Da qualche tempo a questa parte il tema dell’esistenza e della natura giuridica di diritti di sfruttamento degli spettacoli sportivi calcistici, e dei relativi limiti, ha assunto una importanza economica e sociale rilevante, dimostrata dalla frequenza con cui si generano controversie fra le società sportive e la loro associazione di categoria, la Lega Calcio, da una parte e gli utilizzatori dei diritti (televisioni, società di telecomunicazione, etc.) dall’altra parte. La più recente di queste controversie ha occupato per lungo tempo nel corso di questa estate le prime pagine dei quotidiani e dei telegiornali nazionali, e appare tuttora lontana da una soluzione.
Si tratta della lite fra RAI e Lega Calcio per l’acquisizione dei diritti di trasmissione televisiva in chiaro delle partite di calcio dei gironi A e B, che tradizionalmente sono sempre stati acquisiti dalla concessionaria del servizio pubblico ed utilizzati per la creazione di palinsesti, soprattutto domenicali, focalizzati sull’andamento e i risultati delle partite.
Anche per la stagione 2005–2006 RAI era in trattative con la Lega Calcio; improvvisamente le trattative si sono interrotte e la Lega Calcio ha deciso di indire in tempi brevissimi un’asta fra gli interessati; RAI ha ritenuto che il comportamento della Lega Calcio fosse illecito sotto svariati profili, e ha presentato ricorso avanti al tribunale di Milano per ottenere che i termini di scadenza dell’asta fossero posticipati; ottenuta dal tribunale l’ordinanza di sospensione dei termini, RAI ha comunque deciso di presentare all’asta una offerta di acquisto di importo e valenza “simbolici”, andando così incontro a sicura sconfitta; i diritti sono così stati acquisiti dalla principale concorrente di RAI, Mediaset, che vi ha costruito intorno un palinsesto domenicale incentrato sulla trasmissione ed il commento delle partite calcistiche.
Dal canto suo, RAI ha mantenuto la struttura dei propri palinsesti, ed in particolare delle trasmissioni televisive di spettacolo in essi inserite basate sull’informazione calcistica (si tratta soprattutto della nota trasmissione “Quelli che il calcio”). RAI ha rinunciato a trasmettere nel corso di tali trasmissioni le immagini delle partite e in particolare dei goal; ha continuato tuttavia a trasmettere in tempo reale i risultati di tutte le partite, commentandoli con immagini di archivio e interventi di ospiti. A fronte di questo comportamento (cui si aggiungeva una sostanziale tenuta dei dati di ascolto RAI nonostante la perdita dei diritti calcistici), Lega Calcio e Mediaset hanno protestato pubblicamente e – a quanto risulta – inviato una lettera di diffida che dovrebbe preludere all’instaurazione di una causa (la quale in ogni caso dovrebbe essere di merito e non cautelare, visto che dall’annuncio della lettera è ormai trascorso del tempo).
Allo stato tuttavia non sono disponibili informazioni che confermino l’effettiva presentazione della causa minacciata. Dal canto suo RAI ha ribattuto che, condotte tutte le verifiche legali del caso, era certa della liceità del proprio comportamento, il quale non avrebbe violato alcun diritto esclusivo delle controparti né alcun altra norma di diritto.
Il casus belli ora illustrato (peraltro certo non isolato: molti ricorderanno le numerose controversie cautelari che hanno occupato diversi tribunali italiani nell’estate del 2003 in relazione all’iniziativa di TIM di trasmettere le immagini dei goal delle partite di calcio tramite il sistema GPRS: v. Trib. Roma, ord. 21 luglio 2003, in AIDA 2003, 947; Trib. Roma, ord. 31 marzo 2003, ivi, 942; Trib. Brescia, ord. 15 marzo 2003, ivi, 940; Trib. Brescia, ord. 9 agosto 2003, reperibile all’URL www.interlex.it; Trib. Verona, ord. 31 marzo 2003, ibidem; Trib. Milano, ord. 14 luglio 2003, ibidem; Trib. Milano, ord. 3 settembre 2003, ibidem) offre l’opportunità per effettuare una ricognizione circa l’esistenza, la natura giuridica e i limiti dei diritti di sfruttamento sugli spettacoli sportivi, con particolare riguardo a quelli di tipo calcistico (vista la loro rilevanza, soprattutto in un paese come l’Italia).
Questi sono ormai variegati, estendendosi dal diritto di trasmissione in chiaro delle partite, ai diritti di trasmissione in forma criptata, allo sfruttamento dei cd. highlights (ovvero immagini salienti del match), al cd. diritto di accesso e di intervista degli atleti e di altri protagonisti dell’evento nelle immediatezze del medesimo ed in particolari luoghi qualificati dello stadio, i quali poi possono riguardare più mezzi di comunicazione (televisione, radio, telefonia mobile, internet), più forme (diretta, differita, comunicazione integrale, differita): per una disamina v. Bertani, Imprese sportive e concorrenza, in AIDA 2003, 24 ss.; Meli, I diritti di accesso al campo e di intervista, ivi, 209; Molinari, Ricostruzione videografica degli “highlights” di manifestazioni sportive: sfruttamento economico o legittima manifestazione del diritto di cronaca?, in Riv. Dir. Aut. 2003, 225.
Ognuna di queste modalità di sfruttamento rappresenta evidentemente un’opportunità economica per le società calcistiche, che dal moltiplicarsi delle piattaforme di trasmissione vedono moltiplicarsi il proprio pubblico (dal tifoso che non può rinunciare alla diretta al semplice interessato che può dare valore ad una comunicazione di sintesi ed in leggera differita), con conseguente aumento anche delle connesse utilità economiche.
Fino ad epoche recenti la questione circa la esistenza, la natura giuridica ed i limiti di sfruttamento dei diritti ora descritti non destava particolare interesse, per la fondamentale ragione che le forme di sfruttamento dei diritti erano assai più limitate (sostanzialmente, era possibile solo la partecipazione diretta all’evento, la sua trasmissione televisiva tramite i canali della concessionaria pubblica, ovvero la radiocronaca). In questo contesto bastavano agli organizzatori degli spettacoli calcistici (ossia le imprese sportive) i diritti dominicali che regolavano l’ingresso allo stadio; in questo modo si disciplinavano pattiziamente gli accessi dei normali spettatori, dei radiocronisti, di coloro che effettuavano le riprese e i commenti televisivi. Così, per esempio, chi volesse riprendere con telecamere lo spettacolo sportivo doveva concludere con l’organizzatore dell’evento un accordo ad hoc, regolato e compensato in modo specifico.
Con l’aumento delle forme di sfruttamento e l’impossibilità pratica di regolarle tutte tramite il semplice esercizio dei diritti dominicali (una volta diffusa l’immagine o la notizia del goal impedirne la circolazione in forma digitale o equivalente in tempi reali è praticamente impossibile), la questione della natura giuridica dei diritti è diventata di particolare attualità, oltre che dal punto di vista economico, anche in campo giuridico, e molto dibattuta. Essa viene tradizionalmente declinata in due passaggi: in primo luogo, si osserva che la questione dipende dalla risposta alla domanda circa la natura giuridica dello spettacolo calcistico, ed in particolare se quest’ultimo possa essere considerato fonte di diritti esclusivi (principalmente qualificandolo come un’opera dell’ingegno); ove questa domanda ricevesse risposta positiva, si tratterebbe poi di determinare se sia possibile identificare dei limiti all’esercizio dei diritti esclusivi, sotto forma di “libere utilizzazioni” ed in particolare del diritto di cronaca.
Quanto alla prima questione, l’impostazione tradizionale si chiede se lo spettacolo sportivo calcistico possieda i caratteri tipicamente necessari (essenzialmente, la creatività di tipo intellettuale) per essere assimilato ad un’opera dell’ingegno, pur non rientrando espressamente nel catalogo delle opere tutelate ex artt. 1 e 2 della l. 633/1942 (infra l.a.). Qui l’opinione che mi pare per il momento prevalente – perlomeno nella tradizione – tende a dare una risposta negativa (v. ex multis Auteri, Diritti esclusivi sulle manifestazioni sportive e libertà di informazione, in AIDA 2003, 183; Molinari, op.cit., 234–235, Troiano, Il diritto sullo spettacolo economico (tutela giuridica dell’interesse alla sua utilizzazione economica), ivi, 144 ss.; Trib. Milano, ord. 14 luglio 2003, cit.; Trib. Milano, ord. 3 settembre 2003, cit.), per una serie di motivazioni. Si osserva in primo luogo che le esclusive sono un numerus clausus, e che quindi in assenza di espresse e puntuali disposizioni di legge non appare assolutamente possibile creare una nuova tipologia di beni immateriali (Auteri, op. cit., 193). Si osserva ancora che lo spettacolo sportivo differisce dalle opere dell’ingegno (e anche dal format di opere televisive o simili, peraltro esso stesso di incerta tutela), in quanto basato sulla casualità dell’interazione fra gli atleti, anziché su una trama pre–decisa dall’autore, che viene soltanto interpretata dagli attori/partecipanti allo show (Auteri, ibidem; Troiano, ibidem). Alcuni autori hanno contrapposto a questa posizione di chiusura una interpretazione diversa, basata sulla valorizzazione di alcuni dati normativi e soprattutto sul tentativo di identificare una tutela forte idonea a garantire una protezione adeguata a quelle che paiono essere le nuove esigenze di tutela dello spettacolo sportivo.
Metagiuridicamente, il tentativo si fonda su di una interpretazione storicistica del diritto d’autore che da istituzione focalizzata sulla protezione dell’individuo, della sua creatività e della sua creazione, con grande enfasi sull’aspetto morale della tutela, si è venuto sempre più trasformando in una lex mercatoria finalizzata a riconoscere una protezione all’investimento. Una tappa fondamentale di questa evoluzione si è avuta nel riconoscimento del software come opera dell’ingegno; l’evoluzione è poi continuata con lo sviluppo della tutela dei diritti connessi del produttore fonografico, del produttore audio–visivo, del costitutore di banche di dati. Anche al di là di questi nuovi tipi, è riscontrabile in giurisprudenza una certa tendenza a dilatare i confini del diritto d’autore per attribuire tutela a situazioni border–line, ove – pur in assenza di una norma espressa che garantisca protezione – si intuisce l’opportunità di riconoscere al primo “autore” (inteso ovviamente qui in senso lato) un vantaggio competitivo. Qui penso soprattutto alle figure del format, alla cartografia, al personaggio di fantasia, etc.
Lo sforzo di riconoscere una protezione anche allo spettacolo sportivo (attribuendo all’organizzatore l’appropriazione di tutte le utilità economiche che ne derivano o ne possono derivare) è figlio appunto di questa tendenza che – a mio avviso stranamente – ha mostrato di avere un seguito ben maggiore nel campo del diritto d’autore piuttosto che in quello degli altri diritti di proprietà intellettuale (come marchi, brevetti, modelli, etc.). E dunque al fine di ottenere il risultato ora indicato vi è stato chi ha dato rilievo alla l. 29 marzo 1999 n. 78, che ha convertito in legge il d.l. 30 gennaio 1999 n. 15 (“disposizioni urgenti per lo sviluppo equilibrato dell’emittenza televisiva e per evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo”). L’art. 2 di questa legge attribuisce alle imprese sportive i diritti esclusivi di trasmissione televisiva (testualmente, “ciascuna societa’ di calcio di serie A e di serie B e’ titolare dei diritti di trasmissione televisiva in forma codificata”). Secondo un’opinione questa norma sarebbe sufficiente a creare un nuovo diritto di esclusiva a favore delle imprese sportive (Patroni Griffi, I diritti di trasmissione di highlights, in AIDA 2003, 218 ss.; Bertani, Impresa culturale e diritti esclusivi, Giuffrè, 2000, 307). L’opinione ora descritta viene criticata da chi osserva che l’art. 2 della l. 78/1999 sarebbe troppo ambiguo per poter efficacemente dar luogo al riconoscimento di un nuovo bene immateriale, ben potendo riguardare semplicemente i diritti derivanti da accordi contrattuali. Ancora, e persuasivamente, si osserva che nella disposizione manca qualsiasi indicazione sul contenuto, la durata e i limiti della pretesa protezione esclusiva degli eventi sportivi.
Questa lacuna non sarebbe colmabile tramite analogia legis e iuris sulla base dei diritti connessi riconosciuti, stante il numero chiuso dei diritti connessi e la radicale differenza fra questi e gli eventi sportivi in questione (Auteri, op. cit., 193; Troiano, op.cit., 166). La ricostruzione dei diritti esclusivi sull’evento sportivo – forse prendendo atto di queste difficoltà sistematiche – ha talora assunto connotati ancora più coraggiosi e radicali. Si vedano per esempio recentemente Trib. Roma ord. 21 luglio 2003, cit., e Trib. Roma ord. 31 marzo 2003, cit., che – affermata la natura di imprenditore collettivo delle società sportive – hanno affermato il diritto delle medesime, ex art. 41 Cost., all’esercizio dell’impresa; questo diritto avrebbe carattere di assolutezza e sarebbe costituito da un fascio di facoltà, fra cui quella di sfruttamento economico delle utilità che derivano dai servizi resi; per tale ragione la negoziazione di alcune facoltà connaturate al diritto di impresa, quale la cessione a terzi dello sfruttamento delle imprese delle partite con diverse tecnologie, costituisce atto di disposizione del diritto che non priva l’imprenditore della titolarità del medesimo, suscettibile di riespansione per la cessazione degli effetti del contratto per qualunque causa, e delle sue prerogative nei confronti degli altri soggetti con cui l’imprenditore entra in relazione, e in particolare degli altri imprenditori, nei confronti dei quali continua a vantare la pretesa a una competizione sul mercato in regime di concorrenza leale.
Le argomentazioni del Tribunale di Roma – pur non del tutto perspicue – presentano a mio modo di vedere un’interessante soluzione interpretativa, che sposta l’attenzione dal diritto d’autore (o diritto connesso) alla concorrenza sleale (contra v. però Auteri, op. loc. cit; e Molinari, op. loc. cit.). In altre parole, prendendo atto della problematicità della qualificazione dell’evento sportivo come opera dell’ingegno o assimilabile, in assenza di una specifica normativa de iure condito, cercano di costruire una protezione non più assoluta ma comunque soddisfacente utilizzando le norme sulla concorrenza sleale.
Quest’ultime offrono in effetti alcuni spunti non trascurabili, che possono essere tratti in particolar modo dalla figura della concorrenza parassitaria (di elaborazione giurisprudenziale sulla scorta dell’art. 2598 c.c.) e della concorrenza contraria agli usi corretti nel giornalismo (art. 101 l.a.). Entrambe queste norme mi pare portino alla qualificazione di illiceità di tutti gli atti di appropriazione del frutto del lavoro altrui – anche non specificamente tutelato da diritti esclusivi di proprietà intellettuale – quando sussistano il carattere della sistematicità e/o della insussistenza di un intervallo temporale idoneo affinché l’imprenditore imitato possa recuperare il proprio investimento e inoltre trarne tutte le utilità cui avrebbe ragionevolmente diritto. Non si tratta qui propriamente di riconoscere una tutela erga omnes all’impresa in quanto tale, contro ogni forma di ripresa da parte di terzi e quale che sia il bene/prodotto ripreso. Si tratta invece di valorizzare da una parte l’esigenza di tutelare l’investimento quando questo sia rilevante (ciò che indubitabilmente avviene nel caso dell’organizzazione di eventi sportivi di tipo calcistico) e dall’altra parte alcuni caratteri della ripresa che la connotino di particolare scorrettezza, ossia – per l’appunto – la continua, totale e sistematica ripresa del prodotto altrui (o dei beni anche succedanei da questo generati) e la rivalità temporale.
Ove si trovasse questa impostazione convincente, si dovrebbe escludere la liceità dal punto di vista concorrenziale delle condotte di coloro che usino immagini o anche notizie derivanti dall’evento sportivo al fine di realizzare spettacoli, altre attività o altri beni del tutto o sostanzialmente incentrati sullo sfruttamento delle utilità derivanti dall’evento sportivo stesso.
A questa regola generale vanno naturalmente posti dei limiti, che a mio giudizio dovrebbero derivare da due fonti principali. La prima, tradizionale dei sistemi di esclusiva e più in generale derivante dallo stesso impianto del nostro ordinamento costituzionale, prende le mosse dalla necessità di comprimere l’espansione dei diritti esclusivi e di impresa quando in gioco vi siano altri diritti di rango costituzionale, quali – segnatamente – il diritto di informazione ed il diritto di cronaca. In questo senso sono orientate (seppur con numerose sfaccettature) la dottrina e la giurisprudenza dominanti: v. ex multis Auteri, op.cit.; Molinari, op.cit.; Trib. Milano, ord. 3 settembre 2003, cit.; Trib. Milano, ord. 14 luglio 2003, cit. (per una interpretazione molto restrittiva del diritto di cronaca v. tuttavia Trib. Roma ord. 21 luglio 2003, cit., e Trib. Roma ord. 31 marzo 2003, cit.).
Il diritto di cronaca ora menzionato deve tuttavia essere interpretato in senso restrittivo, in base al principio (che – pur essendo tipico del diritto d’autore – a me pare di portata generale) secondo cui la libera utilizzazione non deve essere tale da contrastare con la normale utilizzazione del bene (o con il normale esercizio dell’attività d’impresa).
Ne consegue che la utilizzazione della notizia dei risultati di un evento sportivo, o anche di alcuni fotogrammi (statici o in movimento) del medesimo debba essere considerata consentita ai fini di informazione del pubblico. Essa non deve tuttavia sconfinare in una forma di utilizzazione a sé, che da strumento informativo si trasformi in strumento di creazione di separate utilità economiche. Per fare un esempio, mi sembra che la notizia (anche con immagini) del risultato di un evento calcistico possa e debba essere qualificata come lecita ove si limiti a breve aggiornamento nel contesto di un programma puramente informativo quale un telegiornale. Diversa dovrebbe essere la soluzione quando la stessa notizia (e a maggior ragione le immagini) vengano utilizzate per realizzare uno spettacolo che – pur utilizzando anche altri elementi – sia sostanzialmente incentrato sull’evento o gli eventi sportivi, senza dei quali esso perderebbe ogni ragione d’essere. Questo potrebbe essere il caso di un programma televisivo che abbia come oggetto principale l’aggiornamento in tempo reale dei risultati degli eventi sportivi, i quali non costituiscano un elemento di puro contorno (come avverrebbe nel caso della notizia flash all’interno di un contenitore di tipo diverso, per esempio musicale) ma siano invece il “cuore” dello spettacolo televisivo stesso.
Un altro correttivo alla regola che attribuisce all’imprenditore sportivo il diritto di ritrarre dagli eventi organizzati le massime utilità economiche discende dall’applicazione del diritto antitrust. Da tempo le negoziazioni aventi ad oggetto i diritti calcistici (ma si tratta di un fenomeno che più in generale interessa tutto il settore dei diritti d’autore e connessi) sono oggetto di esame da parte delle autorità antitrust nazionali e comunitarie, trattandosi di un mercato particolare ove l’accentramento della domanda e della offerta costituiscono un fenomeno tipico (v. da ultimo Sarti, Antitrust e negoziazione accentrata dei diritti esclusivi, in AIDA 2003, 343 ss.; Osti, Il mercato dello sport nel diritto della concorrenza, ivi, 301; Giudici, L’abuso di posizione dominante di leghe e federazioni sportive, ivi, 391; Frignani – Palmieri, Gli abusi di posizione dominante delle emittenti, ivi, 406; in giurisprudenza v. AGCM, provvedimento 22 marzo 2003 n. 14137, in Bollettino 12/2005; AGCM, provvedimento 18 luglio 2002 n. 10895, in AIDA 2003, 948).
In questo contesto è importante vigilare affinché le dinamiche del mercato non costituiscano un alibi per la creazione di un sistema rigido di comportamento dell’offerta e della domanda, e inoltre affinché lo “sportello unico” di negoziazione che si realizza attraverso l’intervento negoziale accentratore della Lega Calcio non dia luogo a profitti di tipo monopolistico che siano abusivi e inoltre avvantaggino prevalentemente alcune categorie di operatori. In questo senso appare auspicabile l’intervento dell’autorità antitrust in funzione “calmieratrice” dei compensi (ancora Sarti, op. cit., 390).