
In particolare, con argomentazioni condivise dal Collegio, nel predetto precedente n. 2246 del 2014, è stato osservato che:
– l’art. 21 bis della legge n. 287 del 1990, aggiunto dall’art. 35, comma 1, del d.l. n. 201 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011, significativamente rubricato “Poteri dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza”, ha previsto al comma 1 che “L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato”;
– al successivo comma è poi stabilito che “L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato, emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l’autorità può presentare, tramite l’Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni”:
– il terzo comma aggiunge infine che “Ai giudizi instaurati ai sensi del comma 1 si applica la disciplina di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104”;
– ognuna delle ricordate disposizioni assolve ad una specifica funzione, individuando e tutelando uno specifico interesse pubblico;
– il primo comma infatti, attribuisce una peculiare legitimatio ad causam all’Autorità nei confronti degli atti amministrativi generali, dei regolamenti e dei provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato, in tal modo evidenziando la natura di speciale interesse pubblico generale della tutela della concorrenza e del mercato, quale condizione essenziale per l’ordinato sviluppo economico e sociale e per il progresso della collettività, in armonia del resto con i principi europei;
– il secondo comma, coerentemente con il principio di legalità predicato dall’articolo 97 della Costituzione, cui è improntata tutta l’attività della pubblica amministrazione, disciplina (e delimita, procedimentalizzandolo) il potere attribuito alla Autorità in relazione agli atti amministrativi generali, ai regolamenti e ai provvedimenti amministrativi, dalla stessa ritenuti violativi delle norme a tutela della concorrenza e del mercato;
– secondo l’intenzione del legislatore (ad imitazione, secondo autorevole dottrina, mutatis mutandis, del procedimento per infrazione comunitaria che la Commissione europea avvia nei confronti degli Stati membri dell’UE), così come si ricava dall’esame della norma, il fondamentale e innovativo ruolo attribuito all’Autorità circa il controllo sull’effettivo ed efficace dispiegarsi della libertà della concorrenza e del mercato impone che il potere di agire in giudizio contro gli atti lesivi di tali principi sia preceduto da una fase pre – contenziosa, caratterizzata dall’emissione, da parte dell’Autorità, di un parere motivato rivolto alla pubblica amministrazione, parere in cui ragionevolmente sono segnalate le violazioni riscontrate e sono indicati i rimedi per eliminarli e ripristinare il corretto funzionamento della concorrenza e del mercato;
– con il terzo comma, infine, è stato stabilito che alle controversie azionate dall’Autorità ai sensi del comma uno trovino applicazione le disposizioni concernenti i riti abbreviati, di cui al Libro IV, Titolo V, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104;
– la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 20 del 14 febbraio 2013, nel dichiarare inammissibili le questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 21 bis della legge n. 287 del 1990 promosse in via principale in riferimento agli artt. 3, 97, primo comma, 113, primo comma, 117, sesto comma, e 118, primo e secondo comma, della Costituzione, alla legge costituzionale n. 3 del 2001 ed al principio di leale collaborazione, ha osservato che detta norma, piuttosto che introdurre un “nuovo e generalizzato controllo di legittimità” in capo all’Autorità nei confronti degli atti delle pubbliche amministrazioni, ha soltanto integrato “…i poteri conoscitivi e consultivi già attribuiti all’Autorità garante dagli artt. 21 e seguenti della legge n. 287 del 1990”, prevedendo “…un potere di iniziativa finalizzato a contribuire ad una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato …e, comunque, certamente non generalizzato, perché operante soltanto in ordine agli atti amministrativi che violino le norme a tutela della concorrenza del mercato”, precisando quindi che tale potere “…si esterna in una prima fase a carattere consultivo (parere motivato nel quale sono indicati gli specifici profili delle violazioni riscontrate), e in una seconda (eventuale) fase di impugnativa in sede giurisdizionale, qualora la pubblica amministrazione non si conformi al parere stesso”;
– trova pertanto autorevole conforto la tesi della eccezionalità della legitimatio ad causam riconosciuta all’Autorità in funzione del bene giuridico tutelato e l’unicità e unitarietà dell’azione giudiziaria dalla stessa proposta, ancorché preceduta da una necessaria fase pre – contenziosa.
Alla luce di tali rilievi, deve ritenersi che il rimedio di cui all’art. 21 bis L. n. 287/90:
a) trovi applicazione soltanto a fronte di atti autoritativi, manifestazione di pubblica potestà, sindacabili dinnanzi al giudice amministrativo, lesivi dell’interesse concorrenziale. Ciò si desume, da un lato, dal riferimento normativo alla nozione di “atti amministrativi generali”, di “regolamenti” e di “provvedimenti” di qualsiasi amministrazione pubblica e, dunque, di atti unilaterali attraverso cui la parte pubblica procedente non agisce nell’esercizio della propria autonomia negoziale, ma pone una regula iuris vincolante per il destinatario; dall’altro, dal rinvio al rito speciale delineato dal Libro IV, Titolo V, c.p.a., operante per i soli giudizi dinnanzi al giudice amministrativo;
b) completa il sistema di tutela concorrenziale del mercato (cfr. Corte cost. n. 20/2013 cit., che discorre di “una più completa tutela della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato”), attribuendo all’Autorità un rimedio (anziché sostitutivo) ulteriore rispetto a quelli già regolati dall’ordinamento giuridico.
6.4 Avuto riguardo al caso di specie, il disposto dell’art. 21 bis L. n. 287/90 invocato dall’odierno appellante, da un lato, non potrebbe applicarsi in relazione agli atti compiuti dalla SIAE, dall’altro, non potrebbe tradursi in una limitazione dei poteri istituzionali di cui l’Autorità risultava già attributaria prima della sua entrata in vigore.
6.5 Sotto il primo profilo di analisi, si osserva che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, L. n. 2/08, “L’attività della SIAE è disciplinata dalle norme di diritto privato. Tutte le controversie concernenti le attività dell’ente, ivi incluse le modalità di gestione dei diritti, nonché l’organizzazione e le procedure di elezione e di funzionamento degli organi sociali, sono devolute alla giurisdizione ordinaria, fatte salve le competenze degli organi della giurisdizione tributaria”.
Come precisato dalla giurisprudenza ordinaria (Cass. civ. Sez. Unite, 28 aprile 2020, n. 8239), “in quanto volta a determinare la composizione e le modalità di funzionamento degli organi sociali, nonché i requisiti necessari per accedervi e le forme di partecipazione alle relative deliberazioni, la disciplina statutaria incide sulla stessa posizione degli associati all’interno della società e sui rapporti interni a quest’ultima, in riferimento ai quali risulta piuttosto arduo escludere la configurabilità di veri e propri diritti soggettivi”, con la precisazione che “nella materia in esame si realizza, in altri termini, una giustapposizione di aspetti privatistici e pubblicistici, cui corrisponde un intreccio inestricabile di diritti soggettivi ed interessi legittimi, a fronte del quale la chiara scelta del legislatore di devolvere tutte le controversie ad un’unica giurisdizione dev’essere ritenuta tutt’altro che irragionevole, e comunque non contrastante con l’art. 103 Cost”.
Ne discende che le controversie aventi ad oggetto gli atti di organizzazione della SIAE, in quanto incidenti sull’autonomia negoziale dell’Ente e sulla posizione degli associati all’interno della società e sui rapporti interni, salvo il caso (non rilevante nella specie) in cui si deducano vizi propri degli atti amministrativi di approvazione, sono devolute alla giurisdizione ordinaria, operando la SIAE comunque nell’osservanza delle norme di diritto privato.
Per l’effetto, a fronte di atti implicanti l’esercizio di autonomia negoziale sindacabili dinnanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, è molto dubbio che possa trovare applicazione il disposto dell’art. 21 bis L. n. 287/90, come osservato operante (di contro) soltanto a fronte di atti autoritativi, espressivi di pubbliche potestà, non a caso censurabili dinnanzi al giudice amministrativo.
Non trovando applicazione l’art. 21 bis L. n. 287/90 in relazione agli atti organizzatori compiuti dalla SIAE (statuto e regolamento), l’Autorità non soltanto non sarebbe stata onerata alla loro tempestiva censura ex art. 21 bis cit., ma non avrebbe (in radice) neppure potuto provvedere alla loro impugnazione dinnanzi al giudice amministrativo, con la conseguenza che il provvedimento impugnato in prime cure non potrebbe essere ritenuto inficiato per violazione di una norma giuridica (21 bis L. n. 287/90) inapplicabile nella specie.
6.6 In ogni caso, si osserva che, come rilevato, l’art. 21 bis L. n. 287/90 ha avuto la funzione di completare il sistema di tutela della struttura concorrenziale dei mercati, arricchendo il novero dei rimedi a disposizione dell’Autorità, alcuni dei quali pure previsti dal diritto unionale.
Di conseguenza, facendosi questione di un rimedio che non limita, ma amplia gli strumenti di tutela concorrenziale, non potrebbe ritenersi che, per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 21 bis L. n. 287/90, l’Autorità abbia subito una compressione della propria sfera di attribuzioni: così come le pratiche anti-competitive risultavano perseguibili prima dell’entrata in vigore dell’art. 21 bis L. n. 287/90, pure ove poste in essere in attuazione di atti amministrativi non tempestivamente impugnati, le stesse devono considerarsi ancora perseguibile a seguito dell’introduzione del rimedio di cui all’art. 21 bis cit., anche nelle ipotesi in cui l’Autorità, pure legittimata alla tempestiva azione giudiziaria ex art. 21 bis cit., si sia astenuta dalla relativa iniziativa procedimentale e processuale.
In altri termini, l’Autorità che si sia astenuta dall’impugnazione ex art. 21 bis L. n. 287/90 di atti amministrativi lesivi dell’interesse concorrenziale, non potrebbe ritenersi privata del potere di inibire e sanzionare pratiche anticoncorrenziali eventualmente tenute in esecuzione degli atti amministrativi non tempestivamente impugnati.
Una diversa interpretazione, oltre a non trovare conforto nel dato letterale, non prevedendo l’art. 21 bis L. n. 287/90 alcuna decadenza dell’Autorità dal potere inibitorio e sanzionatorio attribuito da altre norme di relazione, contrasterebbe con il diritto unionale, che impone (per quanto di interesse ai sensi dell’art. 102 TFUE) la persecuzione di pratiche lesive dell’assetto concorrenziale del mercato, senza limitare una tale azione di tutela in presenza di atti autoritativi non tempestivamente censurati.
In siffatte ipotesi, l’atto non impugnato non potrebbe essere annullato, ma la pratica anticompetitiva tenuta in sua esecuzione, ove integrante gli estremi della condotta illecita violativa degli artt. 101 e 102 TFUE, potrebbe comunque essere inibita e sanzionata, non elidendo l’omessa impugnazione il carattere di illiceità dell’azione materiale comunque tenuta sul piano sostanziale; il che, del resto, avviene anche in materia risarcitoria, non ostando, di per sé, l’omessa impugnazione dell’atto alla proposizione dell’azione risarcitoria, a dimostrazione di come la condotta non cessa di essere illecita -e, come tale, foriera di danni risarcibili- per il mero fatto di essere stata tenuta in esecuzione di atti amministrativi non tempestivamente impugnati (una tale circostanza potrebbe in materia risarcitoria, al più, rilevare ai fini dell’esclusione del risarcimento per i danni altrimenti evitabili in caso di annullamento dell’atto lesivo, ma non per escludere la natura illecita della condotta comunque tenuta).
Per l’effetto, ferma rimanendo l’inapplicabilità nella specie dell’art. 21 bis L. n. 287/90 (discorrendosi di atti implicanti l’esercizio di autonomia negoziale, sindacabili dall’autorità giudiziaria ordinaria), in ogni caso, la mancata impugnazione del regolamento o dello statuto della SIAE (e, comunque, degli atti organizzatori nel tempo deliberati dalla società) non avrebbe potuto impedire all’Autorità, a fronte di una condotta materiale anticompetitiva – sub specie di sfruttamento abusivo di una posizione dominante – concretamente attuata sul mercato, di esercitare le proprie attribuzioni (non incise dall’art. 21 bis cit.) in funzione dell’inibizione e della repressione dell’infrazione accertata.
6.7 Alla stregua dei rilievi svolti, il primo motivo di appello deve essere rigettato, in quanto incentrato sulla violazione di una disposizione inapplicabile nella specie (e, dunque, insuscettibile di essere violata dall’operato amministrativo in contestazione) e, comunque, su una norma che, completando il sistema di tutela concorrenziale, non osta all’esercizio delle attribuzioni dell’Autorità in funzione della repressione di condotte illecite, violative della normativa antitrust, concretamente tenute, pure ove esecutive di atti amministrativi non tempestivamente impugnati.
7. Con il secondo motivo di appello è impugnato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso la violazione dell’articolo 106 TFUE e dell’articolo 8 L. n. 287/90.
7.1 Invero, secondo la prospettazione attorea, la SIAE svolgerebbe un servizio di interesse economico generale, in quanto affidataria della cura di interessi pubblici attraverso l’imposizione ex lege di specifici compiti: un’eventuale astensione dai controlli ispettivi, dalla notifica degli attestati di credito o dalla tutela dei non iscritti o dalla rappresentanza dei repertori stranieri avrebbe determinato una riduzione della tutela (oltre che una riduzione dei compensi dovuti agli aventi diritto).
7.2 Il motivo di appello è infondato.
7.3 L’articolo 106, paragrafo 2, TFUE prevede, da un lato, che le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata; dall’altro, che lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione.
Si è dunque in presenza di un regime teso a contemperare l’interesse degli Stati membri ad utilizzare determinate imprese quali strumento di politica economica o sociale con l’interesse dell’Unione europea all’osservanza delle regole di concorrenza e al mantenimento dell’unità del mercato interno (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 24 settembre 2020, in causa C-445/19, punto 30).
Ne deriva che deroghe alle norme del Trattato sono sì consentite, ma soltanto ove necessarie all’adempimento della specifica missione affidata all’impresa incaricata della gestione di un servizio di interesse economico generale: a tale proposito, non è peraltro necessario che risulti minacciato l’equilibrio finanziario o la redditività economica dell’impresa incaricata della gestione di un servizio di interesse economico generale. È sufficiente che, in mancanza dei diritti controversi, possa risultare compromesso l’adempimento delle specifiche funzioni assegnate all’impresa, o che il mantenimento di tali diritti sia necessario per consentire al loro titolare di adempiere le funzioni di interesse economico generale affidategli (Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 8 marzo 2017, in causa C-660/15, punto 30).
In definitiva, le imprese soggette all’articolo 106, paragrafo 2, TFUE possono invocare tale disposizione per giustificare una misura contraria all’articolo 102 TFUE esclusivamente nel caso in cui le restrizioni della concorrenza, o persino l’esclusione di qualsiasi concorrenza, siano necessarie per garantire l’adempimento degli specifici compiti loro affidati
7.4 Avuto riguardo al caso di specie, come emergente dal provvedimento impugnato in prime cure, l’Autorità ha inteso inibire e sanzionare “una pluralità di condotte complessivamente finalizzate a escludere i concorrenti dai mercati relativi ai servizi di gestione dei diritti d’autore non inclusi nella riserva originariamente prevista dall’art. 180 LDA, nonché a impedire il ricorso all’autoproduzione da parte dei titolari dei diritti, garantita dall’articolo 180, comma 4, LDA” (par. 185 provvedimento).
L’Autorità ha, dunque, ravvisato una infrazione antitrust in relazione a condotte tenute al di fuori dell’ambito della riserva delineato dall’art. 180 L. n. 633/41, censurando pratiche, da un lato, afferenti a mercati aperti alla concorrenza, diversi da quelli riservati; dall’altro, incidenti sul diritto di autoproduzione, sempre riconosciuto in favore dell’autore, pure in relazione agli ambiti riconducibili all’art. 180 L. n. 633/41.
Ne deriva che le condotte in contestazione non potrebbero ritenersi necessarie all’adempimento della missione affidata alla SIAE, esorbitando (secondo la prospettazione dell’Autorità e salva la verifica circa l’effettiva sussistenza degli addebiti formulati) dall’ambito di servizio riservato dall’art. 180 L. n. 633/41.
7.5 Non potrebbe argomentarsi diversamente, facendo leva sull’essenzialità dell’attività di controllo e ispettiva svolta dalla SIAE.
Al riguardo, l’appellante deduce che “eventuali riduzioni nei controlli ispettivi, o nella notifica di attestati di credito o ancora nella tutela dei c.d. “non iscritti” (con perdita secca di diritto d’autore a vantaggio di utilizzatori che rappresentano, in tesi, l’anello forte e non debole della catena), o ancora nella rappresentanza dei repertori stranieri (ai quali si negherebbe la protezione invece disposta dalla LdA e dalle convenzioni internazionali), sono tutti vincoli in grado di ridurre la tutela e che porteranno alla riduzione dei compensi dovuti agli aventi diritto (e non certo a benefici di concorrenza)” (pag. 17 appello). A supporto delle proprie allegazioni la SIAE invoca la legittimità dei controlli e degli attestati di credito censurati dall’Autorità.
Invero, come si osserverà infra:
– l’Autorità non ha contestato il mero esercizio della doverosa azione di controllo sul rispetto del diritto d’autore e di riscossione dei crediti maturati dai propri associati o mandanti, bensì la funzionalizzazione delle complessive condotte tenute (non limitate alla sola attività di controllo o di riscossione) al conseguimento di uno scopo illecito, disapprovato dall’ordinamento, dato dalla estensione della posizione di dominanza a mercati estranei alla riserva (par. 261 del provvedimento); del resto, una pratica lecita al di fuori del diritto della concorrenza, qualora sia attuata da un’impresa in posizione dominante, può essere qualificata come “abusiva” ai sensi dell’art. 102 TFUE, se può produrre un effetto escludente e se si basa sull’utilizzo di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti, con la conseguenza che anche il doveroso esercizio dell’azione di controllo e di ispezione, se attuato con modalità tali da ostacolare l’altrui lecita azione concorrenziale e posto in essere per il mantenimento o il rafforzamento di una posizione dominante in mercati estranei a quelli eventualmente riservati, non potrebbe ritenersi conforme al disposto dell’art. 102 TFUE;
– la rappresentanza dei repertori stranieri, come si osserverà infra, non poteva ritenersi rientrante nella riserva, con la conseguenza che azioni tese ad ostacolare la legittima azione dei concorrenti non avrebbero potuto ritenersi giustificate e tanto meno necessarie per l’esercizio dell’attività di intermediazione nei mercati realmente riservati;
– la tutela dei non iscritti, parimenti, non soltanto non poteva ritenersi necessaria per l’intermediazione nei mercati riservati, ma comportava la violazione dell’altrui sfera giuridica, non potendosi giustificare l’ingerenza nel patrimonio degli autori in assenza di un incarico (anche implicito) dagli stessi conferito alla società.
In definitiva, pure ipotizzando la qualificazione dell’intermediazione dei diritti d’autore quale servizio di interesse economico generale, un tale servizio risultava affidato dal legislatore alla SIAE in relazione ad un mercato ben definito, per come descritto dall’art. 180 L. n. 633/1941: sicché, a fronte di compiti legislativi attribuiti in relazione a ben definiti mercati, le condotte tenute al di fuori degli stessi, nei confronti di autori non associati e, dunque, non destinatari della missione affidata dal legislatore, o comunque in relazione a mercati aperti alla concorrenza non contemplati dall’art. 180 L. n. 633/1941, non avrebbero potuto ritenersi necessarie all’erogazione di alcun servizio di interesse economico generale. Né risulta fornita un’adeguata prova contraria.
In definitiva, posto che le contestazioni dell’Autorità riguardano condotte tenute in mercati non coperti dalla riserva (nella specie, si contesta un abuso per estensione, in relazione a mercati diversi da quelli in cui risultava esercitabile la riserva legale), se può dedursi l’inesistenza materiale degli addebiti o la loro afferenza a mercati invero riservati (come nei fatti avvenuto, avendo l’appellante censurato in altri motivi di impugnazione, in specie il settimo, l’insussistenza delle condotte o la loro riconducibilità alla riserva legale), non potrebbe ravvisarsi una violazione dell’art. 106, par. 2, TFUE, non emergendo e, comunque, non risultando dimostrato come condotte tenute in mercati non riservati, in cui la SIAE non risultava titolare di alcun compito affidato dallo Stato (non operando in regime di riserva), fossero necessarie per l’adempimento della missione istituzionale in altri ambiti assegnata alla società.
8. Con il terzo motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso la violazione dei principi di collegialità e imparzialità di cui all’art. 10 L. n. 287/1990.
8.1 La ridotta composizione del collegio in ragione dell’assenza fisica del Presidente unita all’assegnazione ad un suo componente delle funzioni di istruttoria e di decisione finale e al meccanismo del voto doppio del presidente facente funzioni avrebbero svuotato il principio di collegialità, trasformando l’Autorità in un organo monocratico, sia in fase istruttoria che decisoria.
Nella specie, inoltre, l’Autorità avrebbe espresso tre pareri sulla medesima questione, in violazione dell’art. 6 CEDU. Al riguardo, la SIAE rinvia alle pagg. 22-23 del ricorso di primo grado per la prospettazione di apposita questione di costituzionalità.
8.2 Con la memoria del 29 novembre 2022 l’appellante censura la violazione dei principi sulla partecipazione al procedimento e sul giusto processo anche sotto il profilo dei tempi del procedimento, ritenendo che l’Amministrazione avesse tardato nell’avvio dell’istruttoria; ciò, tenuto conto che la prima denuncia risaliva al 12 ottobre 2015 e l’istruttoria è stata avviata il 5 aprile 2017, dopo peraltro che l’Autorità aveva espresso apposito parere sulla materia (in data 1 giugno 2016). Ne discenderebbe un ritardo irragionevole quale vizio di legittimità dell’operato provvedimentale in contestazione.
Una soluzione contraria manifesterebbe “una chiara incompatibilità della legge 10 ottobre 1990, n. 287 con i principi accolti nella legge 241/90 e comunque una chiara incostituzionalità della detta legge 10 ottobre 1990, n. 287, per contrasto ai principi del giusto processo (24 e 111 Cost.) anche in riferimento ai principi CEDU (6 CEDU e 117 Cost.), e ancora per contrasto al principio del buon andamento dell’amministrazione (97 Cost.), nella parte in cui la detta legge antitrust (all’art. 14) non prevede un termine entro il quale, a partire dalla “presunzione” di infrazione, l’istruttoria debba essere avviata”.
8.3 Pregiudizialmente, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità della censura riferita ai tempi della fase preistruttoria, opposta sia dalla società Sky (memoria di replica del 3.12.2021, pag. 2), sia dall’Autorità (memoria di replica del 3.12.2021, pagg. 1/2).
8.3.1 L’eccezione è fondata.
Nel ricorso in appello, difatti, a fondamento della doglianza relativa alla violazione dei principi del giusto procedimento, sono state dedotte specifiche circostanze fattuali riferite (soltanto) alla composizione del collegio e all’espressione, da parte dell’Autorità, di tre pareri prima dell’adozione del provvedimento impugnato in prime cure. Nello stesso ricorso non è stata, invece, dedotta una specifica circostanza, integrante la causa petendi della domanda proposta, riguardante la durata eccessiva della fase preistruttoria.
La deduzione, soltanto in sede di memoria difensiva (del 29.11.2022), di un nuovo fatto costitutivo ritenuto idoneo a disvelare un vizio di legittimità alla base della domanda proposta (in ipotesi erroneamente non rilevato dal primo giudice), comporta una inammissibile mutatio libelli, in conseguenza dell’introduzione, in pendenza di giudizio, di un nuovo motivo di appello non tempestivamente dedotto in sede di impugnazione; ciò, in violazione del combinato disposto degli artt. 101 e 104 c.p.a., che impone all’appellante, nel solo ricorso in appello, di svolgere specifiche censure avverso i capi decisori della sentenza gravata o di riproporre espressamente le questioni non decise dal Tar. Del resto, la memoria difensiva è tipicamente funzionale alla mera illustrazione di argomenti a sostegno delle censure già proposte, non potendo essere impiegata (come avvenuto nella specie) per estendere il thema decidendum del giudizio, attraverso l’allegazione di nuovi vizi asseritamente non riscontrati dal primo giudice.
8.3.2 Ferma rimanendo l’inammissibilità della censura attorea, non articolata specificatamente in sede di appello con puntuali deduzioni riferite alla durata della fase preistruttoria, per mera completezza di indagine, si osserva che la relativa doglianza non avrebbe comunque potuto essere accolta, risultando infondata nel merito.
Come precisato dalla Sezione (9 maggio 2022, n. 3570), le norme principio contenute nel Capo I, L. 24 novembre 1981, n. 689, sono dotate di applicazione generale dal momento che, in base all’art. 12, le stesse devono essere osservate con riguardo a tutte le violazioni per le quali è comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro. L’intento del legislatore è stato quello di assoggettare ad un statuto unico ed esaustivo (e con un medesimo livello di prerogative e garanzie procedimentali per il soggetto inciso) tutte le ipotesi di sanzioni amministrative, sia che siano attinenti a reati depenalizzati, sia che conseguano ad illeciti qualificati ‘ab origine’ come amministrativi, con la sola eccezione delle violazioni disciplinari e di quelle comportanti sanzioni non pecuniarie.
La preventiva comunicazione e descrizione sommaria del fatto contestato con l’indicazione delle circostanze di tempo e di luogo (idonee ad assicurare, già nella fase del procedimento amministrativo anteriore all’emissione dell’ordinanza-ingiunzione, la tempestiva difesa dell’interessato), attiene ai principi del contraddittorio ed è garantito dalla L. n. 689 del 1981. Il termine per la contestazione delle violazioni amministrative ha infatti pacificamente natura perentoria avendo la precisa funzione di garanzia di consentire un tempestivo esercizio del diritto di difesa. Lo stesso art. 31 della L. n. 287 del 1990 prevede, del resto, l’applicazione delle norme generali di cui alla L. n. 689 del 1981 “in quanto applicabili”.
Ebbene, con specifico riferimento alla disciplina della potestà sanzionatoria dell’Autorità non emergono le condizioni per derogare al sistema di repressione degli illeciti amministrativi per mezzo di sanzione pecuniaria ivi delineato. Il D.P.R. 30 aprile 1998, n. 217 (Regolamento in materia di procedure istruttorie di competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato) non reca indicazione di alcun termine per la contestazione degli addebiti, e quindi non può far ritenere “diversamente stabilita” la scansione procedimentale e, quindi, inapplicabile il termine di cui si discute. Tale interpretazione è preferibile anche in quanto orientata dalla sicura ascendenza costituzionale del principio di tempestività della contestazione, posto a tutela del diritto di difesa.
La soluzione proposta ‒ oltre che rispondente al canone ermeneutico di tipo sistematico ‒ si impone anche alla luce dell’obbligo di interpretazione conforme, quale logico corollario della natura sostanzialmente ‘penale’ delle sanzioni antitrust e della conseguente applicabilità ad esse dei principi fondamentali del diritto punitivo.
Il principio di immediatezza della contestazione costituisce infatti un corollario del “giusto procedimento” sanzionatorio. Come osservato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 151 del 2021, sia pure con riguardo al termine di conclusione del procedimento sanzionatorio), in materia di sanzioni amministrative, il principio di legalità non solo “impone la predeterminazione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere, della configurazione della norma di condotta la cui inosservanza è soggetta a sanzione, della tipologia e della misura della sanzione stessa e della struttura di eventuali cause esimenti (sentenza n. 5 del 2021), ma deve necessariamente modellare anche la formazione procedimentale del provvedimento afflittivo con specifico riguardo alla scansione cronologica dell’esercizio del potere”.
Ciò premesso, deve tuttavia rilevarsi che i canoni di civiltà giuridica del diritto punitivo trovano sì applicazione nei procedimenti sanzionatori di carattere punitivo-afflittivo, ma non necessariamente con le stesse medesime modalità con le quali sono tutelati nei processi penali, dovendo la loro realizzazione adattarsi alle caratteristiche tecniche dell’azione amministrativa ed essere bilanciata con altri interessi di pari rango.
Per questi motivi, il decorso dei novanta giorni è collegato dall’art. 14 della L. n. 689 del 1981, non già alla data di commissione della violazione, bensì al tempo di accertamento dell’infrazione. Si fa riferimento non alla mera notizia del fatto ipoteticamente sanzionabile nella sua materialità, ma all’acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita implicante il riscontro (allo scopo di una corretta formulazione della contestazione) della sussistenza e della consistenza dell’infrazione e dei suoi effetti. Ne discende la non computabilità del periodo ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole fattispecie, ai fini dell’acquisizione e della delibazione degli elementi necessari per una matura e legittima formulazione della contestazione.
8.3.3 L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche alla specie esclude la violazione del termine di tempestiva contestazione.
Nel caso in esame, il lasso temporale successivo alla acquisizione della notizia è stato impiegato per il completamento, da parte dell’Autorità, delle indagini intese a riscontrare la sussistenza di tutti gli elementi della fattispecie.
La novità e la complessità delle questioni esaminate, implicanti altresì la ricostruzione di un quadro normativo evolutosi nel tempo, influenzato pure da disposizioni unionali e convenzionali, hanno correttamente indotto l’Autorità ad evitare l’avvio formale del procedimento (con la contestazione del relativi addebiti) prima di avere acquisito gli elementi essenziali per la piena conoscenza della condotta illecita, con riferimento alla sussistenza e alla consistenza dell’infrazione in esame; ciò, tenuto conto, altresì, della particolare cautela che l’Autorità deve avere nell’avvio dell’azione inibitoria e sanzionatoria, tenuto conto, altresì, del clamore mediatico che una tale iniziativa potrebbe comunque generare.
Il dies a quo della tempestiva contestazione non avrebbe potuto essere individuato, pertanto, nella mera data di ricezione delle denunce presentate da Innovaetica e Soundreef, occorrendo che l’Autorità svolgesse le verifiche preliminari per l’acquisizione degli elementi necessari per la compiuta formulazione della contestazione, anche attraverso l’audizione dei segnalanti (avvenuta nel caso in esame in date 8 giugno 2016, 20 febbraio 2017 e 6 marzo 2017 – nota 2 del provvedimento impugnato) e la richiesta di ulteriori informazioni (acquisite in data 28 marzo 2017 – nota 2 del provvedimento impugnato).
Ne deriva la tempestività dell’avvio del procedimento ex art. 14 L. n. 287/90, avvenuto in data 5 aprile 2017, entro novanta giorni dalla conclusione delle audizioni preistruttorie e dall’acquisizione delle informazioni complementari richieste.
8.3.4 L’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della censura riferita alla durata asseritamente eccessiva della fase preistruttoria (invero necessaria per la compiuta contestazione, tempestivamente operata dall’Autorità, per quanto sopra osservato) rendono irrilevanti le questioni pregiudiziali interpretative poste dall’Autorità nella memoria del 3 dicembre 2021 in ordine alla compatibilità con l’articolo 102 TFUE -in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché con i principi di autonomia procedurale, di buona amministrazione ed effettività – di “una prassi e/o giurisprudenza nazionale che, inferendo la regola della tempestività dell’avvio dai principi generali di cui agli articoli 6 CEDU e 41 della Carta fondamentale dei diritto dell’Unione nonché da quelli positivizzati nella l. n. 241/1990, impedisca in ogni caso all’Autorità nazionale di concorrenza di avviare una procedura istruttoria ai fini dell’accertamento di un’intesa ancora in corso, a distanza di vari mesi o anni dalla segnalazione della possibile violazione dell’articolo 102 TFUE, impedendo all’Autorità nazionale di concorrenza di compiere gli atti di indagine ritenuti opportuni ed effettuati anche in funzione delle risorse di cui essa dispone, ai fini di una corretta formulazione della contestazione, dell’esistenza e della consistenza dell’infrazione e dei suoi effetti”.
Non riscontrandosi nella specie alcuna tardiva contestazione, attraverso il formale avvio del procedimento istruttorio, la soluzione delle questioni poste dall’Autorità non consentirebbe di addivenire ad una diversa decisione dell’odierna controversia (dovendosi, comunque, confermare in parte qua la legittimità dell’operato amministrativo), con conseguente irrilevanza dei corrispondenti quesiti posti dall’odierna appellata.
8.4 Il motivo di appello deve essere rigettato anche nella parte in cui tende a denunciare la violazione del principio di collegialità, facendo leva sulla partecipazione alla deliberazione di soli due componenti del Collegio, sull’assegnazione ad un suo componente delle funzioni di istruttoria e di decisione finale e sulla regola organizzativa in forza della quale il voto del Presidente, anche facente funzioni, prevale, in caso di parità, sui voti contrari.
8.4.1 Al riguardo, si osserva, in primo luogo, che l’appellante non ha specificatamente contestato la legittimità delle disposizioni regolamentari sulla cui base è stato assunto il provvedimento impugnato in prime cure: le censure articolate nel terzo motivo e le conclusioni del ricorso in appello sono infatti indirizzate contro l’atto provvedimentale e non contro il regolamento presupposto, legittimante la votazione con la partecipazione di soli due componenti e la prevalenza in caso di parità del voto del Presidente.
Né potrebbe argomentarsi diversamente sulla base del riferimento, operato nelle conclusioni dell’appello, ad ogni “altro atto presupposto, connesso o consequenziale, anche allo stato non conosciuto, ivi inclusa la comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI)”: come precisato da questo Consiglio, “non valgono ad estendere l’oggetto del giudizio impugnatorio e, quindi, la materia del contendere le espressioni frequentemente contenute nei ricorsi e divenute ormai vere e proprie clausole di stile, con le quali si impugnano gli atti presupposti, conseguenti o comunque connessi a quelli specificamente fatti oggetto di gravame. La specifica menzione in ricorso degli atti connessi e conseguenziali a quello impugnato che si assumono viziati trova, infatti, la sua ragion d’essere nella necessità sia di individuare i vizi da cui si assumono affetti gli atti che si pongono in rapporto di derivazione rispetto a quello inizialmente gravato, sia di porre in condizione i soggetti, che versano in posizione di contro interesse, di poter adeguatamente contraddire, se non di essere chiamati in giudizio, ove la qualità di controinteressato emerga solo in presenza di provvedimenti successivamente adottati dall’Amministrazione (Cons. St., sez. VI, 24 gennaio 2012, n. 291)” (Consiglio di Stato, Sez. III, 7 giugno 2021, n. 4367).
Pertanto, non venendo espressamente indicato (nell’ambito del terzo motivo e delle conclusioni del ricorso) il regolamento di organizzazione, non potrebbe dedursi l’illegittimità del provvedimento inibitorio e sanzionatorio per vizi dipendenti dall’asserita illegittimità di un atto presupposto non specificatamente impugnato.
La mancata o intempestiva impugnazione dell’atto presupposto direttamente lesivo rende infatti inammissibile il ricorso avverso l’atto consequenziale, ove non siano dedotti vizi autonomi di quest’ultimo (tra gli altri, Consiglio di Stato, Sez. VII, 29 agosto 2022, n. 7525).
Nella specie, in particolare, la possibilità di deliberare con la presenza di due dipendenti e la prevalenza in caso di parità del volto del Presidente risultavano previste dalla Delibera AGCM 24 maggio 2017, n. 26614 contenente il “regolamento concernente l’organizzazione e il funzionamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato”, come correttamente eccepito dalla società Sky (memoria del 30.11.2021).
Tale regolamento prevedeva infatti che:
– per la validità delle riunioni dell’Autorità era necessaria la presenza del Presidente e di un Componente, ovvero di due Componenti (art. 6);
– le deliberazioni dell’Autorità dovevano essere adottate a maggioranza dei votanti. In caso di parità prevaleva il voto del Presidente ovvero, in sua assenza, del Componente che ne assumeva temporaneamente le funzioni (art. 7).
Ne deriva che, in parte qua, il provvedimento impugnato in prime cure risultava coerente con quanto previsto dalla disciplina regolamentare rimasta inoppugnata, abilitante una votazione sia con la presenza di due soli componenti, sia con il voto prevalente in caso di parità del Presidente o del componente facente funzioni di Presidente: l’ipotetica illegittimità di un tale modus procedendi, dunque, sarebbe derivata dalla presupposta disciplina regolamentare, abilitante un’attività asseritamente illegittima.
L’omessa impugnazione dell’atto presupposto, in ipotesi viziato per avere consentito una deliberazione senza la presenza del Presidente, impedisce l’accoglimento del ricorso avverso l’atto dipendente assunto in sua attuazione, censurabile per vizi propri ma non (come avvenuto nel caso di specie) per vizi derivati da una disciplina regolatoria rimasta inoppugnata e, dunque, incontrovertibile ai fini della soluzione dell’odierna controversia.
8.4.2 In ogni caso, si osserva che nella specie, alla stregua di quanto emergente dall’istruttoria disposta in grado di appello e, in particolare, dal verbale della seduta consiliare prodotto dall’Autorità, il provvedimento impugnato in prime cure è stato assunto con il voto unanime dei due componenti presenti.
Né potrebbe mettersi in dubbio una tale circostanza facendo leva sulla sinteticità della verbalizzazione operata dall’Autorità.
L’incompletezza del verbale, di per sé, non costituisce infatti una forma di invalidità dell’atto ivi documentato, rendendo soltanto più agevole per la parte che intenda contestare l’illegittimità delle modalità di esercizio del pubblico potere, fornire gli elementi di prova a supporto delle proprie censure, non essendo onerata a ricorrere al rimedio della querela di falso.
In particolare, con riguardo alla verbalizzazione delle operazioni di gara, ma con la formulazione di principi generali in tema di verbalizzazione di attività amministrativa applicabili anche al caso di specie, la giurisprudenza di questo Consiglio (Adunanza Plenaria, 3 febbraio 2014, n. 8) ha rilevato che, fermi di massima sul piano funzionale i principi di sufficienza ed esaustività del verbale, in assenza di specifiche regole procedimentali a livello di disciplina generale, non può essere elevato di per sé a vizio del procedimento (nel profilo della violazione di legge) l’omessa indicazione in verbale di operazioni singolarmente prese in considerazioni; anche “in ossequio al principio di conservazione dei valori giuridici, il quale porta ad escludere che l’atto deliberativo possa essere viziato per incompletezza dell’atto descrittivo delle operazioni materiali, tecniche ed intellettive ad esso preordinate, salvo i casi in cui puntuali regole dettate dall’amministrazione aggiudicatrice indichino il contenuto essenziale del verbale”.
In definitiva, in ossequio al principio di conservazione dei valori giuridici, l’atto deliberativo non può ritenersi essere viziato per incompletezza dell’atto descrittivo delle operazioni materiali, tecniche ed intellettive ad esso preordinate, salvo i casi in cui puntuali regole dettate dall’Amministrazione indichino il contenuto essenziale del verbale (cfr. Consiglio di Stato Sez. V, 11 settembre 2019, n. 6135).
Avuto riguardo al caso di specie, il verbale acquisito agli atti del giudizio, pure non menzionando espressamente il voto unanime dei componenti, dà atto che l’Autorità, “su proposta della Relatrice, delibera nei termini indicati”, nonché “approva… la versione dello schema di decisione in cui i dati per i quali le parti hanno evidenziato giustificate esigenze di riservatezza o segretezza sono stati omessi ovvero sono stati indicati…”.
Non emergono, pertanto, elementi dai quali desumere l’esistenza di un voto contrario di uno dei due componenti con l’assunzione della delibera sulla base del voto prevalente del Presidente: il riferimento all’esistenza di una delibera assunta su proposta della relatrice, unitamente alla mancata specifica di posizioni discordi e dell’applicazione della regola riferita alla prevalenza del voto presidenziale, di contro fa ritenere che la votazione sia stata unanime. Né la parte appellante ha fornito la prova contraria, dimostrando che nella specie il voto era discorde e l’atto era stato assunto sulla base del voto prevalente del componente facente funzioni presidenziali.
8.4.3 Ciò rilevato sul piano fattuale, non può ritenersi che il provvedimento impugnato in prime cure sia illegittimo in quanto assunto con il voto (unanime) di due soli componenti, in assenza del Presidente dell’Autorità, al tempo ancora in carica.
Al riguardo, giova richiamare i principi espressi dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui “la strutturazione di un organo collegiale di natura amministrativa quale collegio perfetto, sebbene integri opzione a più riprese prescelta dal Legislatore, non risponde ad un interesse di carattere assoluto: la giurisprudenza amministrativa è consolidata nello statuire che il collegio perfetto non è un modello indispensabile per gli organi collegiali amministrativi, dovendosi avere riguardo alle peculiarità della relativa disciplina (Consiglio di Stato sez. IV,14 maggio 2014, n. 2500, Consiglio di Stato sez. VI, 6 giugno 2011 n. 3363); anche la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità civile (cfr. Corte costituzionale 12 marzo 1998 n. 52; Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 24 agosto 1999, n. 603; Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 5 febbraio 1999, n. 39, Corte di Cassazione, Sezione lavoro, 26 aprile 2016, n. 8245) non hanno mai ritenuto necessario, a fini di rispetto dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che organi con attribuzioni amministrative fossero collegi perfetti. Riveste inalterata attualità sul punto, l’insegnamento della giurisprudenza amministrativa secondo il quale “il collegio perfetto è un modello necessario soltanto per gli organi collegiali giurisdizionali, mentre per quelli amministrativi ben può essere previsto un quorum strutturale inferiore al plenum del collegio in relazione alla peculiarità della disciplina da dettare” (Consiglio di Stato, Sez. V, 11 aprile 1991, n. 539)” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 17 del 2018).
La giurisprudenza di questo Consiglio ha ulteriormente evidenziato come la qualificazione dell’organo collegiale in termini di collegio perfetto richieda una previsione di legge che, espressamente o implicitamente, preveda la presenza di tutti i componenti per le attività deliberative e valutative che il collegio medesimo deve operare (sentenze n. 6033 del 2018 e n. 5990 del 2020).
L’indice più sicuro per individuare un collegio perfetto – quando la legge non offra elementi univoci in tal senso – è costituito dalla previsione, accanto ai componenti effettivi, anche di componenti supplenti, essendo lo scopo della supplenza garantire che il collegio possa operare con il plenum anziché con la sola maggioranza, in caso di impedimento di taluno dei membri effettivi, senza che il suo agire sia impedito o ritardato dall’assenza di taluno dei suoi componenti (Sez. VI, n. 3363 del 2011).
Avuto riguardo ai provvedimenti assunti dall’Autorità, si osserva che la fonte primaria non qualifica espressamente l’organo decidente come un collegio perfetto, né prevede la nomina di supplenti o l’invalidità delle deliberazioni dell’organo collegiale assunte in assenza di uno dei componenti. L’art. 10 della L. n. 287 del 1990 prevede, infatti, che l’Autorità è un organo collegiale, costituito da tre membri compreso il presidente ‒ come modificato dall’art. 23, comma 1, lettera d), del D.L. n. 201 del 2011, come convertito dalla L. n. 214 del 2011 ‒, ma nulla aggiunge sul numero minimo di componenti per assumere una decisione.
L’art. 23, comma 2, ultimo periodo, del D.L. n. 201 del 2011, come convertito dalla L. n. 214 del 2011, prevede poi che “ove il numero dei componenti, incluso il Presidente, risulti pari, ai fini delle deliberazioni, in caso di parità, il voto del Presidente vale doppio”.
Il combinato disposto ‒ per cui il numero dei componenti l’organo è stato ridotto a tre (art. 23, comma 1), e la regola del voto doppio in caso di parità (art. 23, comma 2) ‒ conferma l’intenzione legislativa di qualificare il Collegio dell’Autorità come imperfetto, come tale autorizzato a decidere anche in assenza di un suo componente.
In definitiva, come già statuito da questa Sezione (n. 5058 del 2021), deve ribadirsi che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato non costituisce un collegio perfetto ed è demandato ad essa stessa la definizione del suo assetto organizzativo.
Va anche rilevato che, tendenzialmente, tutti i collegi posti al vertice delle autorità indipendenti sono stati portati a tre componenti, sicché risulta assai probabile il verificarsi di situazioni di ‘impasse’ conseguenti all’astensione o all’impedimento di uno dei componenti del collegio, con conseguente necessità di evitare che in ragione di tale impedimento o assenza, l’attività dell’autorità risulti di fatto paralizzata, con chiaro vulnus al principio costituzionale di continuità e di buon andamento dell’amministrazione.
In ragione di tali esigenze, che trovano un diretto aggancio nei principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost., questo Consiglio, anche in relazione a commissioni aventi natura tecnica, ha escluso la qualificazione dell’organo collegiale come collegio perfetto, ove ciò sia incompatibile con le esigenze di speditezza del procedimento amministrativo (la sentenza n. 6518 del 2018, in relazione alle sottocommissioni di valutazione del concorso per magistrato ordinario, ha rilevato che “l’interpretazione volta ad escludere il carattere perfetto del Collegio (oltre che dagli elementi testuali appena richiamati) è confortata dalle esigenze di ragionevole speditezza del procedimento valutativo che discendono dall’articolo 97 Cost. e in esso trovano garanzia”).
8.4.4 Le considerazioni svolte conducono al rigetto della censura attorea.
8.4.4.1 In primo luogo, alla luce dell’approfondimento istruttorio disposto dal Collegio, risulta irrilevante la questione riguardante la prevalenza, in caso di parità, del voto del presidente, ovvero, in sua assenza, del componente che ne assume temporaneamente le funzioni: il provvedimento è stato adottato con il voto unanime dei due componenti del Collegio, privando di ogni consistenza i rilievi facenti sull’assunta illegittimità del valore risolutivo riconosciuto al voto del Presidente o del Presidente facente funzioni.
Non potrebbe neppure ritenersi che, in ragione della prevalenza del voto presidenziale, in una situazione quale quella di specie, connotata dalla presenza di due soli componenti, il voto contrario del componente non facente le funzioni presidenziali sarebbe risultato inutile, con la conseguenza che lo stesso sarebbe stato indotto comunque ad esprimere un voto concorde non potendo in ogni caso mutare l’esito della deliberazione: invero, il voto contrario del componente non esercente le funzioni presidenziali risulta utile non soltanto perché potrebbe pure esimere il relativo componente da responsabilità, in ragione dell’impossibilità di ascrivere allo stesso la delibera non condivisa; ma anche perché potrebbe configurare un ipotetico vizio di legittimità dell’atto, in ragione della supposta illegittimità della regola organizzativa incentrata sulla prevalenza del voto presidenziale.
Difatti, soltanto se il provvedimento fosse assunto con l’unico voto prevalente del Presidente o del componente facente funzioni presidenziali, potrebbe porsi un problema di legittimità dell’operato amministrativo, per la sostanziale trasformazione della natura dell’organo procedente, da collegiale a monocratico, per effetto della sufficienza di un unico voto favorevole per la deliberazione della decisione finale.
Soltanto in tali ipotesi, in altri termini, la disposizione organizzativa del voto prevalente presidenziale assumerebbe rilevanza in quanto in concreto applicata e, dunque, potrebbe essere scrutinata in giudizio, dando luogo ad un possibile vizio di legittimità del provvedimento: il voto contrario del componente non facente funzioni presidenziali, dunque, non sarebbe inutile, in quanto rileverebbe pure sul regime disciplinare della decisione e, dunque, sulla sua stabilità nella regolazione del caso concreto.
8.4.4.2 In secondo luogo, si osserva che l’assenza del Presidente, pure ove non motivata (come, sulla base della documentazione disponibile, sembra essere avvenuto nel caso di specie), non potrebbe configurare un vizio di legittimità del provvedimento finale, facendosi questione, come osservato, di organo collegiale non perfetto, abilitato a deliberare anche senza la partecipazione di tutti i suoi componenti.
Una ipotetica assenza immotivata, in particolare, potrebbe rilevare nei rapporti interni tra l’Autorità e il Presidente, potendo configurare una violazione dei doveri di ufficio, fonte di responsabilità a carico dell’organo presidenziale, ma non potrebbe influire sul regime dell’atto, come osservato suscettibile di essere assunto anche in assenza del Presidente, a prescindere dalle ragioni che ne abbiano determinato la mancata partecipazione al voto.
Una tale soluzione risponde, del resto, alle richiamate esigenze di speditezza e tempestività dell’azione amministrativa, non potendo l’assenza o l’impedimento di un componente, specie ove non giustificata, comportare la paralisi dell’azione amministrativa, in conseguenza dell’impossibilità della deliberazione.
8.4.4.3 In definitiva, il terzo motivo di appello deve essere rigettato anche nella parte in cui tende a censurare infondatamente la trasformazione di un organo collegiale in organo monocratico, emergendo nella specie una delibera assunta con metodo collegiale (e, dunque, con il concorso di più voti concordi) da parte di un organo non perfetto, abilitato a provvedere anche a fronte dell’assenza o dell’impedimento, per quanto immotivati, di uno dei suoi componenti; rimane ferma, nell’ambito del rapporto di servizio con l’Autorità, l’eventuale responsabilità individuale del componente assente (per violazione dei doveri di ufficio, suscettibili pure di imporre la presenza alle riunioni consiliari in assenza di un giustificato impedimento), tale, comunque, da non influire sul regime dell’atto in concreto assunto.
8.5 Infine, deve essere esaminata l’ultima censura, articolata sempre nell’ambito del terzo motivo di ricorso, riferita all’asserita anticipazione del giudizio dell’Autorità rispetto all’adozione della decisione conclusiva. Per ragioni di connessione, tale censura deve essere trattata unitamente al sesto motivo di appello.
8.5.1 A giudizio dell’appellante, il medesimo collegio, prima della decisione finale, avrebbe espresso pareri specifici su quanto oggetto del procedimento sanzionatorio, incentrati sulle medesime critiche alla base dell’atto provvedimentale successivamente assunto; il che determinerebbe, altresì, la violazione dell’art. 6 CEDU, alla stregua della giurisprudenza citata dalla stessa ricorrente.
8.5.2. Tale tesi è sviluppata e precisata pure nell’ambito del sesto motivo di appello, diretto a censurare il capo decisorio con cui il Tar ha escluso la violazione dell’art. 10 L. n. 287/90 e l’integrazione di un vizio di eccesso di potere per sviamento, per avere l’Autorità già deciso prima di avviare l’istruttoria.
La ricorrente richiama, al riguardo, i pareri dell’Autorità sullo schema di decreto legislativo di recepimento della direttiva Barnier e sulla modifica dell’art. 180 LdA, da cui emergerebbe la contrarietà all’esclusiva della SIAE, che avrebbe influenzato l’intero procedimento, determinando l’Autorità a sostituirsi al legislatore nella ridefinizione delle regole sul diritto d’autore.
Il che troverebbe conferma nella comunicazione delle risultanze istruttorie, costituendo i pareri il punto di partenza dell’indagine contro la SIAE.
In tale modo sarebbe stato violato anche il requisito di indipendenza di giudizio ex art. 10 L. n. 287/90.
8.5.3 I motivi di appello sono infondati.
8.5.4 In primo luogo, occorre evidenziare come l’Autorità odierna appellata non assuma natura giurisdizionale, facendosi questione di soggetto istituzionale titolare di una potestà amministrativa, da svolgere attraverso l’adozione di atti provvedimentali sindacabili dinnanzi all’autorità giurisdizionale, nell’ambito di un processo di natura soggettiva incentrato su un pieno sindacato delle modalità di esercizio del potere.
Come precisato dalla Corte costituzionale, “La veste processuale di parte riflette, del resto, la natura del potere attribuito all’Autorità: una funzione amministrativa discrezionale, il cui esercizio comporta la ponderazione dell’interesse primario con gli altri interessi pubblici e privati in gioco. Essa, infatti, al pari di tutte le amministrazioni, è portatrice di un interesse pubblico specifico, che è quello alla tutela della concorrenza e del mercato (artt. 1 e 10 della L. n. 287 del 1990), e quindi non è in posizione di indifferenza e neutralità rispetto agli interessi e alle posizioni soggettive che vengono in rilievo nello svolgimento della sua attività istituzionale (si veda, in questo senso, già Consiglio di Stato, commissione speciale, parere 29 maggio 1998, n. 988/97)” (Corte cost., 31 gennaio 2019, n. 13).
La giurisprudenza della Sezione, al riguardo, ha ripetutamente riconosciuto che la possibilità di impugnare il provvedimento sanzionatorio dinnanzi ad un giudice munito di poteri di piena giurisdizione consente di escludere la violazione del principio del giusto processo applicato ai procedimenti sanzionatori aventi natura afflittiva.
In particolare, si intende dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale in forza del quale “L’art. 6 CEDU prevede che, per aversi equo processo, “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un Tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge”. Come è noto, questa disposizione si applica anche in presenza di sanzioni amministrative di natura afflittiva, alle quali deve essere riconosciuta natura sostanzialmente penale. La Corte di Strasburgo ha elaborato propri e autonomi criteri al fine di stabilire la natura penale o meno di un illecito e della relativa sanzione. In particolare, sono stati individuati tre criteri, costituiti: i) dalla qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, con la puntualizzazione che la stessa non è vincolante quando si accerta la valenza “intrinsecamente penale” della misura; ii) dalla natura dell’illecito, desunta dall’ambito di applicazione della norma che lo prevede e dallo scopo perseguito; iii) dal grado di severità della sanzione (ex plurimis, sentenze 4 marzo 2014, r. n. 18640/10, nella causa Grande Stevens e altri c. Italia; 10 febbraio 2009, ric. n. 1439/03, resa nella causa Zolotoukhine c. Russia), che è determinato con riguardo alla pena massima prevista dalla legge applicabile e non di quella concretamente applicata. All’interno della più ampia categoria di accusa penale così ricostruita, la giurisprudenza della Corte EDU ha distino tra un diritto penale in senso stretto (“hard core of criminal law”) e casi non strettamente appartenenti alle categorie tradizionali del diritto penale.
Al di fuori del c.d. hard core, le garanzie offerte dal profilo penale non devono necessariamente essere applicate in tutto il loro rigore, in particolare qualora l’accusa all’origine del procedimento amministrativo non comporti un significativo grado di stigma nei confronti dell’accusato. La pragmaticità dell’approccio della Corte europea dei diritti dell’uomo ha dunque portato quest’ultima a riconoscere che non tutte le prescrizioni di cui all’art. 6, par. 1, CEDU devono essere necessariamente realizzate nella fase procedimentale amministrativa, potendo esse, almeno nel caso delle sanzioni non rientranti nel nocciolo duro della funzione penale, collocarsi nella successiva ed eventuale fase giurisdizionale (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo 23 novembre 2006, caso n. 73053/01, Jussila c. Finlandia). È, pertanto, ritenuto compatibile con l’art. 6, par. 1, della Convenzione che sanzioni penali siano imposte in prima istanza da un organo amministrativo – anche a conclusione di una procedura priva di carattere quasi giudiziale o quasi-judicial, vale a dire che non offra garanzie procedurali piene di effettività del contraddittorio – purché sia assicurata una possibilità di ricorso dinnanzi ad un giudice munito di poteri di “piena giurisdizione”, e, quindi, le garanzie previste dalla disposizione in questione possano attuarsi compiutamente quanto meno in sede giurisdizionale (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 22 marzo 2016, n. 1164; Sez. VI, 26 marzo 2015 n. 1595 e n. 1596)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 luglio 2018, n. 4211 e 12 febbraio 2020, n. 1047).
Avuto riguardo al caso di specie (dove peraltro la sanzione pecuniaria è stata applicata in misura simbolica), benché la sanzione irrogata dall’Autorità appellante principale – in ragione della natura superindividuale dei beni giuridici coinvolti (tutela delle creazioni intellettuali, influente pure sulla protezione del patrimonio culturale), del grado di severità della sanzione edittale astrattamente applicabile e della sua funzione punitiva e deterrente-, abbia natura afflittiva e “sostanzialmente” penale, comunque, le garanzie imposte dall’art. 6 CEDU devono ritenersi rispettate nel presente giudizio di “piena giurisdizione”.
Il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato comporta, infatti, la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicare della legittimità di tale provvedimento (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 dicembre 2019, n. 8590).
Ne deriva che, essendo garantita all’odierno appellante incidentale la possibilità di ricorrere dinnanzi ad un giudice munito di poteri di piena giurisdizione, non risulta configurabile alcuna violazione del principio del giusto processo.
8.5.5 In secondo luogo, si rileva che nella specie non risulta riscontrabile alcuna anticipazione del giudizio in capo ai componenti del Collegio dell’Autorità intimata, foriera di un dovere di astensione in relazione all’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento antitrust per cui è causa.
Difatti, affinché possa configurarsi la cd. “forza della prevenzione”, tale da condizionare l’organo decidente nello svolgimento della pubblica funzione per avere egli già conosciuto della questione sottoposta al suo giudizio– con conseguente formazione di un’opinione preventiva suscettibile di condizionare la serenità e l’indipendenza di giudizio – occorre che il soggetto procedente abbia già conosciuto della specifica materia oggetto di cognizione.
A tali fini, occorre “una concreta e non generica conoscenza dei relativi fatti rilevanti, così da non potersi reputare tale quello che venga dato in base alla precognizione di generiche e astratte informazioni sulla controversia” (Cass. civ. Sez. Unite, 4 agosto 2021, n. 22302, in relazione all’art. 51 c.p.c.). Non risulta, invece, rilevante la formulazione di affermazioni del tutto generiche, prive di riferimenti anche superficiali al possibile esito del singolo procedimento, avuto riguardo alle contestazioni e ai soggetti sottoposti ad accertamento.
Avuto riguardo al caso di specie, non risulta che il Collegio dell’Autorità, nell’esercizio di una funzione (consultiva) differente rispetto a quella contestata nell’odierno giudizio (di accertamento, di inibizione e di repressione di infrazioni antitrust), abbia espresso un giudizio specifico sull’esito del procedimento per cui è causa, statuendo sulle peculiari contestazioni ivi sollevate.
I pareri richiamati dall’appellante (cfr. doc. 9, 11 e 12 produzione attorea), espressi nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 22 L. n. 287/90, hanno ad oggetto il quadro normativo di riferimento, senza riferirsi specificatamente alle condotte contestate alla SIAE nell’ambito del procedimento concluso con il provvedimento impugnato in prime cure.
In particolare:
– il parere del 1° giugno 2016 riguarda l’attuazione della Direttiva 2014/26/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno;
– il parere del 19 ottobre 2016 riguarda lo schema di D. Lgs. di recepimento della Direttiva n. 26/2014 sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi, previsto dall’articolo 20 della Legge di Delegazione europea 12 agosto 2016, n. 170;
– il parere del 24 novembre 2017 ha ad oggetto due temi, concernenti le misure relative all’introduzione di un equo compenso per tutte le professioni e la riforma della raccolta dei diritti d’autore e le limitazioni poste a tutti i potenziali concorrenti di Siae diversi alle collecting society provenienti da altri Paesi europei.
Si tratta di pareri con cui l’Autorità si è limitata a segnalare alcune criticità, sul piano concorrenziale, della normativa nazionale e degli schemi di atti normativi in corso di approvazione, sollecitando talune modifiche funzionali ad una maggiore liberalizzazione dell’attività di intermediazione del diritto d’autore in Italia, in coerenza con quanto avvenuto con riferimento ai diritti connessi al diritto d’autore.
È stato, ad esempio, precisato che il valore e la ratio stessa dell’impianto normativo europeo vigente in materia risultavano gravemente compromessi dalla presenza, all’interno dell’ordinamento nazionale, di una disposizione ormai isolata nel panorama degli ordinamenti degli Stati membri, che attribuiva ad un solo soggetto (SIAE) la riserva dell’attività di intermediazione dei diritti d’autore, ragion per cui l’intervento di liberalizzazione avrebbe dovuto essere integrato da una riforma complessiva delle modalità di intermediazione dei diritti delineate dalla LDA, senza trascurare una rivisitazione del ruolo e della funzione della SIAE nel mutato contesto. A tali fini, sarebbe stato necessario modificare in senso concorrenziale i principi di delega al tempo in corso di approvazione dal Parlamento ai fini del recepimento della Direttiva 2014/26/UE sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi (parere del 1° giugno 2016).
Parimenti, è stata ribadita la necessità di aprire alla concorrenza il mercato dell’intermediazione del diritto d’autore, tramite l’adeguamento del testo di recepimento alle più favorevoli norme per la libertà d’impresa e, quindi, per la libertà di scelta di autori e utilizzatori contenute nel quadro normativo europeo, accedendo ad una interpretazione sistematica e non meramente letterale delle relative disposizioni (parere del 19 ottobre 2016).
Infine, è stato auspicato che l’intervento di liberalizzazione fosse integrato da una riforma complessiva delle modalità di intermediazione dei diritti delineate dalla LDA, ampliando il più possibile la varietà di scelta, per gli autori, di operatori ai quali affidare la gestione dei propri diritti, includendo ad esempio le entità di gestione indipendenti, così come definite e previste dalla Direttiva 2014/26/UE (cfr. parere del 24 novembre 2017).
Si conferma che, con i citati pareri l’Autorità si è limitata ad auspicare, nell’esercizio di una propria potestà pubblica (consultiva a supporto di organi normativi), talune modifiche del quadro regolatorio di riferimento, senza in alcun modo statuire sulle specifiche contestazioni mosse alla SIAE nell’ambito del procedimento rilevante nell’odierno giudizio o anticipare il giudizio che sarebbe stato espresso nel provvedimento conclusivo.
Peraltro, mentre nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 22 L. n. 287/90 (di competition advocacy) l’Autorità ha formulato una critica del quadro regolatorio vigente e delle misure in corso di adozione in sede normativa, nel provvedimento per cui è causa l’Autorità non ha criticato la disciplina operante in materia, ma ha provveduto alla sua applicazione, contestando pratiche con essa incompatibili perché tese ad estendere la posizione di dominanza a mercati non coperti dalla riserva legale.
In definitiva, non si riscontra alcuna indebita anticipazione del giudizio finale, tenuto conto che i componenti del Collegio dell’Autorità non hanno previamente manifestato la propria posizione sui fatti oggetto del procedimento antitrust o sul relativo esito, ma hanno soltanto espresso un parere sul quadro normativo di riferimento, auspicando una sua modifica in funzione di una maggiore liberalizzazione del settore: tali considerazioni generali e astratte, non recanti alcuno specifico riferimento al procedimento in contestazione, non possono, dunque, palesare alcun condizionamento ai fini della decisione delle specifiche questioni oggetto del provvedimento impugnato in prime cure.
8.5.6 Ne discende, sotto tale profilo, pure l’irrilevanza della questione di legittimità costituzionale posta dall’appellante, peraltro attraverso un inammissibile rinvio agli atti di prime cure (in specie, alle pagg. pag. 22-23 del ricorso di primo grado), in violazione del principio di autosufficienza del ricorso in appello ex art. 101 c.p.a., che impone nello stesso atto tanto di specificare le censure alla sentenza gravata, quanto di riprodurre espressamente le questioni asseritamente non esaminate dal primo giudice.
Difatti, non si ravvisa nella specie alcuna violazione del principio di indipendenza dell’Autorità:
– né in astratto, in quanto la stessa L. n. 287/90, all’art. 10, comma 2, sancisce il principio di indipendenza del giudizio, ragion per cui nessun dubbio di legittimità costituzionale potrebbe al riguardo porsi, emergendo una disciplina che non solo non nega ma perfino afferma espressamente la necessità che l’Autorità operi con indipendenza di giudizio, in assenza di condizionamenti nello svolgimento della pubblica funzione (discendenti, altresì, da un’anticipazione del giudizio sulle medesime questioni ancora da definire);
– né in concreto, non avendo l’Autorità espresso il proprio convincimento, prima della decisione finale, sulle specifiche contestazioni formulate a carico dell’odierna appellante.
9. Con il quarto motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso la violazione dei principi sulla partecipazione e del giusto processo.
9.1 A giudizio dell’appellante, la SIAE non era stata informata del procedimento e non aveva potuto prendervi parte nel rispetto del principio di leale collaborazione. L’incontro avuto tra la SIAE e l’Autorità sarebbe stato richiesto dalla SIAE in ragione dell’imminente recepimento della Direttiva 2014/26/UE non potendo essere, dunque, inteso come partecipazione al procedimento avviato a carico della ricorrente.
La partecipazione avrebbe dovuto essere garantita anche durante la preistruttoria; ciò, soprattutto nel caso in esame, in cui tale fase avrebbe influito sull’istruttoria successiva, come dimostrato dal par. 9 in ordine ai pareri dell’Autorità.
Nella specie, inoltre, le contestazioni dell’Autorità sarebbero mutate nel tempo senza che fossero state prese in considerazione le difese della SIAE e senza, in tale modo, permettere alla stessa di assumere impegni al riguardo. L’iniziale contestazione riguardava la disapplicazione dell’art. 180 LdA, mentre il provvedimento finale sarebbe stato assunto sulla base di contestazioni o ambiti in precedenza non contemplati, quali i repertori stranieri o il settore dell’emittenza, limitandosi alle sole fattispecie ritenute estranee alla riserva.
9.2 Il motivo di appello è infondato.
9.3 Sotto il primo profilo, afferente alla fase preistruttoria, si osserva che la disciplina positiva, dettata dall’art. 10, comma 5, L. n. 287/90 e dal D.P.R. n. 217/98, non impone l’osservanza del principio del contraddittorio e degli obblighi di partecipazione procedimentale nell’ambito della fase preistruttoria, deputata all’acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita (e, dunque, al riscontro della sussistenza e della consistenza dell’infrazione e dei suoi effetti); ciò, al fine di maturare una decisione in ordine all’avvio del procedimento con la sua comunicazione formale ai soggetti interessati.
Invero, l’esigenza di assicurare la difesa della parte in sede procedimentale prima dell’adozione della decisione conclusiva si pone in relazione ad una contestazione in concreto formulata: in assenza di un’ipotesi accusatoria, non emergerebbe infatti alcun addebito da cui potersi difendersi; l’Autorità, inoltre, ben potrebbe astenersi dall’avvio del procedimento antitrust, ove non ritenesse sussistenti elementi in grado di configurare una possibile infrazione alla disciplina di settore.
In tale fase, peraltro, si pone pure una specifica esigenza di segretezza degli accertamenti istruttori, ai fini dell’acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita: un’anticipata comunicazione (anche) dell’avvio della preistruttoria impedirebbe all’Autorità di svolgere quelle verifiche “a sorpresa”, utilmente espletabili solo se non preannunciate, spesso essenziali per valutare l’apparente esistenza dell’infrazione ai fini dell’avio del procedimento. Trattasi, di regola, di verifiche aventi ad oggetto elementi istruttori che la parte sottoposta ad accertamento potrebbe alterare o distruggere ove previamente notiziata dell’avvio del procedimento.
Né una tale interpretazione del dato normativo, ostativa all’estensione del principio di partecipazione procedimentale alla fase preistruttoria, potrebbe porsi in contrasto con i principi del giusto procedimento, tenuto conto che tale fase preliminare non è destinata a concludersi con un atto immediatamente lesivo della sfera giuridica individuale, bensì dà luogo al mero avvio del procedimento, nel cui ambito la parte incolpata è, comunque, posta in condizione di contraddire sugli addebiti formulati, sia attraverso la produzione di memorie e documenti, sia oralmente nell’ambito di apposite audizioni che all’uopo potrebbero essere richieste; in tale modo, la parte ha la possibilità di condizionare in senso a sé favorevole l’esercizio del pubblico potere, prima che lo stesso si traduca nell’adozione di un eventuale provvedimento limitativo della sfera giuridica.
Il Collegio, pertanto, intende dare continuità all’orientamento esegetico, già accolto da questo Consiglio, secondo cui “non meriti condivisione l’indirizzo propenso ad assoggettare alla generale disciplina di cui alla l. n. 241/90 le forme di esercizio del potere di indagine a carattere preliminare: se è vero, infatti, che il raggio di operatività di alcune norme della legge in questione può essere esteso agli organismi preposti all’esercizio di funzioni neutrali, in quanto espressione di principi generali, è parimenti vero, d’altra parte, che a tale conclusione può pervenirsi all’esito di una verifica di tipo logico-giuridico che tenga conto della regolamentazione speciale dettata al riguardo e della ratio alla stessa sottesa. Orbene, nel caso di specie, la duplice circostanza della previsione ad opera della disciplina speciale di un apposito procedimento nel cui ambito è pienamente garantita non la sola partecipazione, ma il contraddittorio dei soggetti interessati, e della espressa limitazione della sfera di efficacia di siffatta previsione a far data dal momento in cui l’Autorità decide di addivenire all’apertura formale della procedura istruttoria tipica induce a dubitare della correttezza di un orientamento volto ad estendere le garanzie procedimentali, ivi comprese, quindi, quelle della comunicazione di avvio della procedura e della partecipazione, alla fase anteriore, nel corso della quale, al contrario, l’Autorità è chiamata ad effettuare una valutazione di tipo preliminare, decidendo se avviare l’istruttoria o decidere il non luogo a procedere: l’informalità di tale fase e la considerazione della sua stretta strumentalità rispetto a quella, eventuale, dell’istruttoria, nel corso della quale il contraddittorio è pienamente assicurato dalla disciplina speciale, sono fattori che inducono a disattendere l’assunto dell’applicabilità anche al caso di specie delle norme della L. n. 241/1990, intese come enunciazione di principi generali ivi operanti” (Consiglio di Stato, sez. VI, 12 novembre 2003, n. 7265).
Alla luce di tali rilievi, il quarto motivo di appello non merita condivisione neppure nella parte in cui tende a denunciare l’inidoneità del colloquio occorso tra il Presidente dell’Autorità e il Presidente della SIAE ad integrare gli estremi della partecipazione procedimentale: sebbene un tale colloquio, in quanto non originato da alcun atto di contestazione, non potesse effettivamente ritenersi consapevolmente rivolto all’esercizio del diritto di difesa endoprocedimentale – non potendo, pertanto, integrare gli estremi del contraddittorio sugli addebiti formulati, essenziale in relazione ai procedimenti a contenuto afflittivo – non risulta ravvisabile alcuna illegittimità provvedimentale, tenuto conto che, vertendosi in tema di preistruttoria, l’Autorità non era tenuta a comunicare all’odierna appellante l’esistenza di denunce a suo carico o la pendenza di accertamenti preliminari in funzione della decisione sull’avvio del procedimento.
In tale fase, come osservato, le verifiche ben potevano essere svolte senza assicurare la partecipazione procedimentale, non essendo destinate a concludersi con l’adozione di un atto immediatamente e direttamente lesivo della sfera giuridica del destinatario.
Una violazione del principio del giusto procedimento avrebbe potuto predicarsi soltanto a fronte di un provvedimento sanzionatorio assunto in assenza di previa contestazione e senza assicurare la necessaria partecipazione procedimentale: nella specie, invece, tali garanzie sono state ampiamente osservate, essendo stata la SIAE posta in condizione di esercitare il proprio diritto di difesa, come dimostrato dal contraddittorio cartolare e orale in concreto svoltosi, attraverso la presentazione di memorie e l’audizione dei rappresentanti della società prima dell’adozione del provvedimento conclusivo.
9.4 Il motivo di appello non può essere accolto neppure nella parte in cui mira a censurare un’indebita mutazione dell’oggetto della contestazione, per avere l’Autorità sanzionato condotte differenti rispetto a quelle in origine contestate.
A giudizio della ricorrente, “l’iniziale accusa dell’Autorità era volta a disapplicare l’art. 180 LdA sostenendo che l’intermediazione svolta da soggetti che non potevano operare era invece legittima (l’estensione della riserva era forse un “di cui” di simile prospettazione). E SIAE non poteva certo assumere impegni sull’art. 180 LdA. Il provvedimento finale, invece, muta prospettiva (introducendo contestazioni o ambiti che prima non erano contemplati, come ad es. i repertori stranieri o il settore dell’emittenza) e sostiene di “limitarsi” alle sole fattispecie asseritamente estranee alla riserva e sulle quali invece SIAE avrebbe per assurdo potuto condividere eventuali impegni”.
9.4.1 In presenza di procedimenti suscettibili di concludersi con l’irrogazione di una sanzione punitiva in senso lato, trova applicazione il principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a fondamento della sanzione, costituente un corollario del principio del giusto procedimento, essenziale per garantire il diritto di difesa della parte incolpata, da porre in condizione di conoscere previamente gli addebiti formulati nei propri confronti e, dunque, di difendersi su quanto previamente contestato.
Un tale principio, tuttavia, “può ritenersi violato soltanto qualora l’Autorità deduca circostanze nuove, non preventivamente sottoposte a contraddittorio, implicanti una diversa valutazione dei fatti addebitati, salvo si tratti di deduzioni del tutto secondarie che non modifichino in alcun modo il quadro generale della contestazione” (Consiglio di Stato Sez. VI, 9 maggio 2022, n. 3570).
9.4.2 Nel caso di specie, il Collegio non ravvisa alcuna violazione del principio del giusto procedimento, sub specie di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito accertato (attraverso l’adozione del provvedimento conclusivo), avendo l’Autorità sanzionato le condotte (nei confronti degli autori, degli utilizzatori e delle società di gestione collettiva estere) già contestate con l’atto di avvio del procedimento e con la successiva comunicazione delle risultanze istruttorie.
In particolare, nel provvedimento di avvio del procedimento (doc. 2 prodizione attorea), l’Autorità aveva contestato l’estensione della riserva legale ad aree dalla stessa esulanti (cfr. par. 44), precisando che il tema della disapplicazione della normativa nazionale risultava soltanto eventuale: al par. 69 della stessa comunicazione di avvio del procedimento, l’Autorità aveva rilevato che “la presente istruttoria è, altresì, volta a valutare se le condotte poste in essere alla normativa di settore e, in particolare, all’articolo 180 LDA”, occorrendo valutare se fosse necessario disapplicare la disciplina interna, in quanto in contrasto rispetto alle norme di diritto europeo in materia di concorrenza (articoli 101, 102 e 106 del TFUE e 4, comma 3, del TUE) e di libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi (articoli 49 e 56 del TFUE, nonché la citata Direttiva Barnier).
Ne deriva che la contestazione originaria non si esauriva nella deduzione di condotte conformi alla disciplina nazionale all’uopo da disapplicare, bensì aveva ad oggetto pratiche abusive per estensione della posizione di dominanza ad ambiti non riservati. La disapplicazione costituiva un tema soltanto eventuale, che si aggiungeva a quello dell’emersione di condotte illecite (valutate tale già secondo la normativa nazionale vigente), tese ad estendere la posizione di dominanza ad ambiti di mercato sottratti alla riserva legale.
Parimenti, anche la comunicazione delle risultanze istruttorie (doc. 3 produzione attorea) risultava incentrata sulla sussistenza di condotte escludenti aventi ad oggetto pratiche abusive nei confronti degli autori, degli utilizzatori e delle collecting estere, nonché poneva il tema della disapplicazione della normativa interna soltanto come “eventuale” (par. VI), a dimostrazione, anche in tale caso, di come la contestazione non si esaurisse nella supposta incompatibilità della disciplina interna rispetto a quella unionale.
Peraltro, la stessa Autorità rilevava che, anche prima della modifica dell’art. 180 LDA (avvenuta a partire dal 16.10.2017), tale disposizione ben poteva essere letta, alla luce della Direttiva Barnier, “in maniera conforme ai principi unionali” (par. 301), con la conseguenza che, “adottando un’interpretazione dell’art. 180, commi 1 e 2 LDA orientata ai principi unionali sopra richiamati, le condotte qui contestate costituiscono violazione dell’art. 102 TFUE imputabili a SIAE” (par. 301).
Parimenti, alla stregua della disciplina nazionale vigente dal 16.10.2017, “a maggior ragione, la norma poteva essere interpretata in maniera conforme ai principi unionali. Adottando, pertanto, un’interpretazione dell’art. 180, commi 1 e 2 LDA nuova formulazione orientata ai principi unionali sopra richiamati, SIAE avrebbe dovuto astenersi dall’ostacolare l’attività di collecting concorrenti, ivi incluse quelle costituite legittimamente in forma di EGI” (par. 306).
Ne deriva che, anche nella comunicazione delle risultanze istruttorie, l’Autorità ha confermato l’esistenza di pratiche illecite alla stregua della disciplina interna suscettibile di essere intesa ed applicata in maniera conforme a quanto previsto in ambito unionale, ponendosi il tema della disapplicazione soltanto in via subordinata, nell’ipotesi in cui il Collegio avesse ritenuto che l’art. 180 LDA imponesse alla SIAE pratiche escludenti dei concorrenti.
Ne discende che il Collegio, nel fornire una lettura della disciplina interna in senso compatibile con quella unionale – tale, dunque, da escludere la necessità di una disapplicazione in sede amministrativa- non ha modificato la contestazione risultante dall’atto di avvio del procedimento o dalla comunicazione delle risultanze istruttorie, ma ha accolto un’interpretazione unionalmente orientata che era stata proposta negli atti infraprocedimentali, con conseguente piena coerenza tra addebito contestato (che non presupponeva necessariamente la disapplicazione della disciplina interna) e addebito ascritto (che, parimenti, è stato confermato sulla base di una lettura del diritto nazionale coerente a quello europeo).
Risulta, in definitiva, confermata l’osservanza del principio di corrispondenza tra addebito contestato e addebito sanzionato, non riscontrandosi nella specie alcuna violazione delle garanzie difensive della parte incolpata, posta in condizione di controdedurre (anche ai fini della presentazione di impegni) sulle contestazioni poste a base del provvedimento conclusivo assunto dal Collegio.
10. Con il quinto motivo di appello è censurato il capo decisorio con cui il Tar ha escluso la violazione dell’art. 3 L. n. 689/81 in relazione all’asserita assenza dell’elemento soggettivo.
10.1 La natura e il ruolo attribuito alla ricorrente avrebbe impedito alla stessa di interrompere le condotte in esame lasciando il diritto d’autore senza tutela: inoltre, la presenza di un dubbio non significherebbe violazione o consapevolezza.
Peraltro, tra le stesse parti e per gli stessi fatti sarebbero state emesse tre pronunce favorevoli alla SIAE (cfr. sentenza n. 8352/18 del Tribunale di Milano, ordinanza 1350/2018 del Tribunale di Milano e ordinanza 23.11.2018 del Tribunale di Roma).
10.2 Il motivo di appello è infondato.
10.3 Preliminarmente, come si osserverà infra nella disamina degli elementi costitutivi dell’illecito contestato all’odierna appellante, si rileva che “per constatare lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante ai fini dell’applicazione dell’articolo 102 TFUE, un’autorità garante della concorrenza non è affatto tenuta a dimostrare l’esistenza di un intento anticoncorrenziale in capo all’impresa in posizione dominante” (Corte di Giustizia,12 maggio 2022, in causa C-377/20, Enel Energia SpA, punto 62).
Ne deriva che, per l’accertamento dello sfruttamento abusivo della posizione dominante sul mercato rilevante e per l’irrogazione delle misure inibitorie è sufficiente l’antigiuridicità oggettiva della condotta, non potendo escludersi l’infrazione in ragione di una presunta buona fede dell’agente o, comunque, dall’assenza di dolo o colpa, elementi suscettibili di rilevare ai soli fini dell’assoggettamento alla sanzione pecuniaria.
Le deduzioni attoree, volte a valorizzare l’assenza di un tale elemento soggettivo, non possono, dunque, impedire la configurazione dell’infrazione e, per l’effetto, non sono idonee ad escludere la violazione dell’articolo 102 TFUE.
10.4 Le censure svolte con il quinto motivo di appello, al più, potrebbero rilevare per escludere i presupposti di irrogazione della sanzione pecuniaria, peraltro applicata nel caso di specie in misura simbolica, per un importo di € 1.000,00.
L’accertamento dell’elemento soggettivo -quanto meno della colpa-, pure non rilevante (come osservato) ai fini dell’accertamento dell’infrazione e dell’adozione delle misure inibitorie, costituisce, infatti, il presupposto necessario per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie (Consiglio di Stato, sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 4733), facendosi questione di misure punitive, che devono trovare giustificazione in un giudizio di rimprovero personale nei confronti dell’agente.
Nella specie, ai fini della soluzione della controversia, il Collegio non deve statuire sulla necessità o meno di ascrivere in capo all’Autorità procedente l’onere di allegare e dimostrare l’esistenza di una condotta (quanto meno) colposa, tenuto conto che l’Autorità ha compiutamente allegato e documentato gli elementi da cui poter desumere un tale coefficiente psicologico.
Premesso che la colpa è suscettibile di estrinsecarsi non soltanto nell’oggettiva violazione di norme cautelari, ma anche nella concreta possibilità dell’agente di uniformarsi alla regola, valutando le sue specifiche qualità personali e la situazione di fatto in cui ha operato (Cass. pen. Sez. IV, 13 gennaio 2021, n. 1096), l’Autorità non si è limitata a presumere la colpa dell’agente, ma ha evidenziato compiutamente le ragioni per cui dovesse negarsi la buona fede dell’odierno appellante, emergendo un intento escludente, certamente idoneo a giustificare l’assoggettamento a sanzione.
In particolare, l’Autorità ha rilevato che “la documentazione raccolta nel corso del procedimento è indice della consapevolezza della possibile illiceità antitrust delle condotte poste in essere dalla SIAE” (par. 250).
10.5 La documentazione acquisita al giudizio dimostra effettivamente l’esistenza di dubbi, all’interno della stessa governance della SIAE, sulla liceità delle condotte da tenere.
Al riguardo, è possibile richiamare lo scambio di e-mail interno alla SIAE prodotto:
– sub doc. 9 produzione dell’Autorità di primo grado, recante (tra l’altro): a) una mail del 13.1.2016, con cui il Direttore del Servizio Associati e Mandanti URP e Fondo di Solidarietà della SIAE poneva una serie di quesiti, relativi alla richiesta di limitazione di diritti presentata da un editore, aventi ad oggetto la detenzione del potere di gestire l’opera, la possibilità di incassare legittimamente compensi per gli altri aventi diritto, l’individuazione delle tipologie di utilizzazione intermediabili; b) una mail del 19.1.2016, con cui un esponente della Divisione Affari legali confermava la necessità o, quanto meno, l’opportunità di un urgente e comune approfondimento;
– sub doc. 12 produzione dell’Autorità di primo grado, recante una mail del 10.2.2017 con cui il Direttore della Divisione Licenze e Servizi Centrali della SIAE confermava che “lo schema di gioco prevalente – al momento – è quello di autorizzare ed incassare il 100% delle opere amministrate anche in quota parte”. Una volta ricostruita tale prassi, lo stesso direttore riteneva che quanto rappresentava potesse costituire “il punto di partenza tecnico per riflettere e verificare la solidità dell’approccio che abbiamo definito per il futuro, e per immaginare eventuali modifiche…”;
– sub doc. 28 produzione dell’Autorità di prime cure, recante uno scambio di mail interno alla SIAE in cui si segnalava la delicatezza del passaggio riferito al rigetto di una richiesta di pagamento immediato di un autore che aveva revocato il mandato a SIAE, a dimostrazione di come il tema non fosse di facile e certa soluzione.
Da tali documenti emerge come, all’interno della dirigenza della SIAE, vi fossero dubbi sulle modalità di azione da osservare in concreto, occorrendo approfondire la loro compatibilità con il disposto normativo di riferimento: la presenza di dubbi sulla liceità della condotta da tenere non consente di escludere un atteggiamento (quanto meno) colposo assunto dall’odierna appellante, la quale, ben potendo rappresentarsi la difformità delle pratiche in concreto attuate rispetto al quadro normativo di riferimento, avrebbe dovuto tenere un atteggiamento maggiormente cauto, astenendosi dalle condotte di dubbia liceità, anche in considerazione della particolare responsabilità che incombeva in capo alla SIAE per via della sua posizione dominante detenuta sul mercato.
10.6 Né potrebbe argomentarsi diversamente sulla base dell’esistenza di pronunce giurisprudenziali favorevoli alla SIAE, tenuto conto che:
– tali pronunce non riguardavano la rilevanza antitrust delle specifiche condotte per cui è causa, valutate nella loro complessiva interazione ai sensi dell’art. 102 TFUE;
– in ogni caso, nello stesso provvedimento impugnato in prime cure vengono richiamati precedenti giurisprudenziali volti a sostenere un indirizzo esegetico opposto a quello valorizzato dalla SIAE, in specie in relazione al tema del repertorio estero (cfr. nota 24);
– come precisato dalla giurisprudenza ordinaria (Cass. pen. Sez. V, 18 gennaio 2017, n. 2506), l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma, non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d’ignoranza inevitabile della legge penale; al contrario, “il dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino cioè, secondo quanto emerge dalla sentenza 364 del 1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga l’incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità (Sez. 2, n. 46669 del 23/11/2011 – dep. 19/12/2011, P.G. in proc. De Masi e altri, Rv. 25219701)”.
Per l’effetto, l’esclusione di colpevolezza per errore di diritto dipendente da ignoranza inevitabile della legge può essere giustificata da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell’agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione del disposto normativo: di contro, in caso di giurisprudenza non conforme o di oscurità del dettato normativo sulla regola di condotta da seguire non è possibile invocare la condizione soggettiva di ignoranza inevitabile, atteso che, in caso di dubbio, si determina un obbligo di astensione dall’intervento, con l’espletamento di qualsiasi utile accertamento volto a conseguire la corretta conoscenza della legislazione vigente in materia.
Avuto riguardo al caso di specie, non facendosi questione di un quadro normativo e giurisprudenziale chiaro e univoco, come dimostrato dagli stessi dubbi manifestati all’interno della SIAE, la decisione di agire, comunque, con il rischio di contravvenire alla normativa vigente in materia, anche antitrust, non consentiva di escludere la colpevolezza della condotta in concreto tenuta.
10.7 La sentenza del Tar deve, in definitiva, essere confermata anche in relazione all’ascrizione di una responsabilità amministrativa per l’illecito in concreto commesso; ciò, ai fini dell’irrogazione della sanzione pecuniaria di € 1.000,00 applicata con il provvedimento impugnato in primo grado.
L’Autorità non si è infatti limitata a richiamare, oggettivamente, le condotte rilevanti per l’integrazione dell’infrazione, ma ha allegato e documentato puntualmente le circostanze fattuali da cui potere desumere la colpevolezza dell’agente.
Trattasi di valutazione corretta, emergendo un quadro probatorio (appena richiamato) tale da dimostrare come le condotte in contestazione non fossero il frutto di un errore scusabile, idoneo ad escludere la colpevolezza dell’agente, bensì fossero tenute nella “la consapevolezza della possibile illiceità antitrust delle condotte poste in essere dalla SIAE”.
Si tratta, dunque, di elementi tali da dimostrare positivamente il coefficiente di colpevolezza alla base dell’irrogazione della sanzione pecuniaria per cui è causa.
11. Con il settimo motivo di appello viene censurata la sentenza di primo grado, nella parte in cui il Tar, affrontando il merito delle condotte contestate, ha rigettato le censure attoree.
11.1 Al riguardo, l’appellante, dopo avere dedotto l’impossibilità di considerare escludenti comportamenti rivolti nei confronti di chi non poteva ex lege operare, evidenzia come il Tar abbia omesso di precisare i comportamenti ritenuti essenziali per l’integrazione dell’infrazione contestata e, comunque, abbia valorizzato condotte invero riconducibili all’ambito della riserva ex art. 180 LdA.
L’appellante, nello svolgimento delle proprie censure, provvede quindi ad individuare tre principali condotte in tesi infondatamente contestate e cinque condotte di contorno comunque rientranti nel disposto dell’art. 180 LdA, con conseguente emersione di condotte lecite.
In primo luogo, le tre condotte principali vengono individuate nel repertorio straniero, nelle opere comunicate on-line e nella tutela del plagio.
11.2 Secondo la prospettazione attorea, infatti, il repertorio straniero utilizzato in Italia rientrerebbe nell’applicazione dell’articolo 180 LdA (ai sensi del combinato disposto degli artt. 185 e 186 LdA, 4 D. Lgs. n. 35/17 e 5 della Convenzione di Berna), come pure sostenuto dal Tribunale di Roma nell’ordinanza del 31 ottobre 2018 e dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 32 del 2017.
Del resto, gli esempi presi in considerazione dall’Autorità come casi di ostacolo della SIAE nei confronti della segnalante Soundreef sarebbero stati casi di autori italiani.
11.3 In relazione all’on-line, parimenti, non sussisterebbe alcuna condotta illecita, non imponendo la SIAE ai propri associati o mandanti di affidare ad essa la tutela delle utilizzazioni on line, come dimostrato dagli innumerevoli casi di soggetti che hanno gestito l’on-line all’esterno della SIAE.
La SIAE, inoltre, consentiva l’esclusione dell’on-line dal mandato, che aveva comunque una durata annuale, non potendo ritenersi al riguardo sussistenti vincoli all’entrata o all’uscita.
11.4 Il Tar avrebbe errato, parimenti, nel ritenere sussistenti condotte abusive in relazione alla tutela dal plagio.
Invero, il deposito dell’opera, condizione necessaria per il corretto esercizio del mandato, non dovrebbe essere confuso con il deposito inediti, suscettibile di essere eseguito al solo fine della paternità dell’opera, a prescindere dalla relativa gestione.
Pertanto, valorizzata la distinzione tra il deposito ai fini dell’inedito e il deposito ai fini della gestione, la SIAE non avrebbe potuto svolgere l’attività di intermediazione senza disporre dell’opera: pure la marcatura temporale apposta al momento del deposito risulterebbe “una circostanza di fatto imprescindibile e non certo frutto di escamotage preordinati al fine di danneggiare soggetti terzi” (pag. 31 ricorso in appello).
In definitiva, il deposito dell’opera non interferirebbe con il plagio, dovendo il bene protetto essere depositato presso l’intermediario incaricato della relativa gestione, ferma rimanendo la possibilità di un suo deposito anche presso operatori: circostanza mai impedita dall’appellante.
11.5 La Siae, dopo essersi soffermata sull’on line, sul repertorio straniero e sul plagio, ha preso in esame gli ulteriori comportamenti contestati dall’Autorità, ritenuti rientranti nella riserva di cui all’art. 180 LdA.
Al riguardo, l’appellante sostiene, in primo luogo, l’impossibilità di riscontrare uno sfruttamento abusivo di posizione dominante in relazione a condotte coperte dalla riserva di legge, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l’effetto escludente discenderebbe direttamente dal dato normativo.
Né potrebbe ricorrersi alla nozione di coacervo di condotte, per ritenere che la mancata configurazione di uno dei comportamenti contestati sia ininfluente ai fini della valutazione di abusività della pratica complessivamente esaminata, tenuto conto che, così opinando, l’assenza dell’abuso non potrebbe essere mai dimostrata.
Inoltre, il Tar non avrebbe tenuto conto che la reazione di SIAE all’azione illegittima delle EGI doveva ritenersi conforme al disposto dell’art. 180 LdA, del D. Lgs. n. 35/15 e della direttiva Barnier.
11.6 Passando in rassegna i singoli comportamenti, la Siae inizia la propria disamina dall’autoproduzione e dalla contestata delegittimazione della società Soundreef, rilevando, al riguardo, che nel provvedimento impugnato in prime cure non vi sarebbe alcun caso di autori intenzionati a gestire direttamente, ai sensi dell’art. 180, comma 4, LdA, i propri diritti.
Piuttosto, l’Autorità avrebbe fatto riferimento a casi di singoli autori che non volevano gestire direttamente i propri diritti, ma intendevano procedere al loro affidamento in gestione ad una EGI, nonostante ciò fosse impedito dalla normativa vigente. Anche la contestazione, opposta dalla SIAE, della delega all’incasso conferita alle EGI si traduceva in una pretesa applicazione della disciplina settoriale, in forza della quale anche la delega all’incasso dovrebbe essere ricondotta al disposto dell’art. 180 LdA.
Parimenti, non potrebbe configurare una condotta abusiva il recupero, a cura di SIAE, del proprio credito per diritto d’autore nei confronti degli utilizzatori nell’esercizio di poteri attribuiti ex lege: sotto tale profilo, il caso di Iper Montebello, pure valorizzato dall’Autorità, dimostrerebbe la correttezza dell’operato attoreo, confermato in sede giurisdizionale (sentenza n. 8532 del 2018 del Tribunale di Milano)
11.7 Relativamente alle condotte contestate verso i non iscritti, la ricorrente ritiene possibile una distinzione, ai fini della configurazione di effetti anticompetitivi, tra non iscritti “in assoluto” e non iscritti alla SIAE ma iscritti ad altri organismi di intermediazione.
11.7.1 Secondo la prospettazione attorea, infatti, la pratica di rilascio delle licenze per conto dei non iscritti in assoluto non potrebbe produrre effetti escludenti nei confronti di alcuno.
In tali ipotesi, peraltro, la SIAE interverrebbe soltanto qualora i non iscritti non abbiano rilasciato direttamente licenza in relazione ai propri diritti.
Un tale intervento sarebbe essenziale e teso alla tutela del diritto d’autore, trovando giustificazione nel disposto dell’art. 180, comma 2, LdA, che discorre di “aventi diritto” anziché di iscritti alla SIAE, e nella formulazione dell’art. 180, comma 4, LdA (incentrato sulla locuzione “non pregiudica”), che imporrebbe l’intervento della SIAE nei casi in cui non vi sia l’autoproduzione.
Del resto, sarebbe impossibile per un organizzatore o utilizzatore conoscere gli autori e gli editori di tutte le opere eseguite e, comunque, ottenere una licenza diretta da parte di tutti i non iscritti.
Si giunge, dunque, a configurare una rappresentanza ex lege della SIAE dei non iscritti “in assoluto”.
11.7.2 Quanto ai non iscritti a SIAE ma iscritti ad altri organismi, l’azione della SIAE sarebbe stata tesa a contrastare un soggetto che non poteva operare nell’ordinamento nazionale, con l’emersione di utilizzazioni rientranti nella riserva legale.
La ricorrente evidenzia, inoltre, che i casi contestati dall’Autorità riguardavano opere in comunione, in cui gli iscritti ad altri organismi detenevano quote minoritarie di opere in maggioranza intermediate dalla SIAE, con conseguente applicabilità del disposto dell’art. 10 LdA, correttamente attuato dalle disposizioni statutarie – che prevedevano la presentazione di una dichiarazione tesa a chiarire se gli autori iscritti alla SIAE potessero disporre dell’opera – infondatamente contestate dall’Autorità.
11.7.3 Anche la ripartizione del ricavato della gestione dei diritti d’autore, con un versamento anticipato agli iscritti, sarebbe ragionevole e coerente con quanto previsto dagli artt. 18 e 19 D. Lgs. n. 35 del 2017; la riscossione dell’agio dai non iscritti si giustificherebbe per la gestione di affari operata ex lege dalla SIAE.
11.8 Il Tar avrebbe errato anche nel ravvisare comportamenti abusivi relativi alle blanket licences e, comunque, all’emittenza.
Ribadita l’asserita liceità di licenze rilasciate anche per i non iscritti che non abbiano a loro volta personalmente rilasciato licenze sui propri diritti, la SIAE sostiene che le blanket licences, aventi ad oggetto la messa a disposizione dell’intero repertorio SIAE dal quale l’utilizzatore decide cosa usare, non rappresenterebbero uno strumento di abuso antitrust, ma configurerebbero, come pure precisato dalla giurisprudenza statunitense, uno strumento di controllo e di reazione efficace contro usi non autorizzati.
Peraltro, le blancket licences sarebbero effettivamente pesate, in quanto parametrate alla quantità di musica appartenente al repertorio SIAE in concreto utilizzata, con la previsione di un adeguamento del corrispettivo in ragione del mutamento del palinsesto adottato dalla licenziataria (art. 15 schema-tipo di licenza).
Si tratterebbe di pratica conforme al disposto degli artt. 22 e 23 D. Lgs. n. 35/17 e, comunque, priva di effetti anticoncorrenziali, pure tenuto conto dell’assenza di rilievi in ordine all’imposizione di prezzi sensibilmente più elevati rispetto a quelli praticati, a parità di condizioni, negli altri Stati membri (emergendo, anzi, dagli atti del giudizio la circostanza contraria).
Pure le contestazioni sulla proroga delle licenze non potrebbero essere accolte, anche perché si trattava di proroghe chieste dalle emittenti e non da SIAE.
11.9 Infine, nel ricorso in appello si contestano le statuizioni giudiziali riferite all’esistenza di vincoli in entrata e in uscita in ipotesi imposti dalla ricorrente mediante le categorie di diritti individuate nello statuto e la mancata adozione di una gestione opera per opera.
In relazione alla limitazione del mandato, l’Autorità avrebbe contestato solo un caso in cui l’editore avrebbe invero nei fatti limitato il mandato conferito, non emergendo, per l’effetto, alcuna condotta abusiva. La limitazione ad alcune categorie di diritti, del resto, sarebbe possibile ai sensi del D. Lgs. n. 35/2017.
Con riferimento al frazionamento del deposito delle opere ipotizzato dall’Autorità (con la possibilità di depositare varie opere presso vari organismi di intermediazione) non sarebbe giustificato dalla normativa (art. 4, commi 2 e 4, D. Lgs. n. 35/2017) e non produrrebbe una maggiore efficienza del mercato, determinando, anzi, un contrasto tecnico in ambito internazionale, dove ogni autore viene identificato con un unico codice IPI per tutto il suo repertorio, con la conseguenza che il frazionamento comporterebbe un’incertezza sull’identificazione dell’opera/autore con l’impossibilità di ripartire i compensi maturati.
Le contestazioni dell’Autorità risulterebbero pure infondate ove relative ad ambiti soggetti alla riserva ex art. 180 LdA
12. Preliminarmente, al fine di statuire sulle censure attoree, giova ricostruire, da un lato, gli elementi costitutivi dello sfruttamento abusivo della posizione dominante; dall’altro, il quadro regolatorio di riferimento, per come evolutosi nel tempo, prendendo in considerazione, in particolare, il tema dell’ambito soggettivo della riserva, avuto riguardo agli autori stranieri e agli autori non aderenti alla SIAE.
13. Sotto il primo profilo di indagine, è possibile richiamare la giurisprudenza unionale, confermata e precisata dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 12 maggio 2022, resa a definizione della causa pregiudiziale C- 377/20, Servizio Elettrico Nazionale S.p.A., formatasi in materia di sfruttamento abusivo della posizione dominante.
13.1 Con tale pronuncia, il giudice europeo ha rilevato che:
– lo scopo proprio dell’articolo 102 TFUE è quello di evitare che i comportamenti di un’impresa che detiene una posizione dominante abbiano l’effetto, a danno dei consumatori, di ostacolare, ricorrendo a mezzi o a risorse diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza normale, la conservazione del grado di concorrenza esistente sul mercato o lo sviluppo di tale concorrenza;
– per l’effetto, l’illecito è integrato non soltanto dalle pratiche che possono provocare un danno diretto ai consumatori, ma anche da quelle che li danneggiano indirettamente pregiudicando la struttura di effettiva concorrenza;
– sebbene l’art. 102 TFUE non osti a che scompaiano o siano emarginati sul mercato in questione concorrenti meno efficienti e quindi meno interessanti per i consumatori, segnatamente dal punto di vista dei prezzi, della scelta, della qualità o dell’innovazione, ciò potrebbe lecitamente avvenire soltanto in virtù di una concorrenza basata sui meriti;
– di conseguenza, gli elementi costitutivi dell’infrazione in esame sono rappresentati, da un lato, dalla capacità della pratica, quando è attuata, di produrre un effetto escludente, nel senso che essa può rendere più difficile la penetrazione o il mantenimento dei concorrenti nel mercato di cui trattasi, e, così facendo, può incidere sulla struttura del mercato; dall’altro, dallo sfruttamento di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti.
13.2 Sotto il primo profilo, concernente la capacità della pratica di produrre un effetto escludente, la Corte di Giustizia ha precisato (nella sentenza citata e nella giurisprudenza ivi richiamata) che l’articolo 102 TFUE mira a sanzionare lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di esso indipendentemente dall’eventuale esito fruttuoso di un simile sfruttamento.
Ne deriva che la prova addotta da un’impresa in posizione dominante dell’assenza di effetti escludenti concreti non può essere considerata sufficiente, di per sé, a escludere l’applicazione dell’articolo 102 TFUE: tale circostanza potrebbe costituire un indizio del fatto che la condotta in questione non fosse idonea a produrre gli effetti escludenti dedotti, ma un tale principio di prova dovrebbe essere integrato, dall’impresa sottoposta ad accertamento, con elementi volti a dimostrare che tale assenza di effetti concreti era effettivamente la conseguenza dell’incapacità di detta condotta di produrre simili effetti.
Inoltre, posto che il benessere dei consumatori, sia intermedi sia finali, costituisce l’obiettivo ultimo che giustifica l’intervento del diritto della concorrenza per reprimere lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale del medesimo, un’impresa che detiene una simile posizione può provare che una pratica escludente non incorre nel divieto di cui all’articolo 102 TFUE, dimostrando che gli effetti che tale pratica può produrre sono controbilanciati, se non superati, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori, in particolare in termini di prezzi, di scelta, di qualità o di innovazione.
Lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante, inoltre, è una nozione oggettiva, non richiedendosi la prova di un elemento intenzionale: l’illegittimità di un comportamento abusivo è, infine, indipendente dalla qualificazione di tale comportamento in altri rami del diritto.
13.3 Sotto il secondo profilo, riguardante lo sfruttamento di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti, deve aversi riguardo a qualsiasi pratica:
– per l’attuazione della quale un’impresa dominante non ha alcun interesse economico se non quello di eliminare i suoi concorrenti, in maniera tale da poter poi rialzare i propri prezzi traendo profitto dalla sua situazione di monopolio;
– che non può essere riprodotta da un ipotetico concorrente il quale, benché altrettanto efficiente, non detenga una posizione dominante sul mercato di cui trattasi, poiché tale pratica si basa sullo sfruttamento di risorse o di mezzi propri di una tale posizione.
A tale ultimo riguardo, è possibile fare riferimento alle pratiche tariffarie e non tariffarie.
Quanto alle prime – comprendenti gli sconti di fedeltà, le pratiche di prezzi bassi sotto forma di prezzi selettivi o di prezzi predatori nonché le pratiche di compressione dei margini – occorre applicare il criterio del «concorrente altrettanto efficiente», il quale mira a valutare la capacità che avrebbe un tale concorrente, considerato astrattamente, di riprodurre il comportamento dell’impresa in posizione dominante.
Quanto alle seconde – comprendenti i rifiuti di fornitura di beni o servizi – la scelta di un’impresa dominante di riservare a sé la propria rete di distribuzione non costituisce un rifiuto di fornitura contrario all’articolo 102 TFUE laddove sia possibile per un concorrente creare una rete analoga per la distribuzione dei propri prodotti.
Alle imprese in posizione dominante incombe peraltro, indipendentemente dalle cause di una simile posizione, la responsabilità particolare di non pregiudicare, con il loro comportamento, una concorrenza effettiva e non falsata nel mercato interno: le imprese in posizione dominante possono, infatti, difendersi dai loro concorrenti, ma devono farlo ricorrendo ai mezzi propri di una concorrenza «normale», come osservato basata sui meriti.
In definitiva, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza unionale con la citata sentenza del 12 maggio 2022, la nozione di concorrenza basata sui meriti si riferisce, in linea di principio, a una situazione di concorrenza da cui i consumatori traggono profitto mediante prezzi meno elevati, una qualità migliore e una scelta più ampia di beni e di servizi nuovi o più efficienti.
In tal senso, devono in particolare essere considerati propri della concorrenza basata sui meriti i comportamenti che hanno l’effetto di ampliare la scelta dei consumatori immettendo sul mercato nuovi prodotti o aumentando la quantità o la qualità di quelli già offerti.
13.4 Alla luce di tali rilievi, un’autorità garante della concorrenza assolve l’onere della prova a suo carico se dimostra che una pratica di un’impresa in posizione dominante è idonea a pregiudicare, ricorrendo a risorse o a mezzi diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza normale fondata sulle prestazioni degli operatori economici, una struttura di effettiva concorrenza, senza che sia necessario che la medesima dimostri che detta pratica ha, in aggiunta, la capacità di arrecare un danno diretto ai consumatori.
L’impresa dominante in questione può, tuttavia, sottrarsi al divieto di cui all’articolo 102 TFUE dimostrando che l’effetto escludente che può derivare dalla pratica di cui trattasi è controbilanciato, se non superato, da effetti positivi per i consumatori.
13.5 La pronuncia resa dalla Corte di Giustizia a definizione della causa pregiudiziale C-377/20 rileva nell’odierno giudizio non soltanto per la ricostruzione degli elementi costitutivi dello sfruttamento abusivo della posizione dominante sul mercato, ma anche perché rende inutile un ulteriore rinvio pregiudiziale, pure chiesto da alcune parti (in specie, gli appellanti, principale e incidentali) in ordine a quesiti su cui la Corte di Giustizia ha già statuito.
In particolare, gli appellanti incidentali, con memoria di replica del 3.12.2021, hanno chiesto “che sia disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte UE ex art. 267 TFUE in termini conformi al rinvio già disposto, su questioni analoghe, da codesto Ecc.mo Giudice con ordinanza del 20 luglio 2020 n. 4646”; così come la SIAE, con la memoria del 29.11.2021, ha formulato alcuni quesiti “tratti proprio dall’ordinanza n. 4646/2020”: tali quesiti, tuttavia, sono stati definiti dal giudice europeo con la sentenza del 12.5.2022, intervenuta prima del passaggio in decisione dell’odierna controversia, non sussistendo, pertanto, i presupposti per una nuova rimessione delle questioni al giudice europeo.
Si discorre, infatti, di questioni su cui la Corte di Giustizia ha già recentemente statuito, in tale modo fornendo le indicazioni occorrenti (pure) per la definizione della presente controversia.
Al riguardo, si precisa, altresì, che quei quesiti, tratti sempre dall’ordinanza della Sezione su cui ha statuito il giudice unionale, riferiti alla supposta antigiuridicità di comportamenti tenuti nei confronti di soggetti che in un mercato regolamentato non abbiano i requisiti di legge per operare, sono comunque irrilevanti, in quanto come verrà precisato infra, l’appello è incentrato sull’erroneo presupposto che talune attività (quali il repertorio estero) siano soggette a riserva.
Pertanto, le censure e gli stessi quesiti pregiudiziali posti dall’appellante sono argomentati sulla base di una circostanza inesistente, data dall’illiceità di un’attività di intermediazione svolta in ambiti di mercato invero non riservati e aperti alla concorrenza: un’eventuale risposta della Corte di Giustizia in ordine all’insussistenza di infrazioni ove le condotte siano tenute nei confronti di soggetti operanti illecitamente, sarebbe dunque irrilevante ai fini dell’odierno giudizio, in quanto gli operatori alternativi di mercato non agivano contra legem, ma esercitavano lecitamente la propria attività nei relativi ambiti.
Peraltro, la Corte di Giustizia ha già precisato che “ spetta alle autorità pubbliche e non a imprese o ad associazioni di imprese private garantire il rispetto delle prescrizioni di legge” (Corte di Giustizia, 7 febbraio 2013, in causa C-68/12): l’applicazione di disposizioni di legge può rendere necessarie valutazioni complesse che non rientrano nella competenza di tali imprese o associazioni di imprese private, con la conseguenza che, stante la natura superindividuale dell’interesse concorrenziale, la circostanza per cui un concorrente operi illegalmente non potrebbe, in ogni caso, incidere ai fini dell’accertamento dell’esistenza dei presupposti di un’infrazione alle norme in materia di concorrenza.
Dalla giurisprudenza unionale si traggono, dunque, sicuri elementi per evidenziare come la reazione anticoncorrenziale all’altrui asserito illecito non possa comunque giustificare la violazione delle norme in tema di concorrenza.
14. Definiti gli elementi costitutivi dell’infrazione in parola e il riparto dell’onere probatorio gravante sulle parti, occorre ricostruire il contenuto precettivo della normativa di riferimento – tenendo in debita considerazione il contesto economico e giuridico in cui si inserisce il contestato provvedimento- , per poi soffermarsi sulle singole condotte ascritte all’appellante, al fine di verificarne l’illiceità sul piano antitrust.
15. Al riguardo, tenuto conto che le contestazioni alla base del provvedimento impugnato in primo grado riguardano condotte tenute a partire almeno dal 1° gennaio 2012 e che la normativa nazionale e unionale è stata interessata nel corso degli ultimi anni da rilevanti modifiche, influenti anche sulla perimetrazione della sfera di esclusiva riservata alla SIAE, giova analizzare il quadro regolatorio di riferimento, distinguendo il regime operante fino al 2017, anno di emanazione sia del D. Lgs. n. 35/17 che del D.L. n. 148/17 convertito in L. n. 172/12, dal regime attualmente vigente, come risultante dalla riforma del 2017, condizionata pure dalle innovazioni introdotte dal diritto unionale.
16. Prendendo, dunque, in esame la disciplina nazionale anteriore all’emanazione del D. Lgs. n. 35/17 e D.L. n. 148/17 cit., essa era caratterizzata dalla previsione di una riserva legale in favore della SIAE.
In particolare, per quanto di maggiore interesse ai fini dell’odierno giudizio, l’art. 180 LDA sanciva la riserva “in via esclusiva” alla SIAE dell’attività di “intermediario, comunque attuata, sotto ogni forma diretta o indiretta di intervento, mediazione, mandato, rappresentanza ed anche di cessione per l’esercizio dei diritti di rappresentazione, di esecuzione, di recitazione, di radiodiffusione ivi compresa la comunicazione al pubblico via satellite e di riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate”.
Tale attività veniva esercitata per effettuare: “1) la concessione, per conto e nell’interesse degli aventi diritto, di licenze e autorizzazioni per la utilizzazione economica di opere tutelate; 2) la percezione dei proventi derivanti da dette licenze ed autorizzazioni; 3) la ripartizione dei proventi medesimi tra gli aventi diritto”.
L’esclusiva prevista in favore della SIAE, tuttavia, non poteva pregiudicare “la facoltà spettante all’autore, ai suoi successori o agli aventi causa, di esercitare direttamente i diritti loro riconosciuti da questa legge”; in ogni caso, nella ripartizione dei proventi tra gli aventi diritto, una quota avrebbe dovuto essere riservata all’autore, secondo i limiti e le modalità da determinare in via regolamentare.
Avuto riguardo all’attività di intermediazione svolta in Italia, l’art. 185 la legge 22 aprile 1941, n. 633, con previsioni ancora oggi vigenti, prevedeva e prevede l’applicazione della medesima legge:
– “a tutte le opere di autori italiani, dovunque pubblicate per la prima volta, salve le disposizioni dell’art. 189” (queste ultime riguardanti l’opera cinematografica, il disco fonografico o apparecchio analogo, i diritti degli interpreti, attori o artisti esecutori, la fotografia ed le opere della ingegneria, soggette all’art. 185 in quanto si tratti di opere o prodotti realizzati in Italia o che possano considerarsi nazionali);
– “alle opere di autori stranieri domiciliati in Italia, che siano state pubblicate per la prima volta in Italia”.
Con riguardo alle opere di autori stranieri non domiciliati in Italia o non pubblicate per la prima volta in Italia, l’art. 185 LDA cit. prevedeva e prevede ancora oggi la possibilità di applicare la medesima legge 22 aprile 1941, n. 633 soltanto “quando sussistano le condizioni previste negli articoli seguenti”.
Al riguardo, l’art. 186, comma 1, LDA prevede che le “Le convenzioni internazionali per la protezione delle opere dell’ingegno regolano la sfera di applicazione di questa legge alle opere di autori stranieri.”
Tra le convenzioni internazionali vigenti in materia, particolare rilievo assume la Convenzione di Berna “per la protezione delle opere letterarie ed artistiche, firmata il 9 settembre 1886, completata a Parigi il 4 maggio 1896, riveduta a Berlino il 13 novembre 1908, completata a Berna il 20 marzo 1914, riveduta a Roma il 2 giugno 1928, a Bruxelles il 26 giugno 1948, a Stoccolma il 14 luglio 1967 e a Parigi il 24 luglio 1971”: a tale Convenzione è stata data piena ed intera esecuzione nell’ordinamento italiano con legge 20 giugno 1978, n. 399 (recante, altresì, l’autorizzazione del Presidente della Repubblica alla relativa ratifica).
Ai sensi dell’art. 5, commi 1 e 2, di tale Convenzione, “Nei Paesi dell’Unione diversi da quello di origine dell’opera gli autori godono, relativamente alle opere per le quali sono protetti in forza della presente Convenzione, dei diritti che le rispettive leggi attualmente conferiscono o potranno successivamente conferire ai nazionali, nonché dei diritti conferiti specificamente dalla presente Convenzione. Il godimento e l’esercizio di questi diritti non sono subordinati ad alcuna formalità e sono indipendenti dall’esistenza della protezione nel Paese d’origine dell’opera. Per conseguenza, al di fuori delle clausole della presente Convenzione, l’estensione della protezione e i mezzi di ricorso assicurati all’autore per salvaguardare i propri diritti sono regolati esclusivamente dalla legislazione del Paese nel quale la protezione è richiesta”.
17. Alla stregua del quadro regolatorio, vigente fino al 2017 (l’art. 180 LDA, come si osserverà infra, in particolare, è stato modificato a decorrere dal 16 ottobre 2017), la riserva prevista in via esclusiva in favore della SIAE doveva ritenersi limitata, sul piano oggettivo, ai soli diritti di utilizzazione economica contemplati dall’art. 180, comma 1, cit.; sul piano soggettivo, ai soli autori associati o mandanti, italiani (salve le previsioni di cui all’art. 189 cit.) ovvero stranieri domiciliati in Italia e per opere pubblicate per la prima volta in Italia. La riserva non poteva (di contro) operare, con conseguente liceità dell’attività concorrenziale svolta da altri operatori economici, in relazione ai diritti di utilizzazione non elencati nel comma 1 dell’art. 180 cit. (quali le utilizzazioni on line o la tutela dal plagio) ovvero agli autori stranieri non domiciliati in Italia, agli autori stranieri di opere per la prima volta non pubblicate in Italia o agli autori non iscritti.
Ragioni letterali, sistematiche e teleologiche depongono per una tale conclusione esegetica, coerente altresì con la natura eccezionale delle disposizioni in commento.
18. Iniziando la disamina dall’ambito di applicazione oggettivo dell’art. 180 LDA (nella formulazione anteriore alla riforma del 2017), nonché soffermandosi sul dato letterale, si osserva che è lo stesso legislatore che elencava i diritti di utilizzazione economica da comprendere nell’esclusiva, avendo riguardo ai diritti “di rappresentazione, di esecuzione, di recitazione, di radiodiffusione ivi compresa la comunicazione al pubblico via satellite e di riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate”: in tale elenco non vi erano e non vi sono ancora oggi (tra gli altri) il diritto di messa a disposizione del pubblico dell’opera in maniera che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente, nonché la tutela dal plagio, con la conseguenza che tali ambiti di attività non potevano ritenersi compresi nella portata dell’esclusiva.
18.1 Sul piano sistematico, i diritti elencati nell’art. 180 LDA trovano una propria autonoma regolazione nell’ambito della legge n. 633/41, anche in relazione al mezzo impiegato per il loro esercizio: si vedano l’art. 13 LDA per il diritto di riproduzione, esercitabile attraverso la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l’incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione; l’art. 14 LDA per il diritto di trascrizione, anche in tale caso esercitabile con uno dei mezzi indicati nell’art. 13 cit.; l’art. 15 LDA per il diritto di esecuzione, rappresentazione o recitazione in pubblico, comunque effettuate; l’art. 16 LDA per il diritto di comunicazione al pubblico su filo o senza filo dell’opera, avente per oggetto l’impiego di uno dei mezzi di diffusione a distanza, quali il telegrafo, il telefono, la radio, la televisione ed altri mezzi analoghi e comprendente sia la comunicazione al pubblico via satellite, la ritrasmissione, nonché le comunicazioni al pubblico codificate con condizioni particolari di accesso, sia la messa a disposizione del pubblico dell’opera in maniera che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente.
Per l’effetto, a fronte di una puntuale regolazione dei singoli diritti di utilizzazione economica anche in relazione all’oggetto e alle modalità di esercizio, in applicazione del canone esegetico “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”, si ritiene che la circostanza per cui il legislatore abbia avvertito, nell’art. 180, comma 1, LDA, l’esigenza di regolare l’esclusiva in relazione a taluni soltanto dei diritti di utilizzazione economica all’uopo disciplinati e con riferimento al alcune soltanto delle modalità di loro esercizio, manifesti una volontà contraria, ostativa all’estensione dell’esclusiva, in relazione agli altri diritti e alle altre modalità di esercizio, pure contemplati nell’ambito della stessa legge, ma non richiamate nell’art. 180, comma 1, cit.
18.2 Le disposizioni in commento, ponendo una esclusiva di attività in favore di un dato soggetto, assumono inoltre natura eccezionale e, come tali, devono essere intese ed applicate restrittivamente: l’eccezionalità è riscontrabile ogniqualvolta ad una data fattispecie, caratterizzata da un elemento specializzante (per specificazione o per aggiunta), vengono ricondotti effetti contrari e opposti rispetto a quelli previsti in relazione alla fattispecie generale.
In subiecta materia, viene in rilievo, da un lato, tenuto conto dell’offerta dei servizi, un’attività di intermediazione dei diritti d’autore (rectius, di taluni diritti d’autore), configurante un’attività economica di produzione di servizi per lo scambio sul mercato (come osservato, la SIAE assume la natura di ente pubblico economico, a dimostrazione della sua vocazione istituzionale all’erogazione di un servizio agli utenti), dall’altro, avendo riguardo agli associati e ai mandanti, lo svolgimento dell’autonomia negoziale, sub specie di libertà di associazione e libertà contrattuale, implicante l’adozione di atti dispositivi della propria sfera giuridica.
Ebbene, in via generale, l’ordinamento nazionale è fondato sulla libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost. e sulla libertà contrattuale, alla stessa pure riconducibile (secondo l’opinione prevalente; esiste come noto anche una tesi minoritaria che riconduce tale libertà persino nell’ambito dei diritti inviolabili di cui all’art. 2 Cost.); con la conseguenza che, salvo diverse previsioni, devono ritenersi liberi l’avvio di un’attività di produzione di beni e servizi per lo scambio, nonché l’esercizio dell’autonomia negoziale, estrinsecabile anche nella scelta (oltre che del contenuto del contratto) della persona con cui contrarre.
Le norme che limitano tali libertà assoggettano le fattispecie regolate ad una disciplina contraria rispetto a quella altrimenti applicabile, assumendo pertanto natura eccezionale ex art. 14 disp. prel. c.c.: di conseguenza, esse non possono trovare applicazione oltre i casi e i tempi in esse considerati.
Alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, l’art. 180 LDA, nel porre una riserva esclusiva in favore della SIAE, ha limitato sia l’iniziativa economica di altri operatori interessati a svolgere l’attività di intermediazione dei diritti di utilizzazione riservati, sia l’autonomia negoziale degli autori, non più liberi di scegliere la propria controparte negoziale ai fini del conferimento dell’incarico di intermediazione, stante la necessità, in alternativa rispetto all’auto-produzione, di rivolgersi soltanto alla SIAE.
Del resto, la natura eccezionale delle previsioni in commento discende anche dalla giurisprudenza unionale che, in relazione ad una fattispecie di esclusiva prevista in ambito nazionale, ha ritenuto la relativa disciplina limitativa delle libertà fondamentali sanciti dal diritto primario.
In particolare, la Corte di Giustizia è stata chiamata a pronunciare sulla compatibilità unionale di una normativa di uno Stato membro, che riservava l’esercizio della gestione collettiva dei diritti d’autore relativi a talune opere protette, nel proprio territorio, ad un unico ente di gestione e così facendo impediva all’utilizzatore di tali opere di beneficiare dei servizi forniti da un ente di gestione stabilito in un altro Stato membro.
Al riguardo, il giudice unionale, pure ritenendo nel caso di specie compatibile una tale restrizione con i principi del Trattato (sussistendo uno scopo di interesse pubblico e non risultando violato il principio di proporzionalità), ha comunque evidenziato come “dato che una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale proibisce in concreto la fornitura di un siffatto servizio, essa costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi” (Corte di Giustizia, 27 febbraio 2014, in causa C-351/12, OSA, punto 69); il che conferma la natura limitativa di libertà altrimenti applicabili e, dunque, la riconduzione alle fattispecie regolate di un effetto (di esclusiva) contrario rispetto a quello (di libertà economica e contrattuale) altrimenti operante, costituenti elementi rilevatori della natura eccezionale della disciplina così introdotta.
In definitiva, anche tenendo conto della natura eccezionale delle disposizioni in commento, stante la necessità di salvaguardare comunque i beni primari tutelati in ambito unionale e nazionale della libertà economica e contrattuale, una disciplina quale quella rilevante nella specie, volta a costituire ambiti di riserva esclusiva in favore di un dato soggetto, non può che essere intesa ed applicata in via restrittiva, non risultando riferibile a casi in essa non tassativamente considerati.
18.3 Pure l’elemento teleologico supporta una tale conclusione: la riserva in parola è giustificata certamente dall’esigenza di protezione dei diritti degli autori, oltre che di promozione della cultura e diffusione delle opere dell’ingegno di carattere creativo (così Corte cost. 15 maggio 1990, n. 241): tale riserva, tuttavia, risponde anche alla necessità di un controllo territorializzato di tali diritti, in specie in ordine all’utilizzo delle opere e al pagamento delle remunerazioni dovute (esigenza valorizzata dalla Corte di Giustizia nella sentenza OSA cit. in relazione alla riserva di attività prevista dalla disciplina nazionale ivi esaminata).
Tale controllo è suscettibile di svolgersi in maniera differenziata a seconda che le modalità di utilizzazione delle opere siano on line ovvero off-line: nel primo caso, infatti, la tecnologia impiegabile permetterebbe il controllo sull’utilizzo delle opere anche a distanza, attraverso gli opportuni strumenti informatici a tali fini disponibili; nel secondo, caso, invece, occorre un controllo territorializzato, da svolgere mediante un’apposita struttura ramificata in grado di assicurare verifiche in loco.
L’esigenza di un’esclusiva al fine di assicurare una maggiore protezione dei diritti d’autore potrebbe, dunque, porsi soprattutto per le modalità di utilizzo off-line, che richiedono ingenti investimenti finanziari per permettere all’operatore di realizzare una rete decentrata e, in tale modo, svolgere un controllo diffuso su tutto il territorio nazionale: trattasi di investimenti, a loro volta, forieri di costi economici compensati mediante il riconoscimento del diritto di esclusiva. Analoghe esigenze, di contro, non sembrano porsi per gli utilizzi on line, attesa la possibilità di esercitare un controllo informatizzato che prescinde dalla presenza sul territorio.
Tali rilievi confermano la necessità di circoscrivere l’ambito della riserva a quei settori economici per i quali si pone effettivamente l’esigenza di un controllo territorializzato, per come tassativamente descritti dal legislatore: tra questi, per le ragioni svolte, non sembra possa includersi l’esercizio on line dei diritti di utilizzazione economica, a dimostrazione di come l’esclusiva posta dall’art. 180, comma 1, LDA non possa avere una portata generalizzata.
18.4 Alla luce dell’interpretazione letterale, sistematica e teleologica, rilevata pure la natura eccezionale delle disposizioni in commento, deve ribadirsi che l’ambito di esclusiva delineato dalla precedente formulazione dell’art. 180, comma 1, LDA non poteva, sul piano oggettivo, trovare applicazione ai diritti di utilizzazione economica on line e alla tutela dal plagio, trattandosi di fattispecie non espressamente considerate dalle previsioni eccezionali in commento.
19. Definito l’ambito di applicazione oggettivo, occorre soffermarsi su quello soggettivo, avendo riguardo, in particolare, alla posizione degli autori non associati o non mandanti e agli autori stranieri.
19.1 Quanto ai primi, non merita condivisione la tesi, pure sostenuta dall’odierno appellante, incentrata sulla sussistenza di una rappresentanza ex lege della SIAE.
19.1.1 Anche in tale caso, l’analisi non può prescindere dal dato letterale e deve essere condotta tenuto conto della natura eccezionale delle disposizioni limitative dell’autonomia negoziale individuale.
Con riferimento al dato letterale, l’art. 180 non contiene alcuna disposizione che attribuisce una rappresentanza legale della SIAE in favore degli autori non associati o, comunque, che non abbiano conferito alcun incarico funzionale allo svolgimento in proprio favore dell’attività di intermediazione: piuttosto, l’art. 180, comma 4, LDA sancisce espressamente “la facoltà spettante all’autore, ai suoi successori o agli aventi causa, di esercitare direttamente i diritti loro riconosciuti da questa legge”, il che dimostra come anche negli ambiti di riserva esclusiva delineati dal dato positivo, risultava e risulta ancora oggi possibile per il singolo autore esercitare personalmente i propri diritti di utilizzazione economica, senza ricorrere alla necessaria intermediazione della SIAE.
Ne discende che l’attività di intermediazione non è imposta ex lege, ma risulta facoltativa per i singoli autori, che possono (ma non devono) decidere di ricorrere ai servizi forniti dal monopolista (Corte cost. 15 maggio 1990, n. 241 considera la SIAE quale monopolista): a tali fini, in assenza di diversa previsione, trattandosi di servizi di intermediazione ad adesione volontaria, per il loro espletamento sarebbe necessaria una manifestazione di volontà dell’autore, suscettibile di tradursi nel conferimento di apposito incarico negoziale (discendente o dall’adesione associativa o dalla conclusione di un contratto di mandato).
Non potrebbe diversamente argomentarsi sulla base della disciplina dettata dall’art. 180, comma 5, in forza della quale “[n]ella ripartizione dei proventi prevista al n. 3 del secondo comma una quota parte deve essere in ogni caso riservata all’autore. I limiti e le modalità della ripartizione sono determinati dal regolamento”: invero, tale disposizione non può essere intesa come legittimante la SIAE ad intermediare i diritti di utilizzazione economica anche in favore di autori non associati o non mandanti.
Il legislatore, al riguardo, nel riservare in favore dell’autore una quota dei proventi da ripartire, ha fatto sì riferimento ai destinatari dell’attività di intermediazione (in specie, i beneficiari della ripartizione dei proventi), ma non ha previsto che tali destinatari siano anche gli autori non iscritti o non associati, confermandosi l’assenza di una disposizione tesa ad attribuire alla SIAE un potere di rappresentanza legale in favore di tutti gli autori titolari di diritti soggetti ad esclusiva, a prescindere dal conferimento di apposito incarico negoziale.
Parimenti, la locuzione “aventi diritto” di cui all’art. 180, comma 2, LDA non legittima un’azione di intermediazione in favore di autori non iscritti o non mandanti, ma delinea soltanto il perimetro dei soggetti che hanno titolo alla riscossione dei proventi, da individuare nei titolari dei diritti d’autore: pertanto, la prescrizione tesa a circoscrivere la ripartizione tra gli aventi diritto impedisce alla SIAE di distribuire proventi in favore di soggetti cui non è riconoscibile alcun diritto d’autore in relazione alla singola opera economicamente sfruttata, ma non permette di ascrivere all’odierna appellante una legittimazione, non prevista dal dato positivo, di operare pure per aventi diritto non iscritti o non mandanti.
In definitiva, l’art. 180, nella formulazione anteriore al 2017, riconoscendo un’esclusiva in favore della SIAE, precludeva ad altri operatori economici di svolgere le attività riservate, ma non prevedeva la necessità che tutti gli autori esercitassero i propri diritti esclusivamente attraverso la SIAE, sancendo anzi la libertà di autoproduzione individuale, significativa dell’adesione volontaria e non necessitata al monopolista, legittimato ad operare soltanto in favore degli autori che avessero conferito apposito incarico.
19.1.2 Tale interpretazione trova il conforto del dato sistematico, essendo coerente con il significato precettivo discendente da altre previsioni appartenenti al medesimo sistema regolatorio vigente in materia di intermediazione del diritto d’autore: a tali fini, in particolare, assume rilevanza lo statuto della SIAE che, sebbene avente natura negoziale, costituisce una fonte di disciplina dei servizi erogati dall’odierna appellante.
L’art. 3, comma 8, dello statuto del 2012 (doc. 5 produzione dell’Autorità dell’1 agosto 2022) prevedeva, infatti, che “i titolari di diritti di autore che non intendono associarsi ma che vogliono avvalersi dei servizi della Società possono dare mandato alla stessa alle condizioni che questa determina con deliberazione del Consiglio di gestione…”: tale previsione avvalora la tesi per la quale, in assenza di associazione o di mandato, non vi sarebbe alcun titolo idoneo a legittimare il godimento dei servizi di intermediazione erogati dalla SIAE, con la conseguenza che l’attività di intermediazione comunque svolta sarebbe indebita in quanto priva di una idonea causa giustificatrice.
Anche l’art. 4 D. Lgs. n. 35/17 (come si osserverà amplius infra) prevede, da un lato, che i titolari dei diritti possono affidare ad un organismo di gestione collettiva o ad un’entità di gestione indipendente di loro scelta la gestione dei loro diritti, delle relative categorie o dei tipi di opere e degli altri materiali protetti per i territori da essi indicati; dall’altro, che tali organismi di gestione collettiva agiscono nell’interesse dei titolari dei diritti da essi rappresentati; il che dimostra come la gestione sia destinata agli autori che abbiano affidato il relativo incarico e che, dunque, possano ritenersi all’uopo rappresentati.
19.1.3 Un tale risultato esegetico, ancora una volta, risulta coerente con la natura eccezionale delle disposizioni in commento: nel rinviare alle considerazioni sopra svolte in ordine alla limitazione della libertà economica e contrattuale discendente dalla previsione di una riserva esclusiva, si osserva che l’estensione della rappresentanza della SIAE anche agli autori che non hanno manifestato la volontà di aderire alla società o conferire alla stessa apposito mandato determinerebbe un’indebita compressione della relativa sfera giuridica, imponendo una modifica patrimoniale (suscettibile di tradursi pure nell’applicazione della provvigione dovuta alla SIAE per effetto dello svolgimento di un’attività di intermediazione non richiesta) non voluta o, comunque, non accettata dal singolo.
Per evitare una tale conseguenza, occorre subordinare la modifica della sfera giuridica individuale ad un atto di consenso manifestato dal soggetto inciso, suscettibile di esplicarsi nella richiesta di adesione o nel conferimento del relativo mandato: in assenza, il patrimonio individuale dovrebbe ritenersi insensibile alle iniziative intraprese dalla SIAE, idonee a produrre effetti giuridici nei soli confronti dei propri associati o mandanti.
19.1.4 Anche dalla giurisprudenza europea formatasi in materia sembra possa desumersi l’essenzialità del consenso dell’autore all’altrui attività di intermediazione.
La Corte di Giustizia, infatti, ha evidenziato come, salve eccezioni previste dal diritto unionale, “qualsivoglia utilizzazione di un’opera effettuata da un terzo in assenza di un siffatto previo consenso deve essere considerata lesiva dei diritti dell’autore di detta opera” (Corte di Giustizia, 16 novembre 2016, in causa C-301/15, Soulier, punto 34): tale consenso potrebbe essere pure implicito, a condizione, tuttavia, che l’autore sia effettivamente informato della futura utilizzazione della sua opera da parte di un terzo e degli strumenti di cui dispone per vietarla se intende farlo.
Tale consenso deve ritenersi necessario non solo per autorizzare direttamente l’utilizzo di una propria opera, ma anche per l’autorizzazione indiretta, concessa attraverso il proprio intermediario: del resto, la sentenza Soulier, in cui è stata valorizzata l’essenzialità della manifestazione di volontà autorizzativa dell’autore, è stata resa proprio in relazione ad una disciplina nazionale che affidava ad una società riconosciuta l’esercizio del diritto di autorizzare lo sfruttamento digitale di talune categorie di opera, con conseguente emersione di un’attività di intermediazione incidente sulla sfera giuridica dell’autore.
Deve, in definitiva, escludersi la sussistenza di una rappresentanza legale della SIAE o, comunque, di una sua legittimazione legale ad intermediare diritti di autori non iscritti o non associati, occorrendo che qualsiasi forma di utilizzo dell’opera tutelata sia autorizzata dall’autore, attraverso – a fronte di un’attività di intermediazione –una manifestazione di volontà tesa ad abilitare l’intermediario ad operare a proprio favore (il che, per quanto di interesse, potrebbe discendere tanto dall’adesione alla SIAE, quanto dal conferimento alla stessa di apposito mandato).
19.1.5 Tale conclusione esegetica non può essere contrastata neppure argomentando sulla base del disposto dell’art. 10 LDA o dell’art. 164 LDA.
19.1.5.1 In particolare, il primo articolo riguarda il regime applicabile alle opere create con il contributo indistinguibile ed inscindibile di più persone, prevedendosi al riguardo che il diritto di autore appartiene in comune a tutti i coautori, che le parti indivise si presumono di valore uguale (salvo diverso accordo da provare per iscritto) e che il regime disciplinare è quello della comunione.
Premessa la necessità di dimostrare il presupposto costitutivo del regime in parola, dato dalla creazione di opere con il contributo indistinguibile e inscindibile di più persone (che tale rimane a prescindere dalle future modalità di sfruttamento dell’opera, on line o off line), si osserva che la disciplina della comunione riguarda la formazione della volontà comune nella amministrazione e nella disposizione del bene, ma non legittima un partecipante a disporre della quota di spettanza di altro comunista.
Ogni partecipante alla comunione è, infatti, titolare di una propria quota del bene comune, risultando unico legittimato a disporre e godere della stessa: peraltro, anche ove titolare di una quota minoritaria e soccombente rispetto alla contraria volontà espressa dai comunisti che rappresentino la maggioranza, il partecipante rimane legittimato alla riscossione dei proventi a sé spettanti derivanti dagli atti di gestione approvati dalla maggioranza.
In altri termini, il regime della comunione consente di compiere atti di amministrazione e disposizione del bene comune anche a fronte del disaccordo di alcuno dei partecipanti (salvi gli atti per i quali è richiesto il consenso unanime), ma non attribuisce alla maggioranza il potere di acquisire le utilità spettanti, pro quota, al comunista che abbia espresso il voto contrario al compimento dell’atto di gestione in concreto deliberato.
Per l’effetto, se gli autori titolari delle quote maggioritarie dell’opera conferissero mandato o si associassero alla SIAE, la stessa, a fronte di un’opera creata con il contributo effettivamente indistinguibile e inscindibile di più persone, sarebbe titolare del potere di disporre della res comune – per il compimento di quegli atti per i quali è sufficiente il consenso dei comunisti che rappresentino la maggioranza delle quote gestite dall’intermediario -, ma non potrebbe riscuotere anche i proventi del partecipante non associato o non mandante: questi rimarrebbe titolare della propria quota e, dunque, delle utilità discendenti dalla gestione della res comune, che non potrebbero essere apprese da terzi in assenza di apposito atto di incarico all’uopo conferito.
Ne deriva che l’art. 10 LDA non potrebbe giustificare, comunque, pratiche tese alla riscossione dei proventi di spettanza di autori non aderenti o associati alla SIAE.
19.1.5.2 Parimenti, l’art. 164 LDA, nel riferirsi alle “azioni previste in questa sezione e nella seguente”, prevede che, in caso di iniziativa assunta dalla SIAE, i funzionari “possono esercitare le azioni di cui sopra nell’interesse degli aventi diritto senza bisogno di mandato, bastando che consti della loro qualità”.
Tale disposizione riguarda, le azioni promuovibili a tutela dell’autore, a fronte di atti lesivi da altri compiuti: la previsione che esclude la necessità del mandato è riferita alla proposizione dell’azione, ma non alla gestione dell’opera, mirando a semplificare le azioni di tutela che la SIAE è legittimata a proporre in favore dei propri mandanti e associati.
In particolare, una volta che la SIAE ha ricevuto l’incarico di gestire l’opera, intermediando i diritti d’autore, la stessa non necessita di apposito mandato difensivo per l’esercizio delle azioni di tutela tipizzate dalla L. n. 633/41.
In definitiva, l’art. 164 LDA esclude la necessità di un mandato per l’esercizio dell’azione di repressione dell’altrui condotta illecita, ma non legittima la SIAE a svolgere l’attività di intermediazione in assenza di incarico: la SIAE, dunque, è legittimata ad agire in assenza di mandato, ma pur sempre per la tutela delle opere affidate alla sua cura, attraverso l’adesione associativa o il conferimento del mandato di intermediazione.
19.2 Esclusa una legittimazione ex lege della SIAE ad intermediare i diritti di autori non associati o non mandanti, ai fini della soluzione dell’odierna controversia, assume rilevanza anche il tema degli autori stranieri.
19.2.1 Rinviando alle disposizioni normative sopra descritte, si osserva che il combinato disposto degli artt. 180, 185 e 186 LDA e 5 Convenzione di Berna depone per la limitazione della riserva della SIAE agli autori stranieri domiciliati in Italia e per le opere per la prima volta pubblicate in Italia.
Come osservato, al di fuori di tali condizioni, regolate dall’art. 185, comma 2, LDA, l’applicazione della L. n. 633/41 nella sua interezza (e, dunque, anche nelle previsioni regolante la riserva in commento) è subordinata all’integrazione delle condizioni previste negli artt. 186 e ss. LDA.
A tali fini, rileva l’art. 186, comma 1, LDA che rimette alle convenzioni internazionali per la protezione delle opere dell’ingegno la regolazione della sfera di applicazione della L. n. 633/41.
L’applicazione della riserva ex art. 180 LDA agli autori stranieri (non domiciliati in Italia o per opere non pubblicate per la prima volta in Italia) potrebbe essere predicata, dunque, soltanto se giustificata da pertinenti disposizioni di diritto internazionale convenzionale.
Al riguardo, occorre richiamare l’art. 5 della Convenzione di Berna che riconosce agli autori, nei Paesi dell’Unione diversi da quelli di origine dell’opera, i “diritti che le rispettive leggi attualmente conferiscono o potranno successivamente conferire ai nazionali, nonché dei diritti conferiti specificamente dalla presente Convenzione”: il godimento o l’esercizio di tali diritti non possono essere subordinati ad alcuna formalità (quale una previa registrazione in ipotesi prescritta) e sono indipendenti dalla protezione nel Paese d’origine dell’opera, intendendosi per tale, ai sensi dell’art. 5, comma 4, per le opere pubblicate per la prima volta in uno dei Paesi dell’Unione, tale Paese, ovvero, per le opere pubblicate simultaneamente in più Paesi dell’Unione che concedono durate di protezione diverse, quello la cui legislazione accorda la durata di protezione più breve (la Convenzione prevede poi delle disposizioni specifiche per i casi in cui venga in rilievo la pubblicazione di opere simultanee in un Paese estraneo all’Unione e in un Paese dell’Unione ovvero la mancata pubblicazione o la pubblicazione per la prima volta in un Paese estraneo all’Unione senza pubblicazione simultanea in un Paese dell’Unione)
Si è in presenza di un regime speciale, dettato in relazione alle opere protette dal diritto d’autore, derogatorio rispetto al regime generale operante per i diritti su beni immateriali ex art. 54 L. n. 218/95, incentrato sull’applicazione della legge dello Stato di utilizzazione.
In materia di diritto d’autore, in particolare, le disposizioni italiane, quali disposizioni del Paese dell’Unione (appartenendo la Repubblica italiana all’Unione ai sensi dell’art. 1 della Convenzione, in quanto Paese cui si applica lo stesso atto internazionale), possono trovare applicazione, in via del combinato disposto degli artt. 180, 185 e 186 LDA e 5 Convenzione di Berna, anche qualora l’opera sia stata per la prima volta pubblicata in un Paese diverso dall’Italia (quanto meno nelle ipotesi in cui la pubblicazione rileva per la determinazione del Paese d’origine); ciò, a prescindere dalla nazionalità e dal domicilio dell’autore e, dunque, anche in caso di autore straniero con domicilio estero.
In tali ipotesi, tuttavia, si applicano all’autore straniero che abbia pubblicato la propria opera per la prima volta all’estero i soli “diritti” che la legge italiana conferisce o potrà conferire ai nazionali, nonché i “diritti conferiti specificamente dalla presente Convenzione”.
Il testo convenzionale, dunque, limita l’applicazione delle disposizioni nazionali che conferiscono “diritti” -e, dunque, posizioni di vantaggio soggettivo in relazione ad un bene della vita idoneo alla realizzazione di un bisogno individuale-, senza disciplinare le distinte previsioni che regolano le riserve di attività: queste ultime, come sopra osservato, non possono considerarsi norme attributive di situazioni di vantaggio in capo ai destinatari, determinando, anziché l’ampliamento, la limitazione della sfera negoziale del singolo, cui è impedita (in caso di riserve esclusive) o limitata (in caso di riserve non esclusive) la libertà di scelta della controparte negoziale.
19.2.2 Non potrebbe argomentarsi diversamente, facendo leva sulle previsioni dell’art. 5, comma 2, LDA, in forza delle quali “Per conseguenza, al di fuori delle clausole della presente Convenzione, l’estensione della protezione e i mezzi di ricorso assicurati all’autore per salvaguardare i propri diritti sono regolati esclusivamente dalla legislazione del Paese nel quale la protezione è richiesta”.
Difatti, in primo luogo, tale periodo è introdotto dalla locuzione “per conseguenza”, ponendosi in diretta derivazione dal precedente periodo, riguardante il “godimento e l’esercizio di questi diritti”: sicché, trattandosi di previsioni connesse, regolanti il medesimo ambito materiale, l’estensione e la protezione di cui al secondo periodo corrispondono rispettivamente al contenuto dei diritti (e, dunque, l’estensione della protezione offerta dall’ordinamento) e alle modalità di esercizio attivabili dal singolo (comprensive delle forme di ricorso azionabili nello Stato dell’Unione).
In secondo luogo, la Convenzione di Berna impiega ripetutamente il termine “protezione” per delineare i limiti oggettivi e temporali dei diritti d’autore e, dunque, il relativo contenuto: in particolare, l’articolo 6 discorre di limitazione della protezione delle opere, l’articolo 7 della durata della protezione, l’articolo 14-ter di “protezione stabilita dall’alinea precedente”, riguardante il diritto inalienabile alla cointeressenza in qualsiasi operazione di vendita di cui l’opera sia oggetto dopo la prima cessione effettuata dall’autore. Anche la legge di autorizzazione alla ratifica prevede l’adeguamento della protezione “del diritto morale d’autore” al disposto convenzionale, discorre di “durata della protezione del diritto di autore” e di “regime di proroga di protezione”, impiegando tale locuzione, dunque, per definire l’ambito oggettivo della tutela offerta dall’ordinamento e, dunque, il contenuto dei diritti riconosciuti agli autori.
Si conferma, dunque, che l’applicabilità della legge nazionale del Paese di utilizzazione, nei casi in cui l’opera appartenga ad un Paese differente, per come prevista dalla Convenzione di Berna, non riguarda tutte le disposizioni nazionali, ma soltanto quelle che attribuiscono e delimitano la protezione offerta all’autore, individuando il contenuto dei “diritti” soggettivi allo stesso spettanti, cui espressamente fa riferimento l’art. 5, comma 1, Convenzione di Berna cit.
Come rilevato, le norme che prevedono un’esclusiva o una riserva di attività in favore di un dato Ente, pure animate da esigenze di protezione dell’autore, non descrivono il contenuto dei diritti riconosciuti all’autore, ma pongono limiti alla sfera giuridica individuale, impedendo all’autore di scegliere la parte cui affidare l’intermediazione dei propri diritti soggettivi, per come conformati dalla legge.
19.2.3 Del resto, l’esigenza di distinguere i diritti dalla riserva (dell’attività di intermediazione) discende anche dall’elemento sistematico, descrivendo la L. n. 633/41 la tipologia e il contenuto dei diritti morale e di utilizzazione economica in un titolo (I, il cui capo III è, peraltro, riferito proprio al “contenuto e durata del diritto d’autore”, cui corrisponde in ambito internazionale il contenuto e la “durata della protezione”, ad ulteriore conferma dell’identificazione della nozione di protezione ai sensi della Convenzione di Berna nella nozione di diritto soggettivo in ambito nazionale) differente rispetto al titolo (V) riguardante l’esclusiva della SIAE (quale Ente di diritto pubblico per la protezione e l’esercizio dei diritti di autore).
19.2.4 Infine, anche l’elemento teleologico e la natura eccezionale delle disposizioni sulla riserva depongono per una tale soluzione ermeneutica.
Da un lato, la Convenzione di Berna, nel riconoscere la tutela dei diritti di autore per come conformati nello Stato ospitante dell’Unione, rinvia alle posizioni di vantaggio previste dal diritto nazionale, per rafforzare la tutela soggettiva: non sembra, dunque, ammissibile un rinvio anche a disposizioni che, pure animate da una protezione del diritto d’autore, impongono sacrifici individuali, limitando la libertà di scegliere la parte cui conferire un eventuale incarico di intermediazione.
Dall’altro, come osservato, a fronte di disposizioni eccezionali, deve preferirsi un’interpretazione restrittiva, che ne limiti la portata applicativa: pertanto, in assenza di un’espressa previsione che includa – tra i “diritti” riconosciuti dalla legge dello Stato ospitante – anche le misure limitative della libertà degli autori di scegliere l’intermediatore, deve optarsi per un’interpretazione volta a circoscrivere l’ambito della riserva, evitando che lo stesso sia esteso anche a fattispecie non espressamente menzionate, quali gli autori stranieri non domiciliati in Italia o che abbiano pubblicato per la prima volta l’opera all’estero.
Tali soggetti, da un lato, non sono compresi dall’art. 185 LDA quali destinatari della Legge n. 633/43, dall’altro, pure riconducibili alla Convenzione di Berna (quali autori di opere appartenenti ad un Paese diverso dall’Italia), non sono soggetti espressamente alle misure di esclusiva previste dagli Stati ospitanti.
19.2.5 Non potrebbe giungersi a conclusioni diverse, facendo leva sulla disciplina in materia di riproduzione ad uso privato ex art. 71 sexies e ss. LDA, ritenuta applicabile anche agli autori stranieri non domiciliati in Italia o per opere per la prima volta pubblicate all’estero: invero, in tali ipotesi non si fa questione di misure limitative di diritti individuali, ma di disposizioni che descrivono il contenuto del diritto di autore, regolandone i limiti (come avviene, del resto, pure per le previsioni che individuano i limiti temporali della tutela, sempre incidenti sul contenuto del diritto, specificandone il tempo entro cui può essere esercitato); il che è confermato pure dalla collocazione sistematica della disciplina sulla copia privata, inserita nell’ambito del Titolo I della LDA, riguardante, anziché la riserva di attività, proprio il diritto di autore, in specie il suo contenuto e la sua durata.
Parimenti, non sembra conferente il precedente della Corte di cassazione n. 32 del 2017, pure citato da alcune parti, in quanto intervenuto in materia di diritti di utilizzazione economica riconosciuti all’autore (in specie, si discorreva della durata dei diritti di utilizzazione economica ex art. 25 LDA), senza statuire sul differente tema dell’intermediazione dei diritti di autore: tale precedente, piuttosto, è coerente con le conclusioni esegetiche supra svolte in ordine alla necessità di riconoscere agli autori stranieri i soli diritti riconosciuti dalla normativa nazionale, per come conformati dall’ordinamento interno anche sotto il profilo temporale ex art. 25 LDA, con esclusione, invece, di misure limitative della sfera giuridica individuale, che precludono all’autore la scelta della propria controparte contrattuale (per quanto di interesse, ai fini del conferimento dell’incarico di intermediazione).
20. Una volta rilevata l’applicabilità della riserva esclusiva – per come regolata dagli artt. 180 e ss. LDA nel periodo anteriore al 2017 – ai soli diritti di utilizzazione economica tassativamente richiamati nell’art. 180, comma 1, LDA (con esclusione della tutela dal plagio e delle forme di utilizzazione on line) e ai soli autori nazionali ovvero stranieri domiciliati in Italia e per opere pubblicate per la prima volta in Italia, occorre soffermarsi sulle innovazioni apportate dalle riforme del 2017.
20.1 In primo luogo, rileva la disciplina di attuazione della Direttiva 2014/26/UE – sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno- recata dal D. Lgs. n. 35/2017.
Per quanto di maggiore interesse ai fini dell’odierno giudizio, tale disciplina (che definisce i requisiti necessari per garantire il buon funzionamento della gestione dei diritti d’autore e dei diritti connessi da parte degli organismi di gestione collettiva e delle entità di gestione indipendente, nonché i requisiti per la concessione di licenze multiterritoriali da parte di organismi di gestione collettiva dei diritti d’autore per l’uso online di opere musicali nel mercato interno) distingue tra organismi di gestione collettiva e entità di gestione indipendenti, costituendo:
– i primi, soggetti che, da un lato, hanno come finalità unica o principale quella di gestire diritti d’autore o diritti connessi ai diritti d’autore per conto di più di un titolare di tali diritti, a vantaggio collettivo di questi, dall’altro, soddisfano uno o entrambi i seguenti requisiti: a) sono detenuti o controllati dai propri membri; b) non perseguono fini di lucro;
– le seconde, soggetti che, da un lato, hanno come finalità unica o principale quella di gestire diritti d’autore o diritti connessi ai diritti d’autore per conto di più di un titolare di tali diritti, a vantaggio collettivo di questi, dall’altro, soddisfano entrambi i seguenti requisiti: a) non sono detenuti né controllati, direttamente o indirettamente, integralmente o in parte, dai titolari dei diritti; b) perseguono fini di lucro.
20.2 Ai sensi dell’art. 4, comma 2, D. Lgs. n. 35/2017, i titolari dei diritti possono affidare ad un organismo di gestione collettiva o ad un’entità di gestione indipendente di loro scelta la gestione dei loro diritti, delle relative categorie o dei tipi di opere e degli altri materiali protetti per i territori da essi indicati, indipendentemente dallo Stato dell’Unione europea di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell’organismo di gestione collettiva, dell’entità di gestione indipendente o del titolare dei diritti, fatto salvo quanto disposto dall’articolo 180, della legge 22 aprile 1941, n. 633, in riferimento all’attività di intermediazione di diritti d’autore.
20.3 L’art. 180 LDA, a sua volta, per effetto, dell’art. 19, comma 1, lett. b), n. 1), D.L. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172, è stato modificato a decorrere dal 16 ottobre 2017, nel senso di un parziale superamento del regime di riserva legale.
In particolare, l’attuale formulazione dell’art. 180, comma 1, LDA non prevede più una riserva esclusiva in favore della SIAE dell’attività di intermediazione dei diritti d’autore sopra richiamati, ma attribuisce una tale riserva alla SIAE e “agli altri organismi di gestione collettiva di cui al decreto legislativo 15 marzo 2017, n. 35”.
20.4 La novella del 2017 non ha, invece, influito, sull’elencazione dei diritti attratti all’ambito di riserva, nonché sulla disciplina dettata in materia di finalità dell’intermediazione (comma 2), autoproduzione (comma 4) e tutela degli autori in sede di ripartizione dei proventi (comma 5); parimenti, non è stata modificata la disciplina sull’estensione soggettiva della L. n. 633/41 in relazione agli autori stranieri o degli autori non iscritti.
20.5 Ne deriva che, a seguito della riforma del 2017 (risultante dal D. Lgs. n. 35/17 e dal D.L. n. 148/17 cit.), non si può più discorrere di un’esclusiva della SIAE, ma di un ambito di riserva in favore di soggetti qualificati o per la natura pubblicistica (SIAE) o per il modello organizzatorio adottato (organismi di gestione collettiva): come precisato dalla Corte costituzionale, “l’attività d’intermediazione dei diritti d’autore è stata consentita anche agli altri OGC, i quali, come finalità unica o principale, gestiscano diritti d’autore o diritti connessi ai diritti d’autore per conto di più di un titolare di tali diritti, a vantaggio collettivo di questi e che, alternativamente, siano detenuti o controllati dai propri membri ovvero non perseguano fini di lucro. Per gli OGC stabiliti in Italia, in ogni caso, l’esercizio dell’attività d’intermediazione è subordinato alla verifica, da parte dell’AGCOM, del rispetto dei requisiti previsti dall’art. 8 del D.Lgs. n. 35 del 2017, la cui assenza ben potrebbe determinare l’esclusione dall’elenco degli OGC” (Corte costituzionale, 13 luglio 2020, n. 149).
Rimangono, per il resto, ferme le considerazioni sopra svolte in relazione alla necessità di escludere dalla riserva gli utilizzi on line e la tutela dal plagio, nonché la tutela degli autori non iscritti o non associati ovvero stranieri non domiciliati in Italia o per opere pubblicate per la prima volta all’estero.
21. Sulla base di tali rilievi, possono ora esaminarsi le censure attoree.
22. Preliminarmente, deve osservarsi che, in ragione dell’effetto devolutivo proprio dell’appello, l’omessa pronuncia ovvero la contraddittorietà o l’erroneità della motivazione giudiziale non determinano l’annullamento con rinvio della sentenza gravata (non ricorrendo alcuna delle fattispecie di rimessione al primo giudice ex art. 105 c.p.a.), né comportano la riforma della pronuncia di prime cure, ammissibile soltanto ove si giunga ad un diverso esito della controversia.
Pure di fronte ad una omessa pronuncia ovvero ad una motivazione contraddittoria o erronea, occorre che il giudice ad quem verifichi se il contenuto dispositivo della decisione assunta dal Tar sia comunque corretto.
Ne deriva che l’appellante non potrebbe ottenere la riforma della sentenza gravata o il suo annullamento, limitandosi a dedurre le asserite carenze dell’impianto motivazionale della decisione assunta dal primo giudice, occorrendo, invece, verificare, se la valutazione del Tar in ordine all’esistenza di pratiche abusive integranti la fattispecie di cui all’art. 103 TFUE sia effettivamente coerente con quanto emergente dal provvedimento impugnato e dalla documentazione acquisita al giudizio.
23. Ciò posto, seguendo l’iter espositivo alla base del settimo motivo di appello – nell’osservanza del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato – il Collegio è chiamato a statuire, in primo luogo, sulle tre condotte riguardanti il repertorio straniero, le opere comunicate on-line a la tutela dal plagio.
24. Con riferimento al repertorio straniero, si rinvia alle considerazioni sopra svolte in relazione alla perimetrazione dell’ambito di riserva delineato dall’art. 180 LDA, ribadendosi che tale riserva non possa ritenersi operante per le opere di autori stranieri non domiciliati in Italia e per le opere di autori stranieri per la prima volta pubblicate all’estero (cd. repertorio estero, corrispondente a quello posto a base del provvedimento antitrust, riguardante “opere (in tutte le forme) di autori stranieri non pubblicati per la prima volta in Italia (repertori esteri)” – par. 18 provvedimento).
Ne deriva l’infondatezza dell’appello nella parte in cui tende a dedurre la necessaria riconduzione del repertorio estero all’ambito di riserva della SIAE.
Trattasi, infatti, di un settore che, in quanto non riservato, doveva ritenersi aperto alla concorrenza, con conseguente liceità dell’attività di intermediazione al riguardo svolta da altri operatori, anche ove rivestenti, sul piano organizzativo, la forma dell’entità di gestione indipendente: la distinzione tra organismi di gestione collettiva ed entità di gestione indipendenti, come osservato, infatti rileva per i mercati riservati, non potendo invece essere valorizzata per limitare l’attività economica in mercati aperti alla concorrenza, quale deve ritenersi (per le ragioni svolte) l’intermediazione del repertorio estero.
L’appello deve essere rigettato pure nella parte in cui tende a valorizzare (questa volta non sul piano giuridico, ma) sul piano fattuale l’afferenza al solo repertorio italiano delle opere esaminate dall’Autorità ai fini dell’adozione del provvedimento impugnato in prime cure.
Invero, come emerge dall’atto per cui è causa, l’Autorità ha riscontrato condotte abusive tenute anche nei confronti di artisti stranieri esibitisi in Italia.
In particolare, giova valorizzare i concerti tenuti da Graham Nash (par. 73, 76 e ss.): come emergente dal punto 76 del provvedimento impugnato, Soundreef, in qualità di licenziataria pro quota in Italia dei diritti d’autore delle opere di Nash (autore straniero – par. 259 provvedimento), avanzava delle richieste nei confronti di un organizzatore del concerto, che tuttavia aveva già versato alla SIAE l’importo integrale dei diritti d’autore; pertanto, il gestore interpellava l’odierna appellante; all’esito di un confronto interno alla SIAE (attestato pure dal doc. 26 produzione Autorità in primo grado, richiamato nella nota 124 del provvedimento), la ricorrente, come risultante dal provvedimento per cui è causa (con la deduzione di una circostanza fattuale non specificatamente contestata, facente parte del thema decidendum in quanto oggetto del provvedimento su cui il Collegio è chiamato a statuire), ha confermato la correttezza dell’operato dell’organizzatore, che aveva pagato tutto a SIAE e si dichiarava pronta a manlevare l’organizzatore da qualunque azione e/o richiesta avrebbe potuto essere avanzata da Soundreef (cfr. anche le contestazioni opposte dalla SIAE, riportate alla nota 137 e non confutate nella loro esistenza materiale, in ordine alla legittimazione di Soundreef ad incassare somme a titolo di proventi per l’utilizzazione economica di opere –anche, per quanto di interesse – di Nash).
Si è, dunque, in presenza di una condotta, da un lato, posta in essere in un mercato non soggetto a riserva, in quanto tenuta nei confronti di un autore straniero per opere che non risultavano essere pubblicate per la prima volta in Italia, dall’altro, avente natura escludente, in quanto tesa ad impedire l’operatività di un concorrente, ostacolato nella legittima attività di riscossione dei proventi spettanti al proprio cliente.
Risultava, dunque, integrata la fattispecie dello sfruttamento abusivo di una posizione dominante, tenuto conto che la competizione (legittima, perché non riguardante ambiti di mercato riservati) non è avvenuta sulla base del merito, ma attraverso condotte escludenti, illecite sul piano antitrust.
Non potrebbe giungersi a diverse conclusioni facendo leva sulla comproprietà delle opere in esame, sia perché non risulta dimostrato il contributo indistinguibile e inscindibile di più autori, sia perché anche in tale caso, come osservato, la comproprietà non potrebbe intendersi come abilitante i coautori titolari delle quote di maggioranza a riscuotere e gestire anche i proventi spettanti ai titolari delle quote minoritarie.
L’artista straniero, pure ove coautore in misura minoritaria di un’opera frutto del contributo inscindibile e indistinguibile di più persone, sarebbe comunque titolare della quota di propria spettanza e delle utilità dalla stessa discendenti, vantando, per l’effetto, un diritto alla riscossione diretta dei proventi di gestione: tale diritto, nell’ambito di un mercato liberalizzato, avrebbe potuto essere intermediato (anche) da entità di gestione indipendente, la cui attività (suscettibile di estrinsecarsi pure nella riscossione dei proventi del proprio cliente) non avrebbe potuto essere ostacolata dall’odierna appellante.
25. Ciò osservato con riferimento al repertorio estero, è possibile soffermarsi sulle opere comunicate on line.
25.1 Al riguardo, i rilievi critici formulati dall’appellante meritano favorevole considerazione, non registrandosi effettivamente pratiche abusive in relazione alla comunicazione on line delle opere tutelate: ciò, tuttavia, come verrà osservato nella trattazione degli elementi costitutivi dell’illecito per cui è causa, non consente di pervenire all’accoglimento del complessivo motivo di appello, non sussistendo i presupposti per la riforma della decisione assunta dal primo giudice.
25.2 Alla stregua di quanto emergente dalla documentazione acquisita in atti, come integrata all’esito del supplemento istruttorio disposto dal Collegio nell’odierno grado di giudizio, la SIAE consentiva – sia all’atto del conferimento dell’incarico di intermediazione, sia successivamente in pendenza del rapporto negoziale – di limitare l’ambito oggettivo dell’attività commissionata, escludendovi le comunicazioni on line delle opere tutelate.
In particolare:
– alla nota 25 del provvedimento impugnato, l’Autorità precisa che, per on line, si intende “il diritto di comunicazione al pubblico mediante messa a disposizione dell’opera in maniera che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”;
– tale diritto era oggetto di apposita regolazione in sede statutaria, prevedendosi (per quanto di maggiore interesse) una sua valorizzazione autonoma (quale categoria contrassegnata da uno specifico numero) nell’ambito dei diritti tutelati ex art. 6 Statuto (doc. 5 produzione Autorità del 1° agosto 2022); ciò, con riguardo alle varie sezioni in cui risultavano suddivise le opere tutelate;
– l’art. 6, comma 9, dello stesso statuto prevedeva espressamente la facoltà dell’associato, con effetto dal primo gennaio dell’anno successivo rispetto al momento di esercizio della facoltà medesima, tra l’altro, di escludere uno o più dei diritti elencati nei commi 2, 3, 4, 5 e 6, lettere b), dello stesso articolo, comprendendovi, dunque, anche il diritto all’utilizzazione economica delle opere comunicate on line;
– l’art. 23 del regolamento prodotto sub doc. 3 dall’Autorità in prime cure, in relazione al conferimento degli incarichi di mandato senza la costituzione del vincolo associativo, prevedeva l’applicazione, in quanto compatibili e salva diversa previsione negli accordi contrattuali, delle norme previste per gli associati in ordine alle modalità di conferimento del mandato, all’accettazione della domanda, al conferimento dei diritti, al riconoscimento delle qualifiche ed in genere a quanto attinente all’esecuzione del rapporto; sotto tale ultimo profilo, l’art. 10 del medesimo regolamento prevedeva, all’atto dell’associazione o con preavviso di almeno tre mesi rispetto alla scadenza di ogni periodo annuale di durata del rapporto associativo, la facoltà di escludere uno o più dei diritti elencati dall’art. 5, comprendente pure le utilizzazioni on line; queste ultime risultavano, inoltre, disciplinate dall’art. 11 dello stesso regolamento, che prevedeva espressamente la facoltà di escludere dal mandato i diritti di riproduzione e comunicazione al pubblico limitatamente alle utilizzazioni sulle reti telematiche e di telefonia mobile o analoghe forme di fruizione delle opere, distintamente per le utilizzazioni interattive e non interattive (cfr. anche art. 2, comma 2, del regolamento prodotto sub doc. 4 dall’Autorità in primo grado, che legittimava, ancora una volta, pure all’atto della presentazione della domanda di associazione, la limitazione dell’oggetto del mandato associativo ex art. 6, comma 9, Statuto cit.);
– la facoltà di limitare l’oggetto del mandato associativo ad una o più delle categorie di diritti era prevista anche dall’art. 8, comma 9, dello Statuto di cui al doc. 6 produzione attorea;
– gli schemi di contratti di associazione e di mandato prodotti dall’Autorità in data 1 agosto 2022, parimenti, sebbene in taluni casi facessero riferimento all’affidamento alla tutela esclusiva delle opere del repertorio personale dell’istante e dei relativi diritti, rinviavano, comunque, alle disposizioni regolamentari e statutarie, che (come osservato) ammettevano una limitazione oggettiva dell’incarico di intermediazione, con esclusione del diritto di utilizzazione on line;
– parimenti, i bollettini di dichiarazione di cui ai documenti nn. 6 e 7 della produzione dell’Autorità di primo grado e 23 produzione attorea di primo grado attribuivano alla SIAE la protezione dei diritti relativi all’opera dichiarata “nei limiti del mandato conferito alla Società ai sensi delle norme statutarie e regolamentari”.
25.3 Tenuto conto della disciplina statutaria e regolamentare, nonché degli schemi dei contratti di associazione e di mandato in atti, emerge che la SIAE, pure non consentendo un’intermediazione per singole opere – richiedendosi il conferimento di un incarico riferito all’intero repertorio (profilo che sarà analizzato infra, nel trattare delle pratiche abusive tenute nei confronti degli autori) – permetteva, comunque, una limitazione dei diritti affidati in gestione, con esclusione degli utilizzi on line.
Pertanto, gli autori, ben potevano, all’atto del conferimento dell’incarico o in pendenza di rapporto (e con effetto dall’esercizio successivo), attribuire l’intermediazione dei diritti di utilizzazione on line ad operatori concorrenti dell’odierna appellante (legittimamente operanti sul mercato, facendosi questione di ambito non riservato), che, dunque, in parte qua non subivano alcun ostacolo al pieno dispiegarsi nella propria azione economica.
25.4 Non potrebbe diversamente argomentarsi neppure valorizzando il carteggio (doc. isp. 737 in atti) intercorso tra la SIAE e un autore, riferito alla limitazione di taluni diritti di utilizzazione economica: tale documento, pure rilevante per ricostruire le modalità con cui l’odierno appellante intendeva il disposto statutario (ammettendo una limitazione dell’incarico soltanto in relazione ad una o più categorie di diritti individuati all’art. 6, comma 2, Statuto SIAE), non escludeva la facoltà per gli autori di sottrarre dalla gestione affidata alla SIAE i diritti di utilizzazione on line delle opere tutelate.
Come dichiarato dalla stessa SIAE nella nota del 09.10.2015 (doc. 3 produzione del 1° agosto 2022), non risultava possibile escludere, nell’ambito di ciascuna categoria di diritti che lo Statuto prevedeva, solo alcune specifiche facoltà o modalità di esercizio di tali diritti: tuttavia, era ammessa l’esclusione di categorie di diritti tutelati.
Di conseguenza, posto che l’on line rappresentava una categoria autonoma -perché considerata separatamente nell’ambito di uno specifico punto dell’elencazione operata dallo Statuto – si confermava, anche sulla base dell’interpretazione fornita dall’odierno appellante nell’ottobre 2015, la possibilità di escludere gli utilizzi on line dall’incarico associativo o di intermediazione all’uopo conferito.
25.5 Parimenti, anche il carteggio intercorso tra l’odierna appellante e Google o tra Google e la società Soundreef non dimostra alcuna pretesa della SIAE di conseguire i proventi derivanti dallo sfruttamento on line in relazione a quote di spettanza di autori non associati o non mandanti: il doc. 6 della produzione dell’1 agosto 2022 contiene, di contro (per quanto di interesse), una mail del marzo 2018 con cui un esponente della ricorrente dichiarava espressamente che la SIAE non aveva incassato e non aveva intenzione di incassare quote di soggetti non amministrati nel caso delle utilizzazioni multiterritoriali, a dimostrazione di come – limitatamente agli utilizzi on line (e salvo quanto si osserverà infra per le ulteriori condotte) – l’odierna appellante riconoscesse la legittimazione della controparte ad operare sul mercato, intermediando i soli proventi di propria spettanza.
Eventuali e non dimostrati indebiti pagamenti ricevuti dalla SIAE non potrebbero essere ascritti ad una strategia escludente dell’appellante, ma a conflitti di competenza suscettibili di manifestarsi a fronte di una moltitudine di transazioni periodicamente concluse sul mercato; il che manifesta anche l’irrilevanza dell’istanza (presentata dalla SIAE) di acquisizione di una CTU sui sistemi di Soundreef, sui relativi claim e sui connessi flussi finanziari con Google, trattandosi di profili che non sono idonei ad influire sulla decisione della controversia, afferendo a relazioni commerciali non significative di un’infrazione antitrust.
25.6 In definitiva, non risultando dimostrate condotte escludenti tenute dalla SIAE in relazione agli utilizzi on line, suscettibili di essere esclusi su iniziativa dei singoli autori dall’oggetto dell’incarico di intermediazione all’uopo conferito, in parte qua la pratica attuata dall’appellante non poteva ritenersi illecita ex art. 102 TFUE.
26. Parimenti, meritano condivisione le contestazioni svolte dalla SIAE in relazione alla tutela dal plagio, mercato come osservato sottratto all’ambito di riserva delineato dall’art. 180 LDA: anche in tale caso (come verrà amplius osservato infra), tuttavia, l’esclusione in parte qua di pratiche illecite non impedisce l’integrazione degli elementi costitutivi dell’illecito alla base del provvedimento per cui è causa e, dunque, non consente di addivenire alla riforma della sentenza gravata, possibile soltanto in caso di erroneità del contenuto dispositivo della decisione assunta dal primo giudice.
26.1 Al riguardo, giova preliminarmente evidenziare come l’Autorità, nella definizione dei mercati rilevanti (punto 142 del provvedimento), abbia riconosciuto le diverse finalità suscettibili di essere soddisfatte dal deposito di un’opera presso una collecting. L’autorità ha anche rilevato che: “il servizio di tutela dal plagio richiede che l’interessato depositi l’opera ma si sottolinea che questa forma di deposito ha finalità diverse dal deposito richiesto per conferire il mandato di gestione dei diritti…” (par. 67). Per l’effetto, la stessa Autorità non disconosce la possibilità che il deposito dell’opera sia funzionale alla gestione dell’opera, facendosi questione di una delle finalità cui il deposito medesimo è preordinato.
Ciò posto, si osserva che il servizio di tutela dal plagio risultava disciplinato dalla SIAE in sede regolamentare nell’ambito dei servizi strumentali e sussidiari suscettibili di essere erogati su istanza di parte.
In particolare, l’art. 88 del regolamento prodotto dall’Autorità sub doc. 3 in primo grado prevedeva che la sezione opere letterarie e arti figurative svolgeva, altresì, i compiti di accettazione in deposito di opere dell’ingegno inedite o definite tali dal dichiarante, al solo effetto di costituire, a favore del depositante o comunque degli aventi diritto indicati, una prova dell’esistenza dell’opera alla data del deposito. Il Consiglio di Amministrazione, sentito il parere della Commissione di Sezione, avrebbe dovuto stabilire le condizioni e le modalità di esecuzione (altresì) di tali compiti.
Parimenti, il regolamento prodotto dall’Autorità (sempre dinnanzi al Tar) sub doc. 4 prevedeva, all’art. 67, lo svolgimento, su richiesta degli interessati, del servizio di accettazione in deposito di opere dell’ingegno inedite o definite tali dal dichiarante, sempre al fine di costituire, a favore del depositante o degli aventi causa indicati, una prova dell’esistenza dell’opera alla data del deposito. Anche in tale caso le condizioni e le modalità di esercizio di tali compiti avrebbero dovuto essere definite con atto organizzativo interno, da parte del Consiglio di gestione.
26.2 La disciplina regolamentare, dunque, manifestava chiaramente la possibilità, su richiesta di parte, di assegnare al deposito dell’opera una specifica funzione di tutela dal plagio, permettendo alla parte interessata di documentare l’esistenza di un’opera inedita ad una specifica data.
Del resto, la presenza di un servizio sussidiario erogato dalla SIAE, non confondibile con quello di intermediazione ex art. 160 LDA, risultava confermata dalle stesse dichiarazioni dell’appellante (pure valorizzate ai fini dell’adozione del provvedimento impugnato – cfr. nota 62), dirette ad evidenziare come il servizio offerto dal concorrente non costituisse un omologo del servizio di intermediazione principale, ma “del nostro servizio deposito opere inedite”, finalizzato a precostituire una prova dell’anteriorità della creazione utile in caso di plagio o usurpazione di paternità dell’opera.
La SIAE, dunque, non negava di fornire un servizio di tutela dal plagio, ma confermava quanto già desumibile dalla disciplina regolamentare circa l’autonoma considerazione di tale servizio quale “deposito opere inedite”, sottoposto ad apposita richiesta di parte.
26.3 Una volta stabilita la possibilità del deposito ai fini gestori, non potrebbe ritenersi che, in assenza di specifiche richieste di parte, il deposito eseguito nell’ambito di un rapporto di intermediazione sia necessariamente funzionale anche alla tutela dal plagio; così come, sempre in assenza di diverse evidenze istruttorie, non potrebbe ritenersi che l’operatore di intermediazione che abbia accettato il deposito dell’opera da gestire svolga, per ciò solo, anche un servizio di tutela dal plagio.
26.4 Tali contrarie evidenze non si rinvengono nel caso di specie.
26.5 Al riguardo, non potrebbero valorizzarsi meri verbali di audizione o, comunque, mere dichiarazioni provenienti dai concorrenti dell’odierna appellante, comunque interessati (per l’essere portatori di un interesse eguale e contrario a quello vantato dalla SIAE) all’esito del procedimento e del giudizio: trattasi di elementi certamente idonei ad orientare l’attività istruttoria, ma insuscettibili, di per sé, di fondare la responsabilità della parte sottoposta ad accertamento.
Pure l’esistenza di una mail di un autore “iscritto Patamu” avente ad oggetto informazioni, trasmesse alla SIAE, su gamma e funzionamento dei servizi offerti dal portale e suggerimenti sulla creazione di utenze fake per il futuro, non potrebbe rilevare sul piano probatorio, non documentando una condotta ascrivibile all’appellante, mera destinataria della relativa comunicazione.
La denuncia di un autore, avente ad oggetto la ricezione della richiesta di pagamento di un corrispettivo suppletivo, riferito alla tutela del plagio (par. 69 provvedimento), non risulta, invece, comprovata da elementi documentali, sebbene si facesse questione di fatti agevolmente documentabili attraverso l’acquisizione presso il denunciante della richiesta di pagamento all’uopo ricevuta.
Parimenti, l’effetto di marcatura temporale associato al deposito di un’opera risulta naturalmente correlato alla datazione dell’atto con cui l’autore affida alla SIAE l’intermediazione dell’opera, provvedendo al suo contestuale deposito: così procedendo, l’autore con evidenza data pure il deposito dell’opera, con conseguente emersione del predetto effetto di marcatura temporale.
La produzione di un tale effetto, dunque, potrebbe essere contrastata soltanto escludendo, in radice, la possibilità per l’organismo di intermediazione di richiedere il deposito dell’opera ai fini gestori: un tale divieto non sembra, tuttavia, giustificabile.
Sebbene l’Autorità non ritenga necessario il deposito dell’opera ai fini gestori, non sembra possa sostenersi la sua inutilità per l’attività di intermediazione: emerge, piuttosto, una circostanza non anomala, ma fisiologica nell’ambito delle relazioni di mercato, risultando ragionevole ritenere che, per una migliore gestione dell’opera, convenga pure acquisirne la disponibilità (attraverso il relativo deposito). Del resto, la stessa Autorità non esclude che il deposito possa avere anche una finalità di gestione dell’opera, con conseguente emersione di una condotta ammissibile, non vietata dalla normativa di riferimento o dalla prassi di settore: la richiesta del deposito dell’opera ai fini gestori non integra, dunque, una condotta vietata o anomala, dando luogo ad una prassi suscettibile di essere tenuta dagli operatori economici a prescindere dalla posizione di dominanza in ipotesi detenuta sul mercato.
In definitiva, la marcatura temporale ben può discendere da un deposito (datato) dell’opera correlato alla sola attività di intermediazione, non dimostrando, di per sé, la strumentalizzazione del deposito a diversi fini, quali la tutela dal plagio.
L’addebito mosso dall’Autorità, incentrato sulla supposta indistinguibilità del deposito ai fini della gestione dell’opera e del deposito per la tutela dal plagio, non può, dunque, trovare in parte qua accoglimento, tenuto conto che proprio l’assenza di un’istanza di deposito di opere inedite e di una espressa valorizzazione del deposito ai fini della tutela del plagio dimostrava che l’affidamento dell’incarico di intermediazione e il contestuale deposito della relativa opera non davano luogo all’erogazione di un servizio supplementare di tutela dal plagio, suscettibile peraltro di essere fornito (secondo le disposizioni regolamentari sopra richiamate) soltanto su espressa istanza e nel rispetto di specifiche condizioni definite dalla società, bensì risultavano funzionali alla (sola) gestione dell’opera tutelata.
26.6. In conclusione su tale punto, l’Autorità, su cui gravava l’onere di dimostrare l’esistenza degli elementi costitutivi dell’infrazione contestata, avrebbe dovuto fornire specifici elementi documentali idonei a dimostrare l’esistenza di clausole negoziali prescrittive di un’accettazione cumulata del servizio di intermediazione e del servizio di deposito inediti o, comunque, di pratiche tese ad impedire il deposito presso terzi (per la tutela dal plagio) delle opere acquisite ai meri fini di intermediazione.
Gli elementi valorizzati nel provvedimento non consentono di raggiungere una tale prova, con la conseguenza che il Collegio non ritiene integrata la contestata pratica di bundling tra tutela dal plagio e servizi di gestione.
27. Ciò rilevato, è possibile soffermarsi sulle ulteriori censure svolte nell’ambito dell’ultimo motivo di appello.
27.1 In primo luogo, non merita condivisione l’assunto attoreo secondo cui non sarebbe ravvisabile alcuno sfruttamento abusivo di posizione dominante in relazione a condotte riconducibili all’ambito di riserva di cui all’art. 180 LDA.
Invero, come osservato dalla Sezione (tra gli altri, 19 marzo 2019, n. 1797), la nozione di copertura normativa dei comportamenti anticoncorrenziali delle imprese va intesa in senso restrittivo, potendo essere ammessa solo in presenza di condotte specificamente imposte che rappresentino puntuale attuazione di disposizioni normative inequivocabile.
Pertanto, anche a fronte di mercati riservati, il monopolista potrebbe, comunque, incorrere in abusi ex art. 102 TFUE, tenendo condotte non imposte dal diritto nazionale e, dunque, non “coperte” dalla normativa settoriale; ciò non soltanto attraverso l’utilizzo della propria posizione dominante per estendersi in un altro mercato attraverso mezzi diversi da quelli fondati su una concorrenza basata sui meriti (Corte di Giustizia, 12 maggio 2022, in causa C-377/20, punto 76) – in specie, mediante lo sfruttamento di risorse inaccessibili, in linea di principio, a un ipotetico concorrente altrettanto efficiente, ma che non gode di una posizione dominante -; ma anche operando nello stesso mercato riservato, imponendo condizioni eccessive, prive di ogni ragionevole rapporto con il valore economico della prestazione fornita (Corte di Giustizia, 27 febbraio 2014, in causa C 351/12, punto 88) o, comunque, sfruttando altrimenti in maniera abusiva la propria posizione: a tale ultimo proposito, si rinvia a quanto statuito dalla Corte di Giustizia, 26 ottobre 2017, in causa 347/16, punto 54 che, discorrendo di normativa idonea a creare una situazione in cui l’impresa titolare di diritti speciali o esclusivi è indotta a commettere abusi, ammette la possibilità di riscontrare la violazione della disciplina antitrust anche in mercati riservati, il che è configurabile non soltanto per effetto diretto di disposizioni nazionali (in specie, in caso di condotte oggetto di copertura normativa in ipotesi di dubbia compatibilità unionale), ma anche in conseguenza di condotte autonomamente assunte dall’impresa nello svolgimento della propria attività (senza che vi sia alcuna imposizione normativa), con conseguente emersione di una condotta non necessitata dal quadro regolatorio, ma imputabile alla strategia di impresa assunta dall’operatore (in relazione alla quale, dunque, non potrebbe discorrersi di effetti anticompetitivi discendenti dal dato normativo).
Alla luce di tali rilievi, pertanto, la mera circostanza che una pratica sia tenuta da un’impresa monopolista di diritto in un ambito riservato in via esclusiva alla propria azione non è sufficiente per escludere l’applicabilità del diritto antitrust, potendo anche l’impresa detentrice di diritti di esclusiva incorrere in uno sfruttamento abusivo della propria posizione di dominanza sul mercato.
Avuto riguardo al caso di specie, un tale illecito ben poteva essere integrato anche in relazione ai mercati effettivamente riconducibili al disposto dell’art. 180 LDA, non soltanto all’esito della riforma del 2017 -che, comunque, anche in tali ambiti ha introdotto (seppure in misura mitigata) elementi di conorrenzialità, quanto meno tra la SIAE e gli organismi di gestione collettiva (come osservato sopra, nel trattare dell’evoluzione normativa registratasi in materia)-, ma anche nel periodo precedente, in cui operava effettivamente un’esclusiva in favore della SIAE.
Difatti, l’art. 180 LDA, comunque, imponeva alla SIAE di rispettare l’autoproduzione individuale, riconoscendo al singolo autore la facoltà di esercitare direttamente i diritti di propria spettanza (art. 180, comma 4, LDA).
Pertanto, una pratica tesa a violare tale facoltà, pure nei mercati riservati in esclusiva, non soltanto non poteva ritenersi imposta dal diritto settoriale, ma risultava pure vietata, con la conseguenza che l’inosservanza di un tale divieto avrebbe configurato, altresì, uno sfruttamento abusivo della posizione di dominanza, impiegando l’impresa monopolista il proprio potere di mercato in maniera abusiva, al fine di violare le facoltà riconosciute agli autori, ostacolati nello svolgimento diretto dell’attività economica di rilascio delle licenze e di riscossione del relativi proventi.
L’Autorità, pertanto, ha correttamente contestato nel provvedimento per cui è causa non soltanto un abuso “per estensione” a mercati non riservati, ma pure lo svuotamento di contenuto del “diritto all’autoproduzione sancito non solo dal diritto antitrust ma anche dalla stessa normativa di settore di cui all’art. 180 comma 4 LDA – nella parte in cui prevede che l’esclusiva della SIAE non possa estendersi laddove l’autore voglia gestire autonomamente i propri diritti – e, nel contempo, ponendo in essere una condotta di natura palesemente escludente” (punto 213; cfr. anche punto 185 in cui si definisce l’unica complessa strategia escludente avendo riguardo anche agli ostacoli opposti alla possibilità di ricorrere all’autoproduzione da parte dei titolari dei diritti).
Ne discende, in definitiva, l’infondatezza della tesi attorea incentrata sull’impossibilità di configurare un abuso di posizione dominante in mercati oggetto di riserva legale.
27.2 L’appello deve essere rigettato pure nella parte in cui si evidenzia l’erronea valorizzazione del coacervo di condotte alla base della sentenza gravata.
La fattispecie di cui all’art. 102 TFUE appare riferirsi, più che ad un singolo atto compiuto dall’impresa in posizione dominante, alla complessiva operazione economica in concreto attuata, per come risultante dall’insieme di atti ed azioni tenute nel medesimo contesto di mercato.
La valutazione da svolgere per verificare l’integrazione degli elementi costitutivi di cui all’art. 102 TFUE non potrebbe, pertanto, che essere complessiva; il che risponde all’indirizzo già accolto dalla Sezione, da cui non vi è ragione di discostarsi, secondo cui “l’analisi delle condotte poste in essere dalla società non deve essere frammentata ed analizzata secondo una prospettiva atomistica, che ben può condurre a ravvisare la conformità delle stesse, singolarmente considerate, alle norme di settore. Come più volte sottolineato dalla giurisprudenza, nell’accertamento degli illeciti antitrust deve invece essere privilegiata una visione di insieme (cfr. Consiglio di Stato, 15 maggio 2015, n. 2479; Consiglio di Stato, 24 settembre 2012, n. 5067). Risulta particolarmente aderente al caso in esame, il principio in base al quale l’abuso di posizione dominante può risultare da un insieme di atti che se singolarmente valutati sarebbero leciti, ma che acquisiscono la loro illiceità per il fatto di inserirsi in una strategia complessivamente abusiva (cfr. Consiglio di Stato, n. 1673 del 2014 e n. 693 del 2014)” (Consiglio di Stato, sez. VI, 13 marzo 2020, n. 1832).
Ne discende l’infondatezza anche dell’assunto attoreo, tendente ad una scomposizione delle condotte tenute dalla ricorrente, per procedere ad una loro analisi atomistica: al riguardo, occorre, invece, vagliare il complessivo quadro probatorio e l’insieme dei fatti così emergenti per accertare l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 102 TFUE.
Ciò è avvenuto in primo grado, avendo il Tar apprezzato l’esistenza di una complessa pratica di sfruttamento abusivo di posizione dominante, non arrestandosi alla disamina della singola azione o del singolo atto, ma valutando globalmente l’unitaria pratica attuata dalla ricorrente sul mercato: trattasi, d’altronde, dello stesso giudizio che il Collegio è chiamato a svolgere nella presente sede, non potendosi soffermare atomisticamente sulle singole contestazioni, ma occorrendo procedere ad un’analisi complessiva degli atti e delle azioni riscontrate come esistenti, onde verificare se le stesse siano unitariamente sussumibili sotto il disposto dell’art. 102 TFUE.
27.3 Infine, deve pure osservarsi che la reazione all’altrui asserito comportamento illecito non potrebbe, tradursi, a sua volta nella commissione di un illecito “difensivo”, dovendo la parte che affermi di essere lesa nella propria posizione giuridica ricorrere agli ordinari strumenti di tutela: la disciplina antitrust non è, peraltro, preordinata alla tutela di interessi individuali, ascrivibili ai singoli operatori, ma tende a garantire l’interesse pubblico alla struttura concorrenziale del mercato, non disponibile dai singoli; sicché, non potrebbe ledersi un tale interesse quale reazione all’altrui condotta illecita.
Inoltre, il giudizio di illiceità dell’altrui condotta, spesso, richiede complessi accertamenti fattuali e valutazioni giuridiche, riservate, in caso di disaccordo tra le parti, all’autorità giudiziaria, ragion per cui la parte, anche ove monopolista, che affermi la violazione di una privativa prevista dalla legge, non potrebbe reagire unilateralmente ponendo in essere una pratica anticoncorrenziale (sub specie di sfruttamento abusivo di una posizione dominante), ma dovrebbe denunciare l’altrui illecito, per ottenere tutela secondo le forme di legge.
Anche i rimedi di autotutela in ipotesi previsti dall’ordinamento non potrebbero essere applicati al di fuori dei presupposti applicativi tassativamente delineati dal legislatore e, comunque, non potrebbero essere funzionalizzati al perseguimento di vantaggi indebiti, quali devono ritenersi quelli discendenti dall’attuazione di pratiche anticoncorrenziali (cfr. Corte di Giustizia, 7 febbraio 2013, in causa C-68/12, secondo cui “spetta alle autorità pubbliche e non a imprese o ad associazioni di imprese private garantire il rispetto delle prescrizioni di legge”, punto 20).
Come si osserverà infra, l’odierna ricorrente, nel reagire ad asserite condotte illecite tenute da concorrenti in ambiti ritenuti coperti da riserva legale, ha comunque abusato della propria posizione di dominanza sul mercato, intermediando diritti sottratti alla sua legittimazione, ascrivibili in capo ad autori non associati o non mandanti, con conseguente emersione di pratiche illecite, non giustificabili neppure se preordinate al contrasto di avverse condotte (in ipotesi) contra legem.
28. Svolte tali considerazioni generali, è possibile soffermarsi sulle cinque condotte valorizzate dall’appellante, oggetto delle ultime censure, con la precisazione (giova ribadirlo) che ogni valutazione sull’integrazione dell’abuso non può essere parcellizzata, ma deve essere svolta globalmente, tenuto conto di tutti gli elementi fattuali accertati, concorrenti a delineare la complessiva pratica attuata sul mercato dall’appellante.
28.1 La SIAE deduce, al riguardo, in primo luogo, che non vi sarebbero stati autori intenzionati a gestire direttamente i propri diritti, ma solo autori interessati a conferire un mandato violativo della riserva di cui all’art. 180, comma 4, LDA, pure mediante forme elusive di deleghe all’incasso, comunque vietate. Inoltre, la ricorrente si sarebbe limitata al recupero di crediti rientranti nei propri poteri gestori, nell’esercizio di poteri attribuiti ex lege.
28.2 In secondo luogo, la ricorrente rileva l’insussistenza di illeciti in relazione alla gestione dei diritti dei non iscritti, ravvisando la necessità al riguardo di distinguere tra non iscritti in assoluto e non iscritti alla SIAE ma iscritti ad altri organismi di intermediazione.
28.3 Le doglianze attoree non meritavo favorevole apprezzamento.
28.4 Nel rinviare alle considerazioni generali svolte nella ricostruzione del quadro normativo di riferimento, deve ribadirsi che la SIAE non risultava titolare di alcuna legittimazione legale, derivando il proprio potere di intermediare i diritti d’autore dal conferimento di apposito incarico negoziale (attraverso l’adesione associativa o il mandato contrattuale).
Per l’effetto, la pretesa della società di intermediare i diritti di autori non associati o non mandanti non poteva ritenersi legittima; ciò, a prescindere dall’adesione di tali autori ad altri organismi di intermediazione o dalla liceità dell’attività gestoria da questi ultimi svolta (se tenuta in violazione o meno della riserva legale).
In assenza di un titolo idoneo a giustificare la negoziazione degli altrui diritti di autore, la SIAE avrebbe dovuto, in particolare, astenersi dal riscuotere i proventi di competenza degli autori non associati o mandanti, la cui gestione (costituente una tipica attività esercitabile dall’organismo di intermediazione) doveva ritenersi ancora in capo ai titolari (in caso di autoproduzione o sfruttamento di diritti rientranti nell’ambito di riserva esclusiva, la cui gestione, come tale, non avrebbe potuto essere lecitamente attribuita a terzi) o, comunque, di spettanza degli organismi di intermediazione legittimamente operanti sul mercato (EGI o OGC in caso di ambiti esulanti dalla riserva ex art. 180 LDA ovvero OGC per gli ambiti riservati e per il periodo successivo alla riforma del 2017, che ha trasformato la riserva da esclusiva a speciale, comprendente la SIAE e gli organismi di gestione collettiva).
28.5 Nel caso di specie, invece, la SIAE ha pure riscosso proventi di autori non iscritti: tanto emerge (altresì) dal memorandum prodotto dall’Autorità in primo grado sub doc. 31, che, in relazione ad eventi con utilizzo misto di repertorio SIAE e di brani Soundreef, prevedeva il rilascio del permesso e la riscossione dell’intero compenso con la successiva restituzione all’organizzatore dei compensi di spettanza degli autori non iscritti, ai fini del loro versamento diretto agli aventi diritto.
Tale pratica dimostra una gestione, attraverso la riscossione integrale del compenso, attuata anche nei confronti di autori non iscritti, in assenza dunque di un titolo giustificativo dell’attività di intermediazione così svolta: non potrebbe diversamente argomentarsi, valorizzando la successiva restituzione all’organizzatore del compenso spettante agli autori non iscritti, in quanto la previa attività di riscossione costituisce comunque un impedimento al diritto di autoproduzione o (nei mercati non riservati o, relativamente agli organismi collettivi di gestione, nei mercati riservati una volta rimossa l’esclusiva) all’operatività degli organismi di gestione concorrenti, non posti in condizione di riscuotere immediatamente i proventi di competenza nello svolgimento della propria attività di intermediazione.
28.6 La SIAE ha attuato condotte abusive anche in relazione alle opere di titolarità coautori non iscritti: ciò emerge dal doc. 12 cit., recante una mail del 10.2.2017 con cui il Direttore della Divisione Licenze e Servizi Centrali della SIAE confermava che “lo schema di gioco prevalente – al momento – è quello di autorizzare ed incassare il 100% delle opere amministrate anche in quota parte”, precisando che “la quota parte non amministrata, ma incassata, viene poi allocata nei conti previsti per i non soci (in estrema sintesi sono indicate anche le logiche di ripartizione)”, a condizione della presenza preventiva di deposito e degli eventuali depositi avvenuti in ritardo.
28.6.1 Come osservato, una tale prassi non poteva essere giustificata neppure sulla base della disciplina vigente in materia di comunione ex art. 10 LDA, sia perché (in relazione alle opere menzionate dall’Autorità) non risultava dimostrata l’indistinguibilità e l’inscindibilità dell’apporto creativo dei coautori, specie a fronte di opere le cui utilizzazioni on line avvenivano pro quota (con una gestione, dunque, riferita alla quota e non all’intera opera comune), sia perché, anche in presenza di opere effettivamente soggette al regime della comunione, ciò che poteva essere deciso dalla maggioranza e, dunque, dalla SIAE legittimata (per via degli atti di adesione associativa o dei mandati conferiti) ad operare per conto della maggioranza dei comunisti, risultava l’amministrazione dell’opera (suscettibile di tradursi anche mediante il rilascio dei relativi titoli autorizzativi in favore degli utilizzatori), ma non la disposizione e il godimento della quota di minoranza del coautore non iscritto o non associato, da ritenere personalmente legittimato (altresì) a riscuotere i proventi correlati alla propria partecipazione al bene comune.
Come precisato dalla giurisprudenza ordinaria (cfr. Cass. civ. Sez. I Ord., 16 dicembre 2019, n. 33231) i diritti di partecipare alle decisioni concernenti la diffusione dell’opera e di conseguire le utilità economiche che ne derivano sono personali e, dunque, (deve ritenersi) non avocabili dalla maggioranza (abilitata a statuire soltanto sulle forme normali di sfruttamento economico dell’opera comune, che formano oggetto di atti ordinari di amministrazione).
28.6.2 La riscossione sine titulo di crediti di titolarità alinea, facenti capo a coautori non associati o non mandanti, configurava, dunque, una pratica abusiva: per tali ragioni, anche l’utilizzo degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento (cfr. attestazioni di credito) per la riscossione di crediti non rientranti nella legittimazione gestoria della SIAE, non avrebbe potuto ritenersi giustificata, concorrendo a delineare la complessiva condotta illecita ascritta alla ricorrente.
28.6.3 Tale pratica, se attuata in ambiti sottratti alla riserva (quale quello dei repertori esteri), configurava pure un abuso escludente, impedendo ai legittimi concorrenti di poter operare sul mercato (cfr. doc. 25 produzione di primo grado dell’Autorità, recante una mail dell’8 luglio 2016 richiamata nella nota 372 del provvedimento, in relazione agli impedimenti opposti all’operatività di Soundreef in rappresentanza di autori stranieri).
Un tale abuso poteva influire pure sulla sola attività di riscossione dei proventi di competenza dei coautori non mandanti o non associati alla SIAE (attività comunque esclusa dai poteri dispositivi e di godimento della maggioranza, pure a fronte di opere soggette al regime della comunione); ciò, a prescindere dalla distinzione (infondatamente valorizzata dalla ricorrente) tra autori non iscritti in assoluto e autori non iscritti alla SIAE, in quanto pure per gli autori non iscritti in assoluto la pratica attorea di riscossione di proventi sottratti alla propria sfera di legittimazione integrava, comunque, un ostacolo al pieno dispiegarsi della concorrenza, occupando de facto (in assenza di titolo giustificativo) quote di mercato che ben avrebbero potuto essere acquisite dagli operatori concorrenti: gli autori titolari di diritti sine titulo intermediati dalla SIAE ben potevano essere indotti a non affidare incarichi gestori, subendo passivamente una scelta unilaterale imposta dall’incumbent.
28.6.4 La stessa pratica, se attuata in ambiti soggetti a riserva, integrava comunque un abuso in danno dei coautori non iscritti, correttamente censurato dall’Autorità, stante lo svuotamento dell’autoproduzione individuale, attraverso lo svolgimento sine titulo di attività economiche che il singolo coautore ben avrebbe potuto compiere personalmente.
In definitiva, anche in relazione ai mercati riservati e pure per il periodo in cui la riserva risultava esclusiva, l’abuso consisteva:
– a fronte di opere sottratte al regime della comunione ex art. 10 LDA (perché frutto del contributo distinguibile o scindibile di più persone) nella gestione dell’intera opera, anziché delle sole quote di spettanza dei coautori iscritti o mandanti; al riguardo, giova pure precisare che la scindibilità o distinguibilità dell’apporto creativo dei coautori doveva essere riscontrata (tra l’altro) tenuto conto delle modalità di gestione on line; difatti, o l’opera era ab origine creata con il contributo indistinguibile e inscindibile di più persone, che tale permaneva a prescindere dalle modalità di utilizzo (on line o off line), ovvero l’opera non era il risultato di un contributo scindibile o distinguibile e, per tale ragione, era amministrata pro quota on line, ma allora un’analoga amministrazione avrebbe essere attuata pure per l’off line;
– a fronte di opere soggette al regime della comunione e amministrate per la quota maggioritaria dalla SIAE, nella riscossione dei proventi di spettanza dei coautori non iscritti o non mandanti, da ritenere gli unici soggetti legittimati a disporre e godere della quota (minoritaria) di titolarità, anche mediante la riscossione dei proventi correlati alla partecipazione alla comunione.
28.6.5 La documentazione in atti comprova che la SIAE ha riscosso nel tempo i proventi correlati alla gestione dell’opera, pure quando intermediava soltanto una quota dei diritti riferiti al bene comune (doc. 12 cit): peraltro, come emergente dalle dichiarazione rese da un esponente aziendale e raccolte nel processo verbale di accertamento ispettivo del 12 aprile 2017 sub doc. 19 produzione Autorità, talvolta nei confronti dei non iscritti la SIAE tratteneva la provvigione e differiva le operazioni di ripartizione dei proventi all’esito della realizzazione dei crediti degli iscritti (“i compensi raccolti che si riferiscono ad autori non iscritti vengono accantonati al netto dell’agio SIAE”), in tale modo aggravando l’infrazione alla stessa ascrivibile (cfr. anche nota del 28.3.2017 sub doc. 28 produzione di primo grado dell’Autorità, in cui si conferma la pratica di riscuotere i proventi anche di coautori non iscritti che avessero pure revocato il mandato alla ricorrente, per poi procedere alla successiva ripartizione).
28.6.6 Non risulta neppure che la SIAE, nel compimento degli atti di amministrazione dell’opera, a fronte di opere realizzate da più persone e pure in presenza di una gestione collettiva della quota maggioritaria, verificasse in concreto se l’opera potesse essere soggetta al regime della comunione ex art. 10 LDA – perché frutto del contributo indistinguibile e inscindibile di più coautori – ovvero fosse amministrabile soltanto pro quota (cfr. doc. 13 della produzione dell’Autorità in primo grado, in specie la mail delle ore 19:19 del 21.1.2017, in cui si condivide la tesi per cui la SIAE, una volta attributaria del mandato, avrebbe potuto e dovuto gestire l’opera per intero, senza ulteriori specificazioni o verifiche in ordine alla distinguibilità o inscindibilità del contributo dei coautori). Ciò, nonostante una tale verifica fosse necessaria per stabilire l’applicabilità della regola (propria della comunione) abilitante la maggioranza a decidere le forme di sfruttamento economico dell’opera comune.
Tali carenze rilevano anche sul piano antitrust, in quanto, a fronte di opere non riconducibili al disposto dell’art. 10 LDA, la gestione dell’intera opera, anziché delle quote di titolarità degli autori iscritti o mandanti, configurava un abuso escludente nei confronti degli operatori abilitati ad esercitare sul mercato (ostacolati nella possibilità di acquisire l’intermediazione della quota non amministrata dalla SIAE o nella concreta gestione della quota di partecipazione già legittimamente acquisita ai fini di intermediazione) e, comunque, una pratica lesiva del diritto di autoproduzione del coautore non rappresentato dalla SIAE (non iscritto ad alcun organismo di intermediazione o iscritto ad organismi di intermediazione non abilitati ad operare sul mercato, pertanto destinatari di incarichi di intermediazione illegittimi perché conferiti in violazione di norme imperative attributive di diritti esclusivi o speciali).
28.7 Né potrebbe argomentarsi diversamente, ritenendo che un’amministrazione pro quota dei repertori misti o delle opere comuni – implicante la necessità per l’utilizzatore di acquisire la licenza da parte di tutti gli autori o i coautori non iscritti (e, per conto di questi, dai rispettivi organismi di gestione) – creasse difficoltà nello svolgimento dei traffici commerciali: ciò non sembrava verificarsi per gli utilizzi attraverso reti di comunicazione elettronica on line, di regola attuati pro quota, né pare emergere per gli utilizzi off line, tenuto conto pure di quanto rappresentato da un operatore del settore, secondo cui “per l’utilizzatore ciò che rileva è che non debba pagare doppio, la circostanza di stipulare due licenze è irrilevanze. Ciò che importa è che poi versi a ciascuna collecting i diritti solo quota parte: ciò che veniva versato tutto a SIAE viene ora versato quota parte a Soundreef, in proporzione ai diritti da questa rappresentati” (verbale del 23.4.2018 sub doc. 11 produzione Autorità).
28.8 Parimenti, non potrebbe valorizzarsi il regime dettato dagli artt. 18 e 19 D. Lgs. n. 35/17 in materia di identificazione dei titolari dei diritti, sia perché nei casi alla base del provvedimento per cui è causa non si poneva un problema di identificazione o di localizzazione degli autori, sia perché la stessa disciplina dettata dal D. Lgs. n. 35/17 è incentrata sulla possibilità di erogare i servizi di intermediazione nei soli confronti dei soggetti rappresentati, occorrendo, pertanto, un titolo idoneo a giustificare lo svolgimento della relativa attività economica, sia esso un atto di adesione associativa, una cessione di diritti, una licenza, qualsiasi altro accordo contrattuale ovvero la legge (artt. 4, comma 1, e 7, comma 1, D. Lgs. n. 35/17).
Come osservato nella ricostruzione del quadro regolatorio di riferimento, non sussiste una disposizione legislativa volta ad attribuire un potere di rappresentanza di autori non iscritti, né a tali fini potrebbero richiamarsi gli artt. 18 e 19 D. Lgs. n. 35/17, che non regolano alcun potere di rappresentanza legale.
Pertanto, le operazioni di identificazione e localizzazione previste dagli artt. 18 e 19 D. Lgs. n. 35/17 devono intendersi finalizzate ad una ripartizione dei proventi in favore dei soli autori rappresentati dal singolo organismo collettivo, occorrendo, a tali fini, che l’organismo procedente, una volta riscossi i proventi di gestione, provveda ad individuare gli aventi diritto, identificando e localizzando, tra gli autori rappresentati che abbiano conferito mandato, quelli cui si riferiscono le opere in concreto intermediate, frutto degli importi introitati all’uopo da ripartire.
Il che, del resto, sembra confermato dal considerando n. 20 della direttiva 2014/26UE, in cui si precisa che “I registri tenuti da un organismo di gestione collettiva dovrebbero consentire l’identificazione e la localizzazione dei suoi membri e dei titolari dei diritti rappresentati dall’organismo sulla base di autorizzazioni concesse da tali titolari”, a dimostrazione di come le operazioni di identificazione e localizzazione non giustifichino la gestione dei diritti di terzi non iscritti, ma siano funzionali ad una corretta ripartizione dei proventi tra i (soli) membri dell’organismo di gestione.
28.9 In definitiva, ai sensi di quanto osservato, non poteva ritenersi ammissibile la gestione, a cura della SIAE:
– di opere riconducibili ad autori non iscritti o non mandanti;
– di quote di opere riconducibili ai coautori non iscritti o non mandanti.
29. Le censure attoree risultano infondate anche nella parte riguardante i rapporti con l’emittenza, con particolare riguardo al tema delle blanket licences.
29.1 Ribadita l’illiceità di attività di gestione sine titulo svolta in relazione ad autori o coautori non iscritti (profilo già, di per sé, idoneo a manifestare l’abusività di pratiche tese a licenziare opere sottratte alla sfera di legittimazione dell’incumbent), si osserva che la SIAE, nella determinazione delle condizioni contrattuali regolanti i rapporti con l’emittenza (in specie, i grandi emittenti), avvalendosi della propria posizione di dominanza discendente dall’esistenza di una riserva (un tempo) esclusiva in relazione ai diritti compresi nella portata dell’art. 180 LDA, provvedeva al rilascio di licenze estese all’intero repertorio amministrato, non consentendo modelli negoziali alternativi, riferiti ad una parte soltanto delle opere tutelate. La SIAE non prevedeva neppure criteri di adeguamento del compenso in funzione della fisiologica variabilità nel tempo della propria rappresentatività.
29.2 In particolare, alla stregua di quanto emergente dalla documentazione in atti, per quanto di maggiore interesse, risulta che:
– nel contratto concluso in data 13.2.2015 tra la SIAE e Sky (sezione cinema) il compenso base per la comunicazione al pubblico sui canali Sky lineari a pagamento risultava quantificato in una tariffa per ogni minuto di utilizzazione, determinata per ciascuno degli esercizi oggetto di accordo in dipendenza dell’ammontare dei relativi introiti lordi realizzati dall’emittente (quantificati secondo appositi criteri all’uopo definiti) e dell’audience share media annuale di tali canali (art. 1 – doc. 9 produzione Autorità dell’1 agosto 2022); per i canali lineari gratuiti, il compenso base per la comunicazione al pubblico risultava costituito dalla tariffa per ogni minuto di utilizzazione determinata in dipendenza dell’ammontare dei proventi realizzati dal canale e dalla sua audience share media annuale (art. 6);
– nel contratto di licenza concluso in data 13.2.2015 tra la SIAE e Sky prodotto sub doc. 17 del deposito dell’1 agosto 2022 la SIAE autorizzava la controparte, tra l’altro, alla comunicazione al pubblico via satellite, in forma codificata o non codificata, a propria cura o a cura di terzi, delle opere del repertorio musicale tutelato dalla SIAE (sezione musica) utilizzate dal vivo; il contratto conteneva anche una definizione del repertorio musicale tutelato dalla SIAE, indicando le opere che di esso facevano parte; l’art. 15 prevedeva un corrispettivo dell’utilizzazione del repertorio musicale calcolato sui proventi conseguiti dall’emittente (secondo specifiche modalità in ragione delle utilizzazioni regolate); relativamente alle opere del repertorio delle Sezioni Lirica, DOR e OLAF, il compenso dovuto per ogni minuto o frazione della durata effettiva della diffusione risultava quantificato nella misura e in conformità alle tariffe esposte nella tabella di cui all’allegato 6 in relazione sia allo scaglione di introiti, sia all’inquadramento delle opere utilizzate in una delle classi e modalità di utilizzazione ivi previste, sia in relazione alla tipologia della trasmissione;
– nel contratto concluso tra la SIAE e Mediaset Premium in data 1.2.2016 la SIAE autorizzava la controparte, tra l’altro, alla comunicazione al pubblico tramite diffusione televisiva, in tecnica digitale, delle opere del repertorio musicale tutelato dalla SIAE (Sezione musica) utilizzate dal vivo in programmi televisivi inseriti in palinsesti allestiti in virtù di scelte e decisioni e sotto la responsabilità della licenziataria; il contratto specificava, altresì, il contenuto del repertorio della Sezione Musica (punto 8), nonché quantificava il corrispettivo dell’utilizzazione del repertorio musicale, di regola, in funzione del compenso annuo calcolato percentualmente sui proventi dei canali televisivi propri realizzati nel medesimo anno, con la definizione di un’aliquota percentuale in base alla tipologia del palinsesto dei canali propri al momento della sottoscrizione della licenza (punto 11 – doc. 13 produzione dell’Autorità dell’1 agosto 2022);
– nel contratto concluso tra la SIAE e RTI in data 1.2.2016 e prodotto sub doc. 11 del deposito dell’1 agosto 2022 cit., la SIAE autorizzava la controparte, tra l’altro, a registrare le opere appartenenti al repertorio musicale amministrato dalla SIAE; con riferimento ai servizi multimediali, il compenso relativo alle utilizzazione delle opere musicali amministrate dalla SIAE risultava poi calcolato applicando agli introiti lordi di qualsiasi genere di RTI (determinati secondo specifiche regole) aliquote differenziate in base alle specifiche tipologie di utilizzazioni; specifiche aliquote risultavano previste anche per il servizio infinity;
– nel contratto concluso tra la SIAE e RTI in data 1.2.2016 e avente ad oggetto l’equo compenso ex art. 46-bis LDA (doc. 14 produzione Autorità dell’1 agosto 2022), il compenso base per la comunicazione al pubblico delle opere sui canali RTI generalisti gratuiti risultava quantificato in una tariffa per ogni minuto di utilizzazione, determinata annualmente in dipendenza dell’ammontare dei proventi realizzati dall’emittente su ciascuno dei canali RTI generalisti gratuiti (quantificati secondo appositi criteri all’uopo definiti) e dell’audience share media annuale di tali canali (art. 1); analoghi criteri venivano dettati per la determinazione del compenso base riferito ai canali semi-generalisti gratuiti e ai canali a pagamento, rilevando sempre un compenso base costituito da una tariffa per ogni minuto di utilizzazione in dipendenza dell’ammontare dei proventi e dell’audience media annuale (artt. 7 e 13);
– nel contratto concluso tra la SIAE e la RAI sub doc. 15 produzione dell’Autorità dell’1 agosto 2022 si prevedeva, tra l’altro (art. 3.1), che i compensi dovuti per l’utilizzazione di opere dei repertori DOR, LIRICA ed OLAF della SIAE, per gli anni 2010 e 2011, avrebbero dovuto essere calcolati sulla base e in conformità alle tariffe televisive e radiofoniche previste dalle allegate tabelle 1 e 2, in cui il compenso base veniva definito per ogni minuto primo o frazione della durata effettiva di diffusione, con l’applicazione di un coefficiente di moltiplicazione del compenso base in ragione della tipologia di opere e del repertorio di afferenza;
– nel contratto concluso tra la SIAE e la RAI sub doc. 16 della produzione dell’Autorità dell’1 agosto 2022, avente ad oggetto l’equo compenso ex art. 46 bis LDA, il compenso base per la diffusione televisiva delle opere cinematografiche ed assimilate era costituito da una tariffa rappresentativa del valore minuto determinata annualmente in dipendenza dell’ammontare degli introiti lordi realizzati dall’emittente (art. 2).
29.3 La documentazione contrattuale sottoscritta tra la SIAE e le emittenti nazionali conferma che l’odierna appellante, pure prevedendo talvolta un corrispettivo per l’utilizzazione economica delle opere in funzione del tempo di utilizzo (compenso minuto), definiva (di regola) il sistema tariffario con riferimento, da un lato, all’intero repertorio tutelato (avuto riguardo alla sezione oggetto di contrattazione), dall’altro, agli introiti conseguiti dalla controparte negoziale, per come definiti sulla base di appositi criteri di calcolo.
Tale compenso non risultava, inoltre, correlato alla percentuale di rappresentatività della SIAE, suscettibile di variare nel tempo.
La concessione di licenze correlate all’intero repertorio (comprensivo, peraltro, di opere che la SIAE non avrebbe potuto intermediare, in quanto riconducibili ad autori non iscritti, alla stregua di quanto sopra osservato), senza criteri idonei a parametrare nel tempo il corrispettivo di utilizzazione alla eventuale variazione di rappresentatività del repertorio amministrato, configurava un abuso ex art. 102 TFUE, come correttamente rilevato dall’Autorità.
29.4 La speciale responsabilità gravante sull’impresa titolare di una posizione dominante titolare di diritti esclusivi o speciali, come tale in grado di operare autonomamente sul mercato anche attraverso l’imposizione di fatto e in via unilaterale delle condizioni di contrattazione, richiede, altresì, di prestare una particolare attenzione alle esigenze delle controparti negoziali, qualora, da un lato, si tratti di esigenze rilevanti ai fini dell’attuazione dell’assetto contrattuale nei rispettivi rapporti, dall’altro, non sussistano ragioni (tecniche o economiche) ostative alla loro realizzazione.
L’impresa in posizione dominante è, infatti, tenuta a definire la prestazione da eseguire e il suo valore economico, anche tenendo conto delle altrui esigenze, specie qualora sia chiamata a svolgere una missione affidatale dall’ordinamento nazionale per la tutela di un interesse superindividuale, idoneo a giustificare eventuali restrizioni concorrenziali discendenti dall’attribuzione di diritti esclusivi o speciali.
Del resto, come qualsiasi altro soggetto di diritto, anche l’impresa in posizione dominante deve operare nel rispetto dei doveri di solidarietà sociale, che in ambito contrattuale ed extracontrattuale impongono di mantenere sempre un comportamento leale, teso alla salvaguardia dell’altrui utilità nei limiti dell’apprezzabile sacrificio proprio (cfr. Cass. civ. Sez. III, 6 maggio 2015, n. 9006): in relazione alla specifica posizione dell’impresa dominante, un tale principio (di buona fede e di divieto di abusi, pure richiamato dal considerando n. 31 della direttiva 2014/26/UE, in forza del quale “è opportuno che gli organismi di gestione collettiva e gli utilizzatori negozino le licenze in buona fede e che le tariffe applicate siano determinate in base a criteri oggettivi e non discriminatori”) conferma la necessità, in assenza di ragioni ostativi, di modulare l’offerta dei servizi, specie se forniti in esclusiva o riservati ad una cerchia ristretta di operatori titolari di diritti speciali, anche in ragione delle altrui ragionevoli esigenze di tutela.
29.5 Alla stregua di tali rilievi, la pratica negoziale attuata dalla ricorrente nei confronti degli utilizzatori non poteva ritenersi indenne da censure.
29.6 In primo luogo, tale pratica, come osservato, si è tradotta nella negoziazione di schemi contrattuali aventi ad oggetto l’intero repertorio amministrato: il sistema tariffario, in particolare, risultava rapportato a tutte le opere gestite dalla SIAE (pure sine titulo, in relazione agli autori e ai coautori non iscritti, secondo quanto sopra precisato), riconducibili alla sezione oggetto di contrattazione.
Trattasi di uno schema negoziale che, pur di per sé lecito in quanto socialmente ed economicamente tipico nelle relazioni di mercato – come tale rispondente ad un interesse creditorio meritevole di protezione, relativo all’utilizzazione integrale del repertorio gestito dalla controparte – ove imposto di fatto quale unica forma di contrattazione da parte di un’impresa in posizione di dominanza, dà luogo ad un abuso rilevante ai sensi dell’art. 102 TFUE.
29.6.1 Avuto riguardo al settore dell’intermediazione dei diritti di autori, l’organismo di gestione tipicamente contrae (altresì) con gli utilizzatori, cui vengono rilasciate le licenze occorrenti per lo sfruttamento economico delle opere amministrate.
Tra tali utilizzatori, per quanto di interesse, rilevano anche le emittenti nazionali, operatori professionali che spesso impiegano le opere tutelate nell’erogazione dei servizi all’utenza finale: per tali operatori risulta, dunque, essenziale contrarre con la SIAE, quale incumbent del settore, al fine di ottenere le licenze necessarie alla propria attività economica.
Tali operatori potrebbero avere certamente l’interesse all’utilizzo integrale del repertorio tutelato dall’incumbent, ma, in ragione di proprie scelte imprenditoriali o del tipo di attività esercitata, potrebbero pure avvertire l’esigenza di un utilizzo circoscritto, riferito ad alcune soltanto delle opere ex adverso amministrate, selezionate anche in ragione dell’identità dei relativi autori.
In tali ultime ipotesi, il corrispettivo di utilizzo non potrebbe che essere ancorato alla parte di repertorio che l’utilizzatore impiega nella propria azione negoziale.
29.6.2 Il sistema tariffario definito dall’odierna appellante, invece, risultava parametrato all’intero repertorio (pure con le criticità sopra richiamate in ordine alla posizione dei non iscritti) e ai proventi conseguiti dall’utilizzatore (oltre che al dato auditel).
In tale maniera, tuttavia, il potere negoziale di cui la SIAE risultava titolare, discendente dalla sua posizione di dominanza nel mercato, veniva esercitato in maniera abusivo, imponendo sacrifici alla controparte ingiustificati, per effetto di esborsi non strettamente correlati all’effettivo utilizzo richiesto e attuato dall’utilizzatore.
29.6.3 Al riguardo, giova richiamare i criteri di remunerazione degli autori alla base dell’art. 22 D. Lgs. n. 35/17 in materia di concessione delle licenze, che impongono la definizione di una remunerazione adeguata, attraverso una definizione tariffaria proporzionata al valore economico dell’utilizzo dei diritti negoziati, tenendo conto della natura e della portata dell’uso delle opere e di altri materiali protetti, nonché del valore economico del servizio fornito dall’organismo di gestione collettiva.
Trattasi di criteri espressivi di un principio generale operante (anche) in materia antitrust, di proporzionalità nella definizione delle condizioni economiche e (più in generale) contrattuali da parte dell’impresa titolare di una posizione dominante sul mercato: in specie, al fine di evitare pratiche abusive, è preclusa la definizione di condizioni eccessive, prive di ogni ragionevole rapporto con il valore economico della prestazione fornita (Corte di Giustizia, 27 febbraio 2014, in causa C 351/12, punto 88).
L’elemento dell’utilizzo del repertorio assumeva e assume ancora oggi rilevanza nella definizione del sistema tariffario, non potendo imporsi agli utilizzatori, interessati ad un impiego soltanto parziale del repertorio intermediato, una remunerazione parametrata all’intero repertorio gestito dalla controparte (cfr. Core di Giustizia, 25 novembre 2020, in causa C-372/19, secondo cui “il compenso applicato da un organismo di gestione collettiva deve tenere conto della quantità di opere musicali protette dal diritto d’autore realmente utilizzate”).
Una tale pratica produce un sacrificio ingiustificato all’utilizzatore, tenuto al pagamento di un corrispettivo rapportato ad un servizio eccedente i propri bisogni (parametrati ad una quota del repertorio amministrato), senza che vi siano idonee ragioni ostative suscettibili di essere opposte dall’incumbent.
Sotto tale ultimo profilo, si osserva infatti che non soltanto non è stata acquisita nell’odierno giudizio una idonea prova contraria, tesa a dimostrare l’impossibilità di parametrare il sistema tariffario alla quantità del patrimonio tutelato utilizzato, ma una tale circostanza risulta smentita direttamente dal dato normativo (art. 22 D. Lgs. n. 35/17 cit.), che impone apposito criterio di remunerazione correlato “alla portata dell’uso delle opere” e, dunque, anche all’ambito oggettivo della licenza sulla cui base si legittima l’uso delle opere tutelate (integrante un elemento di valutazione differente rispetto al tempo di utilizzo pure valorizzato in talune convenzioni dalla SIAE, posto che il parametro temporale misura la durata dell’utilizzo, mentre nella specie rileva anche l’ampiezza oggettiva dell’utilizzo, suscettibile di essere circoscritta ad una porzione soltanto del repertorio amministrato dall’intermediario).
La circostanza per cui la stessa normativa di settore valorizza la portata dell’uso ai fini della determinazione del sistema tariffario dimostra come tale elemento sia non soltanto rilevante in materia, ma pure misurabile dall’intermediario e, dunque, attuabile in concreto alla stregua di quanto imposto dal dato positivo.
29.7 Una condotta abusiva dell’odierna appellante è riscontrabile (autonomamente) pure nell’assenza di previsioni, tese a commisurare il quantum del corrispettivo di utilizzazione in funzione della variabilità nel tempo della rappresentatività del repertorio oggetto di intermediazione.
Al riguardo, si osserva che la rappresentatività di un repertorio è misurabile sulla base del rapporto tra le opere effettivamente amministrate dall’intermediario (in virtù di apposito incarico all’uopo ricevuto) e il complessivo patrimonio tutelato esistente in un dato momento.
Trattasi di un dato fisiologicamente variabile nel tempo, non solo per la creazione continua e progressiva di nuove opere, ma anche per la possibilità del recesso degli autori dai vari organismi di intermediazione.
Avuto riguardo al repertorio della SIAE, l’indice di rappresentatività dello stesso non poteva essere ritenuto fisso neppure durante la vigenza della riserva esclusiva e neanche per l’esercizio dei diritti riconducibili al disposto dell’art. 180 LDA, essendo ben possibile sia la creazione di nuove opere gestite direttamente dall’autore (cd. autoproduzione ex art. 160, comma 4, LDA, fatta salva anche prima della riforma del 2017, che ha trasformato la riserva da esclusiva a non esclusiva), sia il recesso degli autori dalla SIAE per provvedere all’autoproduzione.
A fortiori, l’indice di rappresentatività poteva mutare in relazione ai mercati aperti alla concorrenza per effetto di nuove adesione ad operatori alternativi rispetto alla SIAE e, dopo la riforma del 2017, anche con riferimento ai mercati riservati, attesa la concorrente azione di intermediazione esercitabile dagli organismi di gestione collettiva.
A fronte, dunque, di un dato variabile nel tempo, rilevante per la definizione dell’oggetto della licenza – il valore economico del servizio muta, infatti, in funzione della rappresentatività dell’organismo licenziante (una maggiore rappresentatività comporta un maggiore accesso dell’utilizzatore al patrimonio tutelato disponibile, con conseguente emersione di un elemento idoneo a misurare il valore della prestazione offerta e, dunque, il corrispettivo da versare per il suo godimento) – la SIAE, agendo in maniera corretta e, dunque, definendo le condizioni contrattuali in rapporto ragionevole al valore economico del servizio offerto, non avrebbe potuto prevedere criteri che prescindevano dal proprio indice di rappresentatività.
29.8 In definitiva, la scelta dell’incumbent di impiegare, nello svolgimento della propria azione negoziale, quale unico schema contrattuale, la concessione di licenze con la definizione di un sistema tariffario parametrato a tutto il repertorio, privo di uno specifico collegamento con la variabilità nel tempo del repertorio amministrato, non poteva ritenersi lecita sul piano antitrust, integrando uno sfruttamento abusivo di una posizione di dominanza sul mercato.
L’impresa leader del settore (nel caso in esame, monopolista fino al 2017, per le attività riconducibili al disposto dell’art. 180 LDA) non avrebbe potuto, infatti, rifiutare l’impiego di schemi negoziali alternativi, idonei a realizzare differenziate e ragionevoli esigenze di tutela delle proprie controparti negoziali, in assenza di adeguati motivi ostativi e nei limiti dell’apprezzabile sacrificio personale e, comunque, come già rilevato, non avrebbe potuto intermediare i diritti (o le quote) di autori (o di coautori) non iscritti.
La stessa impresa dominante non avrebbe potuto neppure prorogare nel tempo un tale assetto negoziale, che risultava già incompatibile con la normativa antitrust e che ha manifestato ulteriormente la sua illiceità all’esito della riforma del 2017, con cui è stata abrogata la riserva esclusiva in favore della SIAE pure in relazione agli ambiti riconducibili al disposto dell’art. 180 LDA, emergendo, per l’effetto, ulteriori ostacoli all’apertura alla concorrenza degli ambiti in precedenza sottoposti ad esclusiva.
Difatti, attesa l’imposizione di tariffe eccedenti rispetto alle esigenze effettive degli utilizzatori e non commisurate al valore della prestazione per come emergente dalla rappresentatività del repertorio licenziato, gli utilizzatori erano costretti al pagamento di ingenti risorse economiche, superiori rispetto a quelli parametrati alle utilità ambite, con conseguente riduzione del budget disponibile per la contrattazione con gli operatori alternativi: anche sotto tale profilo emerge, dunque, un abuso escludente, posto in essere nei confronti degli operatori alternativi, che, anche negli ambiti riservati, ove rivestenti la forma degli organismi di gestione collettiva, dopo la riforma del 2017, sono abilitati ad esercitare sul mercato.
29.9 Non potrebbe diversamente argomentarsi, rilevando che, invero, gli utilizzatori non avrebbero avanzato proposte alternative rispetto a quelle in concreto attuate; parimenti, non potrebbe valorizzarsi la circostanza per cui i rinnovi erano stati conclusi su iniziativa degli utilizzatori.
Sotto il primo profilo, emerge in atti che un utilizzatore aveva espressamente contestato lo schema negoziale di fatto imposto dalla SIAE, subito dall’utilizzatore in ragione dell’essenzialità del materiale intermediato, indispensabile per la propria azione economica.
In particolare, come emerge dal doc. 10 della produzione dell’Autorità dell’1 agosto 2022, Sky contestava specificatamente, tra l’altro, che il contratto Musica “prescinde dalla quantità di musica intermediata dalla Vostra collecting e impiegata da Sky Italia all’interno dei propri servizi ed è ancorato unicamente ai ricavi della nostra società; e così facendo finisce per imporre a Sky Italia i lauti corrispettivi di licenza SIAE anche nell’ipotesi in cui Sky Italia decidesse di utilizzare il Vostro repertorio in misura residuale”: nella stessa nota si valorizza pure la presenza di revoche di autori iscritti a SIAE, rivoltisi ad altri soggetti.
Si conferma, dunque, che gli schemi contrattuali in esame non rispondevano alle effettive e ragionevoli esigenze degli utilizzatori, venendo comunque sottoscritti in ragione dell’essenzialità delle utilità intermediate dalla SIAE, di cui gli utilizzatori non potevano prescindere per lo svolgimento della propria attività.
Tale rilievo giustifica anche le richieste di proroga: trattandosi di utilità essenziali per l’attività degli utilizzatori, questi non avrebbero potuto rinunciare alla proroga dei contratti, in quanto il danno conseguentemente patito (all’attività di emittenza) sarebbe stato superiore rispetto a quello (di maggiore esborso per compensi eccessivi) discendente dalla passiva accettazione di clausole ex adverso definite abusivamente.
Non risulta, neppure, conferente la deduzione attorea, incentrata sulla mancata imposizione di prezzi sensibilmente più elevati rispetto a quelli praticati, a parità di condizioni, negli altri Stati membri, tenuto conto che nel caso non rileva se, a parità di condizioni, in Italia fossero chiesti compensi superiori rispetto a quelli praticati in altri Stati membri, ma rileva in radice la definizione di tali condizioni, non potendo ritenersi ragionevole e frutto di una condotta corretta sul piano antitrust l’impiego di schemi negoziali incoerenti con le ragionevoli esigenze di tutela degli utilizzatori, in assenza di impedimenti e nei limini dell’apprezzabile sacrificio dell’intermediario.
Infine, non potrebbero valorizzarsi le clausole di adeguamento del corrispettivo alle modifiche dei palinsesti, in quanto comprese comunque in accordi aventi ad oggetto l’intero repertorio e, pertanto, la totalità delle opere (appartenenti alla categoria rilevante) tutelate.
30. In ultimo, nel ricorso in appello si affrontano i temi dell’esistenza di vincoli in entrata e in uscita e della mancata adozione di una gestione opera per opera.
Anche sotto tale profilo le censure sono infondate.
31. Quanto all’esistenza di vincoli in entrata e in uscita imposti agli autori, discendenti dalla limitazione del potere dispositivo degli autori (ai fini delle adesioni e dei recessi), rilevano le modalità con cui la SIAE ha inteso le pertinenti disposizioni organizzative.
31.1 Con nota del 9.10.2015 (doc. 3 produzione Autorità dell’1.8.2022), nel riscontrare una richiesta di limitazione di diritti avanzata da un editore, la SIAE ha rappresentato l’impossibilità di “escludere, nell’ambito di ciascuna categoria di diritti che lo Statuto prevede, solo alcune specifiche facoltà o modalità di esercizio di tali diritti. Pertanto l’eventuale esclusione di cui all’art. 6 comma 2 lettera B (i) riguarderebbe tutti i diritti di pubblica esecuzione (dal vivo e non) compresa la pubblica esecuzione cinematografica e quella realizzata con qualsiasi altro procedimento tecnico di riproduzione”.
L’art. 6 dello Statuto SIAE, nella formulazione del 2012 (doc. 5 produzione Autorità dell’1.8.2022) prevedeva la suddivisione delle opere in cinque sezioni (musica, cinema, DOR, OLAF e lirica), descriveva le opere assegnate a ciascuna sezione ed individuava i diritti tutelati, elencandoli in punti autonomi, ciascuno dei quali comprendente i vari procedimenti tecnici di esercizio del diritto preso in esame.
La SIAE, pertanto, rifiutava una limitazione dei mandati che si sostanziasse nell’esclusione dalla gestione di alcune facoltà o modalità di esercizio dei diritti amministrati.
31.2 Al riguardo, deve darsi atto che, alla stregua del combinato disposto degli artt. 19 LDA e 4, comma 4, D. Lgs. n. 35/17, sembra che gli autori possano conferire il mandato di gestione, specificando il diritto, la categoria di diritti o il tipo di opere e di materiali tutelati da affidare alla controparte.
Pertanto, tenuto conto del principio di indipendenza dei diritti d’autore (Cass. civ. Sez. I, Ord., 12 dicembre 2017, n. 29811), considerato che per categoria di diritti deve intendersi l’insieme di diritti legati da forme di sfruttamento comune (“quali la trasmissione radiotelevisiva, la riproduzione in sala o la riproduzione destinata alla distribuzione online” – Considerando n. 19 della direttiva 2014/26/UE), dovrebbe ritenersi conforme al quadro normativo di riferimento una pratica volta ad impedire all’autore il conferimento di un mandato di gestione riguardante una delle modalità tecniche di esercizio del diritto preso in esame.
Invero, i diritti di sfruttamento economico, tra loro indipendenti ex art. 19 LDA, sono regolati ciascuno in un autonomo articolo, riferito alla prestazione riservata, a prescindere dalle modalità tecniche di suo esercizio (cfr. art. 13 per il diritto di riproduzione, regolato unitariamente a prescindere dal “procedimento di riproduzione” preso in esame): pertanto, posto che la facoltà di scelta riconosciuta all’autore dall’art. 4, comma 4, D. Lgs. n. 35/17 è circoscritta alla specificazione del diritto, della categoria di diritti o del tipo di opere da affidare in gestione (e non alle modalità di esercizio del singolo diritto), non potrebbe riconoscersi una generale pretesa, fondata sul D. Lgs. n. 35/17, dell’autore di conferire incarichi circoscritti, anziché ad uno specifico diritto, ad alcune soltanto delle modalità di suo esercizio.
31.3 Una tale interpretazione deve, tuttavia, essere coordinata con la disciplina antitrust, comunque fatta salva dalla normativa sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno (cfr. considerando n. 56 della direttiva 2014/26/UE).
Come osservato sopra, l’impresa in posizione dominante deve evitare condotte abusive, provvedendo alla definizione delle condizioni negoziali in maniera ragionevole e proporzionata, tenuto conto delle esigenze di tutela delle controparti, salvi impedimenti e nei limiti dell’apprezzabile sacrificio.
La giurisprudenza europea valorizza, al riguardo, la necessità che le società incaricate dello sfruttamento dei diritti d’autore, che occupino una posizione dominante, si astengano dall’imporre ai propri membri obblighi non indispensabili al raggiungimento dello scopo sociale e tali quindi da limitare in modo iniquo il libero esercizio dei diritti d’autore, potendo tali pratiche configurare uno sfruttamento abusivo di posizione dominante (Corte di Giustizia, 21 marzo 1974, in causa C 127/73, punto 15).
31.4 Avuto riguardo al tema dell’intermediazione dei diritti di autore, deve in primo luogo osservarsi che un’autonoma valorizzazione delle singole modalità tecniche di esercizio del diritto tutelato non soltanto è possibile, ma è pure valorizzata dal legislatore per circoscrivere la riserva prevista dall’art. 180 LDA.
Come rilevato nella ricostruzione del quadro normativo di riferimento, tale disposizione non si limita ad enunciare i diritti soggetti a riserva, ma regola pure le relative modalità di esercizio (cfr. la radiodiffusione ivi compresa la comunicazione al pubblico via satellite ovvero la riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate, con esclusione, dunque, della riproduzione secondo procedimenti tecnici differenti).
31.5 Anche la SIAE, nella concessione delle licenze, ha ritenuto di considerare autonomamente le modalità di esercizio dei singoli diritti, provvedendo anche ad autorizzare l’esercizio di diritti di autore limitatamente ad alcune delle forme di esercizio in astratto prospettabili.
È possibile richiamare l’accordo di licenza multimediale concluso tra la SIAE e RTI in data 1.2.2016 (doc. 11 produzione Autorità dell’1.8.2016), con cui l’odierna appellante non ha autorizzato la controparte all’esercizio del diritto di riproduzione “in qualsiasi modo o forma” come previsto dall’art. 13 LDA nella regolazione del relativo diritto, ma ha autorizzato RTI a riprodurre soltanto “tramite caricamento dei relativi file all’interno di una banca dati digitali, gestita da RTI o da terzi, le registrazioni e le riproduzioni delle opere di cui sopra (uploading) ad uso esclusovo della loro inclusione in uno dei servizi oggetto di questo Accordo” (art. 2, secondo alinea), prevedendo che “qualsiasi diritto o modalità di utilizzo delle Opere amministrate dalla SIAE diversi da quelli previsti dal precedente art. 2 sono espressamente escludi dal presente Accordo”.
Anche nella definizione delle condizioni generali di licenza, la SIAE ha distinto le diverse modalità di esercizio dei diritti, provvedendo ad una limitazione dell’oggetto delle autorizzazioni rilasciabili.
In particolare, come emerge dalle “condizioni generali di licenza ad imprese di diffusione televisiva in tecnica digitale per l’utilizzazione delle opere del repertorio musica” (doc. 28 produzione Autorità dell’1.8.2022), le autorizzazioni concedibili riguardavano, tra l’altro, la “esecuzione, rappresentazione o recitazione delle opere appartenenti al repertorio Musica di SIAE, dal vivo o mediante l’uso di registrazioni effettuate legittimamente anche da terzi, purché siano rispettate le seguenti condizioni: l’esecuzione, rappresentazione o recitazione (i) sia organizzata direttamente dalla Licenziataria o tramite soggetti terzi di cui la Licenziataria stessa si avvalga; (ii) si svolga negli studi della Licenziataria o in studi di terzi di cui la Licenziataria si avvalga, o ancora si svolga in luogo aperto ed accessibile, ma in ogni caso a condizione che l’accesso del pubblico nei detti studi o luoghi aperti sia gratuito e avvenga nei ristretti limiti delle esigenze funzionali del programma”.
Nelle stesse condizioni generali si prevedeva che “La predetta autorizzazione non si estende ad altre forme di pubblica esecuzione, rappresentazione o recitazione delle opere appartenenti al repertorio Musica di SIAE effettuate, in via esemplificativa ma non esaustiva, nel corso di manifestazioni pubbliche ovvero a mezzo di apparecchi riceventi all’interno di esercizi commerciali e di locali o ambienti aperti al pubblico. Tali forme di utilizzazione dovranno essere da SIAE preventivamente e separatamente autorizzate”.
31.6 Alla luce di tali rilievi emerge che le distinte modalità e forme di esercizio del medesimo diritto possono essere valutate autonomamente, sia ai fini della definizione di riserve di attività, sia ai fini della negoziazione commerciale, a dimostrazione di come, pur essendosi di fronte al medesimo diritto, perché afferente alla stessa prestazione (quale la riproduzione), le varie modalità del suo esercizio assumono un proprio valore giuridico ed economico, potendo essere autonomamente considerate in sede normativa e negoziale.
Ne discende che l’impresa in posizione dominante che riceva una proposta di mandato (o di successiva limitazione di un mandato già conferito) non potrebbe opporre impedimenti ad una valorizzazione atomistica delle modalità tecniche di esercizio di uno stesso diritto e, dunque, ad una loro considerazione autonoma ai fini della definizione dell’oggetto dell’incarico: ciò, da un lato, potrebbe rispondere ad un’effettiva esigenza di tutela dell’autore (interessato ad autoprodurre o a conferire ad altri organismi l’intermediazione delle diverse modalità di esercizio dello stesso diritto), dall’altro, sarebbe tecnicamente possibile e non determinerebbe un apprezzabile sacrificio all’intermediario in posizione dominante, tenuto conto che lo stesso operatore, nell’esercitare l’esclusiva e nel concedere le licenze, provvede conformemente, considerando atomisticamente le modalità di esercizio del singolo diritto. Né un’adeguata prova contraria – circa il sacrificio suscettibile di derivare all’incumbent da una tale limitazione – risulta fornita in atti.
In definitiva, la condotta della SIAE di rifiutare la limitazione (ex ante o in pendenza del rapporto) dei mandati ad alcune delle modalità di esercizio dello stesso diritto (come desumibile dalla nota attorea del 9.10.2015 cit.) non può ritenersi lecita sul piano antitrust, comportando – in assenza di ragioni tecniche o economiche adeguate – una limitazione dell’autoproduzione privata e, quanto ai mercati non riservati ovvero ai mercati riservati a partire dal 16.10.2017 (e in relazione agli organismi di gestione collettiva), un effetto escludente nei confronti degli altri operatori, ostacolati nell’attività (possibile) di intermediazione delle modalità di esercizio dei diritti di autore che l’iscritto intende sottrarre alla gestione della SIAE.
32. Non potrebbe ritenersi lecita neppure il rifiuto di una gestione opera per opera.
32.1 In particolare, come rappresentato da un esponente aziendale (all. 2 processo verbale di accertamento ispettivo – doc. 19 produzione Autorità), “nell’associarsi a SIAE, il repertorio deve essere conferito interamente (e quindi non è ammesso il mandato per un singolo evento e/o per una singola opera), ma possono essere limitati i diritti e i territori previsti ex art. 6 dello Statuto SIAE. La limitazione dei diritti viene richiesta dal titolare alla Direzione Servizio Clienti (…) e inserita a sistema nei registri anagrafici. Tale limitazione deve valere su tutte le opere dell’artista ossia tutto il suo repertorio. Essendo l’informazione già a sistema non è necessario dunque che essa venga acquisita nuovamente per ogni singola opera su ciascun bollettino di deposito”.
Nel rinviare al precedente paragrafo per la trattazione della limitazione dei diritti, nella presente sede occorre soffermarsi sulla pratica della SIAE di amministrare l’intero repertorio personale dell’autore iscritto.
Trattasi di una condotta non giustificabile sul piano antitrust ex art. 102 TFUE, come correttamente ritenuto dall’Autorità.
32.2 I diritti di utilizzazione economica sorgono in capo all’autore per effetto della creazione intellettuale ex art. 1 LDA: i diritti riconosciuti all’autore, dunque, non soltanto sono tra loro indipendenti ex art. 19 LDA ove relativi alla stessa opera, ma si differenziano pure in ragione dell’opera cui afferiscono, tenuto conto che la creazione di ogni opera rappresenta il fatto costitutivo di autonomi diritti di sfruttamento economico.
Riscontrandosi distinti diritti in relazione alle varie opere realizzate dall’autore, ciascuna opera potrebbe essere oggetto di una gestione autonoma.
La pretesa dell’intermediario di gestire tutto il repertorio (presente e futuro) dell’autore iscritto, dunque, non può giustificarsi sul piano normativo, emergendo opere autonome, ciascuna fonte di autonomi diritti di utilizzazione economica.
A tali fini, non potrebbe valorizzarsi neppure il disposto dell’art. 4, comma 4, D. Lgs. n. 35/17 cit., tenuto conto che le relative disposizioni, sebbene richiamino effettivamente anche una scelta, riferita a “categorie di opere”, idonea a giustificare l’affidamento di tutte le opere accomunate dall’appartenenza alla medesima manifestazione artistica presa in esame (cfr. la letteratura o la musica), consentono, come osservato, anche una scelta per singoli diritti, con la conseguenza che, sorgendo il diritto in ragione della realizzazione della singola creazione intellettuale, per ogni opera potrebbe discorrersi di un diritto (rectius di diritti di sfruttamento economico) autonomamente deducibile nel relativo incarico di intermediazione.
Peraltro, l’art. 4, comma 6, D. Lgs. n. 35/17 consente la revoca dell’affidamento dell’attività di intermediazione anche “in parte”, impiegando un’espressione di ampia portata, riferibile anche a una porzione delle opere intermediate (non necessariamente affidabili in via cumulata allo stesso gestore).
Non si ritiene, dunque, che il dato normativo legittimi un rifiuto di intermediazione di singole opere.
32.3 Non si rinvengono nella specie neppure ostacoli tecnici o economici ad una tale tipologia di attività gestoria, svolta opera per opera: la circostanza per cui ogni autore viene identificato con un unico codice IPI per tutto il suo repertorio (pure valorizzata dall’appellante) non potrebbe determinare l’impossibilità di una gestione delle opere dello stesso autore da parte di plurimi organismi di intermediazione.
Difatti, una tale ipotetica problematica si porrebbe anche per la gestione differenziata delle categorie di opere riconducibili allo stesso autore, invece espressamente consentita dal dato positivo: legittimando una scelta per categorie di opere, infatti, il legislatore ammette che categorie differenti di opere, pure riconducibili allo stesso autore contrassegnato dal medesimo codice IPI, siano gestite da intermediari diversi.
Del resto, a fronte di standard tecnici inidonei a garantire la struttura concorrenziale del mercato, è lo standard a dover essere adeguato, non potendo -di contro- accogliersi un’interpretazione che renda cedevole il bene giuridico sovranazionale (l’interesse concorrenziale) all’uopo tutelato.
Anche in tale caso, dunque, la pratica della SIAE di imporre agli autori l’affidamento integrale del proprio repertorio presente e futuro doveva ritenersi abusiva, comportando un effetto limitativo della concorrenza non giustificato da ragioni tecniche o economiche, reso possibile dalla posizione di forza contrattuale detenuta dall’impresa leader (in condizione di imporre condizioni negoziali altrimenti non esigibili da altri concorrenti).
Tale pratica:
– da un lato, ostacolava, nei mercati non riservati ovvero riservati a partire dal 16.10.2017 e in relazione agli organismi collettivi di gestione, l’operatività degli intermediari alternativi, cui veniva sottratta la possibilità di gestire opere che gli autori intendevano escludere dal repertorio affidato alla SIAE;
– dall’altro, risultava illecita anche durante la vigenza della riserva esclusiva ex art. 180 LDA e per gli ambiti alla stessa riconducibili, limitando l’autoproduzione autoriale, in specie attraverso lo svuotamento del diritto dell’autore iscritto di gestire personalmente alcune delle opere che egli aveva interesse di escludere dall’incarico di intermediazione.
33. Alla luce delle considerazioni svolte, anche il settimo motivo di appello non può trovare accoglimento.
Sebbene le contestazioni dell’Autorità, alla base del provvedimento impugnato in primo grado, debbano essere in parte ridimensionate, non riscontrandovi abusi per estensione al settore della tutela dal plagio o agli utilizzi on line, le condotte riscontrate e documentate in atti, unitariamente esaminate, integrano gli elementi costitutivi di cui all’art. 102 TFUE.
In particolare, emerge che la SIAE, nei rapporti intrattenuti con gli autori, gli utilizzatori e le collecting estere, ha attuato pratiche:
– idonee a produrre effetti escludenti, capaci di rendere più difficile la penetrazione o il mantenimento dei concorrenti nei mercati aperti alla concorrenza (cfr. il repertorio straniero ovvero, dopo il 16.10.2017, anche i mercati riservati, comunque aperti alla concorrenza degli organismi di gestione collettiva);
– idonee ad ostacolare l’autoproduzione autoriale, operante anche nei mercati riservati, pure nel periodo in cui la riserva risultava esclusiva;
– in ogni caso, incentrate su uno sfruttamento di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti, facendosi questione di pratiche non supportate da particolari ragioni tecniche o da uno specifico interesse economico, se non quello di ostacolare l’attività dei concorrenti (nei mercati non riservati o aperti alla concorrenza di altri operatori) e di impedire l’erosione del proprio monopolio (al tempo della riserva esclusiva) per via dell’autoproduzione autoriale.
Alla luce di quanto rilevato, tali abusi hanno inciso:
– sui rapporti con gli autori, in specie imponendo una gestione dell’intero repertorio presente e futuro (anziché una gestione opera per opera), impedendo la limitazione dei mandati in relazione alle modalità e alle forme di esercizio dello stesso diritto suscettibili di autonoma considerazione, estendendo la propria gestione ad autori o coautori non iscritti, nonché ritenendo riconducibile alla riserva la gestione del repertorio straniero;
– sui rapporti con gli utilizzatori, imponendo sul piano fattuale clausole inidonee a tenere conto, nella determinazione del sistema tariffario, della variabilità dell’indice di rappresentatività della SIAE e della portata dell’utilizzo del repertorio cui gli utilizzatori erano effettivamente interessati;
– sui rapporti con le collecting estere, errando l’appellante nel ritenere che “gli accordi di rappresentanza tra società estere e SIAE erano null’altro che applicazione della Convenzione di Berna (cioè, i repertori stranieri rientrano nell’art. 180 LdA)” (pag. 38 appello); come osservato, il repertorio straniero non rientrava nell’art. 180 LDA, il che influisce pure sulle pratiche attuate nei rapporti con gli organismi esteri per la gestione del repertorio straniero, non potendo la SIAE operare sul presupposto (infondato) dell’esistenza di un’esclusiva (fino all’ottobre 2017) o comunque di una riserva (a seguito della riforma del 2017) non riconosciuta dalla normativa di riferimento.
Gli effetti negativi sul piano concorrenziale di tali condotte, del resto, non risultano essere stati controbilanciati da vantaggi in termini di efficienza a beneficio degli utenti (autori, editori e utilizzatori), in particolare in termini di prezzi, di scelta, di qualità o di innovazione: tali ipotetici vantaggi, del resto, da un lato, non risultano dimostrati, dall’altro, sono sconfessati dal rilievo per cui l’ostacolo all’ingresso di nuovi operatori ha inevitabilmente prodotto una limitazione dell’offerta di servizi di intermediazione che, come correttamente rilevato dall’Autorità, sono caratterizzati dall’elevata componente tecnologica, sia nel controllo sull’utilizzo delle opere tutelate, sia nei procedimenti di ripartizione tra gli eventi diritto.
Pertanto, in tali ipotesi, indebiti ostacoli in danno alla struttura concorrenziale del mercato non possono ritenersi di utilità per gli utenti, comportando un impedimento allo sviluppo tecnologico dei servizi interessati e, dunque, al conseguimento dei maggiori benefici dagli stessi discendenti.
34. In conclusione, giova rilevare come la mancata dimostrazione di alcuni degli addebiti formulati dall’Autorità – in specie, in ordine alla tutela dal plagio e agli utilizzi on line – non potrebbe condurre all’annullamento del provvedimento impugnato in prime cure, risultando le ulteriori pratiche contestate e accertate in giudizio idonee ad integrare la fattispecie di cui all’art. 102 TFUE.
In particolare, il giudice procedente è tenuto a verificare se la fattispecie concreta portata alla sua attenzione, per come accertata dagli elementi istruttori acquisiti al giudizio, pure ove non esattamente corrispondente a quella denunziata dall’Autorità di settore (stante l’inesistenza di alcune delle condotte imputate), integri comunque gli elementi costitutivi dell’illecito per cui è causa.
In caso affermativo, pure dovendosi riscontrare una gravità del fatto minore rispetto a quella contestata (stante l’accertata inesistenza di alcune delle condotte ascritte), non potrebbe escludersi l’esistenza dell’illecito e, dunque, non potrebbe giungersi all’annullamento del provvedimento nella parte deputata all’accertamento dell’infrazione e all’inibizione della sua prosecuzione (da confermare nei limiti di quanto riscontrato in giudizio, anche ai fini della conformazione della condotta attorea da attuare sul piano sostanziale).
In tali ipotesi, piuttosto, potrebbe intervenirsi sul piano sanzionatorio, rideterminando il quantum debeatur della sanzione irrogata dall’Autorità, al fine di renderlo proporzionato alla minore gravità dell’illecito in giudizio accertato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 11 dicembre 2017, n. 5795, secondo cui, “una volta ridimensionata la condotta scorretta imputabile …. la sanzione deve essere proporzionalmente diminuita”, a dimostrazione di come la negazione di alcuni degli addebiti mossi dall’Autorità, ove sia integrata comunque l’infrazione antitrust, rileva sul piano sanzionatorio, non potendo condurre all’annullamento dell’accertamento dell’illecito e del relativo ordine inibitorio, da parametrare in ogni caso all’infrazione per come accertata in giudizio)
Nella specie, ferma rimanendo l’integrazione dell’illecito in ragione delle condotte abusive comunque tenute dalla SIAE nei rapporti con gli autori, gli utilizzatori e le collecting estere, il provvedimento impugnato non potrebbe essere annullato non solo nella parte deputata all’accertamento dell’illecito e alla sua inibizione (stante l’accertata esistenza dell’infrazione ex art. 102 TFUE, nei limiti sopra indicati), ma neppure nella parte dedicata alla quantificazione della sanzione pecuniaria, già definita dall’Autorità in misura simbolica (pari a € 1.000,00), non ulteriormente riducibile.
35. Alla luce delle considerazioni svolte, l’appello incidentale deve essere dichiarato inammissibile e l’appello principale deve essere rigettato e, per l’effetto, ai sensi di quanto osservato, deve confermarsi la decisione di rigetto del ricorso di primo grado pronunciata dal Tar.
36. La novità e la complessità delle questioni trattate impongono l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio del grado di appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello principale e sull’appello incidentale, come in epigrafe proposti, così provvede:
– dichiara l’inammissibilità dell’appello incidentale e rigetta l’appello principale e, per l’effetto, conferma ai sensi di cui in motivazione la sentenza appellata;
– compensa interamente tra le parti le spese di giudizio del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2022 con l’intervento dei magistrati:
Hadrian Simonetti, Presidente
Dario Simeoli, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Francesco De Luca, Consigliere, Estensore
Lorenzo Cordi’, Consigliere
L’ESTENSORE
Francesco De Luca
IL PRESIDENTE
Hadrian Simonetti
IL SEGRETARIO