Regolamento in materia di individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso per l’utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico di cui all’articolo 43-bis della Legge 22 aprile 1941, n. 633.
DELIBERA N. 3/23/CONS
REGOLAMENTO IN MATERIA DI INDIVIDUAZIONE DEI CRITERI DI RIFERIMENTO PER LA DETERMINAZIONE DELL’EQUO COMPENSO PER L’UTILIZZO ONLINE DI PUBBLICAZIONI DI CARATTERE GIORNALISTICO DI CUI ALL’ARTICOLO 43-BIS DELLA LEGGE 22 APRILE 1941, N. 633
L’AUTORITÀ
N.B. Il link al PDF del regolamento è in fondo al testo
NELLA riunione di Consiglio del 19 gennaio 2023;
VISTI gli articoli 21, 33 e 41 della Costituzione;
VISTA la legge 14 novembre 1995, n. 481, recante “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”;
VISTA la legge 31 luglio 1997, n. 249, recante “Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo”;
VISTO in particolare l’articolo 1, comma 6, lettera c), n. 14 della legge 31 luglio 1997, n. 249, il quale dispone che “Il Consiglio esercita tutte le altre funzioni e poteri previsti nella legge 14 novembre 1995, n. 481, nonché tutte le altre funzioni dell’Autorità non espressamente attribuite alla commissione per le infrastrutture e le reti e alla commissione per i servizi e i prodotti”;
VISTA la Comunicazione COM (2015) 192 final della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 6 maggio 2015, recante “Strategia per il mercato unico digitale in Europa”;
VISTA la Comunicazione COM (2016) 288 final della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 25 maggio 2016, recante “Le piattaforme online e il mercato unico digitale Opportunità e sfide per l’Europa”;
VISTA la Comunicazione COM (2018) 236 final della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 26 aprile 2018, recante “Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo”;
VISTO il Codice di condotta rafforzato sulla disinformazione firmato e presentato il 16 giugno 2022 da 34 firmatari che vi hanno aderito al termine del processo di revisione del Codice di buone pratiche adottato nel 2018;
VISTO il Regolamento (UE) 2019/1150 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online e, in particolare, l’articolo 2 recante le definizioni di prestatore di servizi di intermediazione e di motore di ricerca online;
VISTO il Regolamento (UE) 2022/1925 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 settembre 2022, relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale e che modifica le direttive (UE) 2019/1937 e (UE) 2020/1828 (di seguito anche Regolamento sui mercati digitali o “DMA”);
VISTO il Regolamento (UE) 2022/2065 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativo a un mercato unico dei servizi digitali e che modifica la direttiva 2000/31/CE (di seguito anche Regolamento sui servizi digitali o “DSA”);
VISTA la direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione;
VISTA la direttiva 2019/790/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE e, in particolare, l’articolo 15 (di seguito, anche Direttiva);
VISTA la legge 22 aprile 2021, n. 53, recante “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2019-2020” e, in particolare, l’articolo 9 nel quale sono declinati i principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva (UE) 2019/790;
VISTO il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 177, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE” (di seguito, anche il Decreto);
VISTA la legge 22 aprile 1941, n. 633, recante “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio” (di seguito, anche LDA);
VISTO, in particolare, l’articolo 43-bis della legge del 22 aprile 1941, n. 633, come introdotto dall’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 177, il quale attribuisce all’Autorità il compito di adottare un regolamento per l’individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso dovuto agli editori per l’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione, nonché funzioni di vigilanza sul rispetto degli obblighi di informazione e comunicazione previsti dallo stesso articolo;
VISTA la legge 21 giugno 1986, n. 317, recante “Disposizioni di attuazione di disciplina europea in materia di normazione europea e procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione”;
VISTA la legge 8 febbraio 1948, n. 47, recante “Disposizioni sulla stampa”;
VISTA la legge 3 febbraio 1963, n. 69, recante “Ordinamento della professione di giornalista”, e, in particolare, l’articolo 2, comma 1, ai sensi del quale “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”;
VISTA la legge 5 agosto 1981, n. 416, recante “Disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l’editoria”;
VISTA la legge 7 marzo 2001, n. 62, recante “Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416”;
VISTO il decreto legislativo 15 marzo 2017, n. 35, recante “Attuazione della direttiva 2014/26/UE sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno”;
VISTO il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 208, recante “Attuazione della direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri, concernente il testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato”;
VISTO, in particolare, l’articolo 4 il quale include, tra i principi fondamentali del sistema non solo dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, ma anche dei servizi di piattaforma per la condivisione di video, “la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, inclusa la libertà di opinione e quella di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza limiti di frontiere, nel rispetto della dignità umana, del principio di non discriminazione e di contrasto ai discorsi d’odio, l’obiettività, la completezza, la lealtà e l’imparzialità dell’informazione, il contrasto alle strategie di disinformazione, la tutela dei diritti d’autore e di proprietà intellettuale”;
VISTA la delibera n. 410/14/CONS del 29 luglio 2014, recante “Regolamento di procedura in materia di sanzioni amministrative e impegni e Consultazione pubblica sul documento recante «Linee guida sulla quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni»”;
VISTA la delibera n. 146/15/CONS del 25 marzo 2015, recante “Chiusura dell’Indagine conoscitiva su “Informazione e Internet in Italia. Modelli di business, consumi, professioni”, avviata con delibera n. 113/14/CONS”, nella quale viene analizzata l’offerta di informazione presente in Italia, sia sotto il profilo delle caratteristiche e delle trasformazioni della stessa, sia sotto il profilo dei modelli di business adottati dagli editori;
VISTA la delibera n. 423/17/CONS del 6 novembre 2017, recante “Istituzione di un tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali”, e il Rapporto Tecnico del Tavolo del 9 novembre 2018, recante “Le strategie di disinformazione online e la filiera dei contenuti fake”;
VISTA la delibera n. 79/20/CONS del 27 febbraio 2020, recante “Chiusura dell’indagine conoscitiva su “Piattaforme digitali e sistema dell’informazione”, avviata con la delibera n. 309/16/CONS”, e l’Interim Report di novembre 2018, recante “News vs. fake nel sistema dell’informazione”;
VISTA la delibera n. 236/17/CONS, del 12 giugno 2017, recante “Chiusura dell’indagine conoscitiva sui sistemi di rilevazione degli indici di ascolto sui mezzi di comunicazione di massa”;
VISTA la delibera n. 194/21/CONS, del 10 giugno 2021, recante “Indirizzi in materia di sistemi di rilevazione degli indici di ascolto nel nuovo ecosistema digitale”;
VISTA la delibera n. 107/19/CONS del 5 aprile 2019, recante “Adozione del Regolamento concernente le procedure di consultazione nei procedimenti di competenza dell’Autorità”;
TENUTO CONTO dei principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in materia di tutela del diritto d’autore e di commercio elettronico;
CONSIDERATO che l’Autorità ha formulato delle richieste di informazioni preliminari per acquisire, da parte dei portatori di interesse destinatari delle previsioni dell’articolo 43-bis della legge sul diritto d’autore, informazioni ed elementi conoscitivi utili per approfondire le dinamiche di settore;
VISTA la delibera n. 195/22/CONS, del 15 giugno 2022, recante “Consultazione pubblica sullo schema di regolamento in materia di individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso per l’utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico di cui all’articolo 43-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633”;
CONSIDERATO che, nell’ambito della consultazione pubblica avviata con la richiamata delibera n. 195/22/CONS, sono pervenute richieste di audizione da parte di: Associazione Nazionale Editoria di Settore (di seguito anche “ANES”, prot. n. 208664 del 5 luglio 2022), Evolution ADV s.r.l. (prot. n. 211986, del 7 luglio 2022), Federazione Italiana Editori Giornali (di seguito anche “FIEG”, prot. n. 214593 del 11 luglio 2022), FederRassegne (prot. n. 215382 del 12 luglio 2022), GEDI Gruppo Editoriale (di seguito anche “GEDI”, prot. n. 215849 del 12 luglio 2022), ITmedia Consulting (prot. n. 216047 del 12 luglio 2022), Anitec-Assinform (prot. n. 216993 del 13 luglio 2022), Agenzia Giornalistica Italia (di seguito anche “AGI”, prot. n. 217207 del 13 luglio 2022), Data Stampa s.r.l. e UniRass (prot. n. 217558 del 13 luglio 2022), Meta Platforms Ireland Limited (di seguito anche “Meta”, prot. n. 218099 del 14 luglio 2022), Google Italy s.r.l. (di seguito anche “Google”, prot. n. 218101 del 14 luglio 2022), AssoRassegne Stampa (prot. n. 219732 del 15 luglio 2022), IAB Italia (prot. n. 219746 del 15 luglio 2022), L’Eco della Stampa s.p.a. (prot. n. 219706 del 15 luglio 2022), Caltagirone Editore s.p.a. (di seguito anche “Caltagirone”, prot. n. 234688 del 29 luglio 2022), Società Italiana degli Autori e Editori (di seguito anche “SIAE”, prot. 239366 del 3 agosto 2022), Fondazione Italia Digitale (comunicazione del 6 settembre 2022), Ordine dei Giornalisti (prot. n. 274172 del 23 settembre 2022);
VISTI i contributi pervenuti nell’ambito della consultazione pubblica da parte dei seguenti soggetti: AGI (prot. n. 217207 del 13 luglio 2022), Citynews s.p.a. (prot. n. 221420 del 18 luglio 2022), Fondazione Italia Digitale (prot. n. 223497 del 19 luglio 2022), International Advertising Association Italy Chapter (prot. n. 225367 del 21 luglio 2022), Associazione Nazionale Stampa Online (prot. n. 225449 del 21 luglio 2022), Altroconsumo (prot. n. 227496 del 22 luglio 2022), Coalition for Creativity (C4C) e Noi Siamo Rete (prot. n. 228299 del 25 luglio 2022), Caltagirone (prot. n. 228903 del 25 luglio 2022), FederRassegne (prot. n. 228904 del 25 luglio 2022), Federazione Italiana Liberi Editori (prot. n. 230264 del 26 luglio 2022), ITmedia Consulting (prot. n. 230292 del 26 luglio 2022), R.T.I. s.p.a. (prot. n. 234511 del 29 luglio 2022), Consorzio Netcomm (prot. n. 234827 del 29 luglio 2022), ANES (prot. n. 236204 del 1° agosto 2022), Unione Stampa Periodica Italiana (prot. n. 237768 del 2 agosto 2022), RCS Mediagroup s.p.a. (prot. n. 238706 del 3 agosto 2022), SIAE (prot. 239366 del 3 agosto 2022), GEDI (prot. n. 239826 del 4 agosto 2022), Anitec-Assinform (prot. n. 240126 del 4 agosto 2022), Google (prot. n. 240202 del 4 agosto 2022), Confindustria Radio Televisioni (prot. n. 240783 del 5 agosto 2022), FIEG (prot. n. 240960 del 5 agosto 2022), Il Sole 24 Ore s.p.a. (prot. n. 243180 del 10 agosto 2022), prof. Giusella Finocchiaro e prof. Oreste Pollicino (prot. n. 244029 del 11 agosto 2022), Ciao People s.r.l. (prot. n. 244097 del 11 agosto 2022), RAI s.p.a. (prot. n. 245176 del 16 agosto 2022), AssoRassegne Stampa (prot. n. 245920 del 18 agosto 2022), Sky Italia s.r.l. (prot. n. 246137 del 19 agosto 2022), L’Eco della Stampa s.p.a. (prot. n. 246140 del 19 agosto 2022), IAB Italia (prot. n. 246615 del 22 agosto 2022), Meta (prot. n. 246603 del 22 agosto 2022), prof. Marco Gambaro (prot. n. 246602 del 22 agosto 2022), Data Stampa s.r.l. e UniRass (prot. n. 246240 del 19 agosto 2022);
SENTITE le osservazioni formulate nel corso delle audizioni dei seguenti soggetti che ne hanno fatto richiesta: AssoRassegne il 12 settembre 2022, Data Stampa s.r.l. e UniRass il 12 settembre 2022, FederRassegne il 13 settembre 2022, L’Eco della Stampa s.p.a. il 13 settembre 2022, FIEG il 14 settembre 2022, ANES il 14 settembre 2022, GEDI il 20 settembre 2022, SIAE il 22 settembre 2022, AGI il 22 settembre 2022, Caltagirone il 22 settembre 2022, ITmedia Consulting il 23 settembre 2022, Anitec-Assinform il 26 settembre 2022, IAB Italia il 26 settembre 2022, Meta il 27 settembre 2022, Evolution ADV s.r.l. il 27 settembre 2022, Google il 28 settembre 2022, Fondazione Italia Digitale il 29 settembre 2022, Ordine dei Giornalisti il 29 settembre 2022;
CONSIDERATO quanto segue:
− il considerando 54 della direttiva UE 2019/790 chiarisce che “Una stampa libera e pluralista è essenziale per garantire un giornalismo di qualità e l’accesso dei cittadini all’informazione e dà un contributo fondamentale al dibattito pubblico e al corretto funzionamento di una società democratica. L’ampia disponibilità di pubblicazioni di carattere giornalistico online ha comportato la nascita di nuovi servizi online, come gli aggregatori di notizie o i servizi di monitoraggio dei media, per i quali il riutilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico costituisce una parte importante dei loro modelli di business e una fonte di introiti. […] In assenza del riconoscimento degli editori di giornali quali titolari di diritti, la concessione delle licenze e il rispetto dei diritti nelle pubblicazioni di carattere giornalistico riguardo agli utilizzi online da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione nell’ambiente digitale sono spesso complessi e inefficaci”;
− la Direttiva mira, dunque, ad assicurare una tutela giuridica armonizzata per gli utilizzi online delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione allo scopo di remunerare l’investimento dell’editore, garantendo al contempo una informazione di qualità. Al tempo stesso, tuttavia, riconosce l’opportunità di prevedere che l’utilizzo di singole parole o di estratti molto brevi di pubblicazioni di carattere giornalistico non rientri nell’ambito dei diritti previsti dalla Direttiva, purché la definizione di estratto molto breve non sia tale da pregiudicare l’effettività del diritto così riconosciuto;
− l’articolo 15 della Direttiva intende colmare il cd. “value gap” ossia l’iniqua distribuzione del valore generato dallo sfruttamento in ambiente digitale di un contenuto protetto tra il titolare del diritto (editore) e il prestatore di servizi che veicola questo contenuto online. L’obiettivo è, dunque, consentire la circolazione dei contenuti favorendo una più razionale allocazione delle risorse. Ciò postula l’esigenza di un attento bilanciamento tra i diversi diritti fondamentali coinvolti, tenendo conto delle caratteristiche del nuovo ecosistema digitale; − nella relazione illustrativa al decreto di recepimento (d.lgs. n. 177/2021) si legge che “l’obiettivo di fondo dell’intervento europeo è quello di modernizzare il quadro giuridico dell’Unione in materia di diritto d’autore, adattandolo all’ambiente digitale contemporaneo […] partendo dalla constatazione che il contesto della fruizione dei contenuti creativi e quindi delle opere dell’ingegno tutelate dal diritto d’autore è profondamente cambiato a causa degli incessanti sviluppi tecnologici”;
− lo sviluppo costante delle tecnologie informatiche e telematiche ha infatti trasformato, innovando e semplificando al tempo stesso, le modalità di reperimento e scambio delle informazioni;
− i prestatori di servizi della società dell’informazione e, in particolare, quelli di servizi di intermediazione e di ricerca online hanno acquisito sempre maggiore centralità nella vita sociale ed economica, offrendo nuovi sistemi di accesso e distribuzione di contenuti; le nuove forme di distribuzione dei contenuti online hanno attratto un pubblico sempre più vasto che ha beneficiato dunque di una più agevole circolazione dei contenuti medesimi;
− per “pubblicazione di carattere giornalistico”, in particolare, non si fa riferimento più solo alle opere letterarie, ma anche agli altri elementi multimediali associati ai testi, come fotografie e video;
− l’ampia disponibilità di pubblicazioni di carattere giornalistico online ha comportato la nascita di nuovi servizi online, come gli aggregatori di notizie o i servizi di monitoraggio dei media, per i quali il riutilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico costituisce una parte importante dei loro modelli di business e una fonte di introiti;
− i prestatori offrono servizi all’utente prevalentemente a titolo gratuito in quanto la loro remunerazione si radica sui ricavi pubblicitari, nonché sullo sfruttamento dei dati degli utenti;
− se si considerano i media cosiddetti tradizionali (televisione, radio ed editoria), l’ultimo decennio è stato contrassegnato da una riduzione generalizzata dei ricavi complessivi. La contrazione riguarda sia i ricavi dagli utenti sia quelli da pubblicità, sebbene quest’ultima fonte abbia subito il calo maggiore. In tale quadro, gli introiti dei diversi mezzi derivanti da attività online sono cresciuti, ma non in misura sufficiente a compensare le perdite derivanti dalla riduzione delle vendite sui canali tradizionali;
− l’editoria quotidiana è l’ambito con maggiori difficoltà di carattere strutturale e congiunturale, con una contrazione dei ricavi complessivi, da vendita di copie e da pubblicità. Tale tendenza non sembra poter essere invertita dall’aumento delle vendite di copie digitali;
− numerosi sono, peraltro, i prestatori che si servono dei contenuti, anche giornalistici, per trattenere gli utenti sui propri servizi, sfruttando le caratteristiche economiche dei mercati multiversante attraverso una molteplicità di strategie d’impresa che tendono ad ostacolare il multi-homing e ad innalzare gli switching cost, anche al fine di raccogliere maggiori ricavi pubblicitari;
− altri prestatori, come le imprese di media monitoring e rassegne stampa, forniscono agli utenti servizi alternativi a quelli messi a disposizione dagli editori per la fruizione delle pubblicazioni di carattere giornalistico;
− la questione dell’equa remunerazione per lo sfruttamento delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi, ivi incluse le imprese di media monitoring e rassegne stampa, è stata oggetto di ampio dibattito dottrinale in Italia e in Europa, sia rispetto alla tutela delle prerogative autoriali che in relazione alla disciplina in materia di concorrenza, rilevandosi, con riferimento a tali ultimi profili, importanti interventi delle autorità antitrust europee;
− le direttive europee in materia di diritto d’autore, infatti, garantiscono ai titolari dei diritti la tutela della facoltà di sfruttare commercialmente la messa in circolazione o la messa a disposizione degli oggetti protetti, attraverso la concessione di licenze dietro il pagamento di un compenso in relazione a ogni utilizzazione degli oggetti medesimi. Secondo costante giurisprudenza, per poter risultare adeguato, tale compenso deve collocarsi in un rapporto ragionevole con il valore economico della prestazione fornita. In particolare, deve presentare un rapporto ragionevole con il numero reale o potenziale di soggetti che ne fruiscono o intendono fruirne (CGUE sentenza nelle cause C-403/08 e C-429/08 Football Association Premier League e A./ QC Leisure e A. Karen Murphy/Media Protection Services LTD);
− il d.lgs. n. 177/2021 ha novellato il testo della legge n. 633/1941 inserendo l’articolo 43-bis il quale prevede chiaramente che agli editori siano riconosciuti i diritti esclusivi di riproduzione e comunicazione di cui agli articoli 13 e 16 LDA da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione, nel cui alveo vengono anche ricondotte le imprese di media monitoring e rassegne stampa. In particolare, il comma 8 introduce la nozione di “equo compenso” che i prestatori riconoscono agli editori per gli utilizzi online di pubblicazioni di carattere giornalistico;
− la norma demanda all’Autorità il compito di individuare i criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso tenendo conto, tra l’altro, anche di quelli ivi indicati a mero titolo esemplificativo: la negoziazione tra le parti avviene “tenendo conto anche dei criteri definiti dal regolamento” (enfasi aggiunta);
− l’articolo 43-bis della LDA rimette in primo luogo alle parti il compito di definire, d’intesa tra loro e sulla base di trattative condotte secondo buona fede, l’ammontare dell’equo compenso, essendo facoltativa ed eventuale la possibilità di adire il giudice ordinario o di richiedere, in alternativa, l’intervento dell’Autorità che si esprime sulla conformità ai criteri individuati nel regolamento delle rispettive proposte economiche, formulandone una d’ufficio laddove entrambe siano valutate come non conformi;
− la norma deve dunque essere letta e interpretata alla luce dello spirito del diritto dell’Unione europea e, in particolare, della ratio sottesa alla formulazione dell’articolo 15 della Direttiva. Ne consegue che l’equo compenso è, in via preliminare, oggetto di una libera negoziazione tra le parti che, nel pieno esercizio della loro autonomia contrattuale, possono addivenire ad un accordo che “può” tenere conto “anche” dei criteri indicati dall’Autorità nel Regolamento;
− la norma, nell’effettuare un bilanciamento tra gli interessi in gioco, tiene necessariamente conto della libertà di iniziativa economica delle parti, costituzionalmente tutelata, di cui la libertà negoziale è espressione. Cionondimeno, la previsione, nell’attribuire un ruolo all’Autorità su istanza di parte e in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, prende in considerazione anche lo squilibrio di forza contrattuale esistente tra le parti;
− è la stessa Direttiva, infatti, che sancisce la necessità di “prevedere a livello di Unione una tutela giuridica armonizzata per gli utilizzi online delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione” (considerando 55) nel presupposto che “L’ampia disponibilità di pubblicazioni di carattere giornalistico online ha comportato la nascita di nuovi servizi online, come gli aggregatori di notizie o i servizi di monitoraggio dei media, per i quali il riutilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico costituisce una parte importante dei loro modelli di business e una fonte di introiti.” (enfasi aggiunta);
− appare opportuno chiarire in via preliminare come la nozione di “prestatori di servizi della società dell’informazione” sia molto ampia e tale da includere soggetti tra loro molto diversi che fondano la loro attività su modelli di business differenti. Nell’ambito dei “servizi della società dell’informazione” – vale a dire servizi prestati normalmente dietro retribuzione, a distanza, mediante attrezzature elettroniche di trattamento e memorizzazione di dati e a richiesta individuale di un destinatario di servizi – il legislatore ha ricondotto prestatori diversi;
− i servizi di media monitoring e rassegne stampa sono servizi caratterizzati da una strutturale dipendenza funzionale dagli editori, ed hanno un modello di business non assimilabile a quello delle piattaforme online attive nei mercati digitali. Gli aggregatori di notizie e i motori di ricerca non sono, a loro volta, assimilabili ai social network. Tali diversità si ritiene debbano essere prese in debita considerazione per la definizione dei criteri che concorrono alla determinazione dell’equo compenso, nonché per la definizione dell’equo compenso;
− al fine di assicurare l’accesso all’informazione e il funzionamento dei servizi che permettono la ricerca e la condivisione da parte degli utenti di pubblicazioni di carattere giornalistico, l’equo compenso non è dovuto in caso di pubblicazione, aggregazione o condivisione di collegamenti ipertestuali o di singole parole o di estratti molto brevi, in particolare qualora tali estratti siano elaborati direttamente dagli editori come sintesi delle pubblicazioni di carattere giornalistico automaticamente utilizzabili dai servizi di intermediazione e di ricerca, neanche nell’ipotesi in cui il servizio permetta la visualizzazione dell’anteprima della pubblicazione all’utente; − il legislatore, nella definizione di “estratto molto breve” ha privilegiato una nozione di tipo qualitativo rimettendo ad una verifica caso per caso il ricorrere della fattispecie esentata. La scelta è stata preceduta da un ampio dibattito sull’opportunità di prevedere un criterio meramente quantitativo, fondato sulla determinazione di un numero di parole corrispondenti a un estratto molto breve (vicino alla soluzione proposta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso Infopaq). Il legislatore, nell’accedere ad un’opzione qualitativa, ha ritenuto che non debba esservi una succedaneità tra estratto e notizia, in quanto l’estratto non deve essere sufficiente ad appagare il bisogno informativo al punto da rendere non più necessaria la lettura dell’articolo il cui contenuto è “meramente anticipato” tramite l’estratto. Nulla è disposto in ordine alla valorizzazione economica del breve estratto;
− la relazione al d.lgs. n. 177/2021, inoltre, con specifico riferimento al “caricamento online di una pubblicazione di carattere giornalistico ad opera dello stesso editore per libera scelta”, chiarisce che tale fattispecie non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 43-bis, essendo la norma finalizzata a disciplinare l’utilizzo da parte delle piattaforme di contenuti di informazione i cui diritti appartengono agli editori;
− l’Autorità ritiene dunque che nell’applicazione della disciplina del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica sia necessario operare un attento bilanciamento tra i diversi diritti in gioco, rispettando, da un lato, la libertà di espressione e di manifestazione del pensiero, ma anche l’accesso dei cittadini alla cultura e ad internet, e, dall’altro, la piena tutela del diritto d’autore;
− ai fini dell’individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso, l’Autorità intende tenere in considerazione i molteplici interessi sottesi a tale settore. L’obiettivo principale è la tutela del valore delle opere in ambiente digitale e, in particolare, delle pubblicazioni di carattere giornalistico intermediate dai prestatori di servizi della società dell’informazione, ivi comprese le imprese di media monitoring e rassegne stampa. In tal senso, i criteri mirano a promuovere un’equa e proporzionata remunerazione degli editori, andando a incidere sul value gap, anche nell’ottica di preservare gli incentivi alla produzione di una quantità e qualità di informazione adeguata da un punto di vista sociale, date le caratteristiche di bene pubblico dell’informazione;
− sottesa alla norma è dunque l’esigenza di accordare una idonea tutela alla informazione di qualità per preservare l’interesse pubblico ad una informazione imparziale, veritiera, corretta e obiettiva che possa concorrere adeguatamente alla crescita e alla formazione culturale, sociale e politica. La norma è così funzionale alla tutela del pluralismo informativo, che costituisce una missione qualificante e fondante dell’Autorità, nella misura in cui attua un contemperamento equilibrato degli interessi in gioco, garantendo la realizzazione di quei presupposti necessari per preservare un giusto finanziamento degli editori, indispensabile per un’informazione di qualità, tanto più importante in un periodo in cui il fenomeno della disinformazione e la capacità di determinati contenuti di imporsi in quanto virali e non in forza della loro comprovata autorevolezza sta assumendo dimensioni preoccupanti; − l’informazione è, infatti, anche un bene economico caratterizzato da elevati costi fissi per cui l’editore ha la duplice e ragionevole esigenza, da un lato, di recuperare i costi degli investimenti e, dall’altro, di ottenere un profitto;
− il nuovo contesto digitale ha imposto nuovi modelli di business superando quelli cui si ancorava l’editoria tradizionale e attribuendo un ruolo centrale alle piattaforme per la diffusione dei contenuti;
− in un ambiente aperto e concorrenziale, i ricavi per gli editori possono derivare dal pagamento dell’informazione (abbonamenti, accessi a pagamento ai siti) e dalla pubblicità (online). Il mondo digitale impone, tuttavia, modelli diversi da quelli tradizionali: un elevato livello di ricavi (pubblicitari) esige un’ampia circolazione di notizie. I criteri per la definizione dell’equo compenso devono pertanto essere tali da coniugare la duplice esigenza di garantire una informazione di qualità, assicurando un’adeguata remunerazione a chi produce le notizie, agevolando al contempo una efficiente evoluzione, anche tecnologica, del settore;
− la natura economica dell’informazione quale bene esperienza, unitamente alle profonde trasformazioni del sistema dell’informazione online, tanto dal lato dell’offerta quanto dal lato della domanda, come rilevato e analizzato dall’Autorità in diverse indagini conoscitive, pongono altresì un rischio di riduzione della qualità dei contenuti informativi che circolano su internet, che si riflette anche nell’emergere di fenomeni complessi di disinformazione;
− in tale ottica, i criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso devono fornire adeguati incentivi affinché siano promossi contenuti informativi di qualità. Ciò rappresenta un valore per tutte le parti in gioco: per gli editori, in quanto viene riconosciuto loro il quid pluris che distingue la pubblicazione giornalistica; per i prestatori e le imprese di media monitoring e rassegne stampa, in quanto un’informazione di qualità contribuisce alla reputazione di tali imprese e può tradursi in una maggiore attrattività dei propri servizi, anche nei riguardi degli inserzionisti pubblicitari, incrementando il valore degli spazi messi a disposizione dal prestatore, nonché di quelli gestiti dall’editore stesso; per gli utenti finali, dal momento che le pubblicazioni giornalistiche rappresentano una componente essenziale per l’esercizio di diritti fondamentali, per di più per il contributo dell’informazione alla corretta percezione dei fenomeni economici, sociali e politici da parte degli individui e alla formazione della loro visione del mondo;
− inoltre, occorre che i criteri di riferimento per l’individuazione dell’equo compenso forniscano incentivi a tutte le parti coinvolte, ciascuna nel proprio ambito di attività, affinché mantengano un elevato livello di investimenti in innovazioni tecnologiche;
− i soggetti destinatari delle disposizioni del regolamento previsto dall’articolo 43-bis della legge sul diritto d’autore costituiscono un insieme composito di imprese, in particolare per ciò che riguarda gli intermediari; in modo diverso, e in misura inferiore, per ciò che riguarda gli editori; − per quanto riguarda gli editori, ferma la definizione offerta dal d.lgs. n. 177/2021, è importante sottolineare che la platea non è limitata a quelli stabiliti nel nostro Paese. Come chiarito nella relazione illustrativa al decreto legislativo citato, la definizione di “editore” ricomprende le testate dotate dei requisiti specifici ovvero quelle registrate presso il tribunale e con un direttore responsabile nel rispetto delle leggi italiane sulla stampa (registrazione presso il tribunale e presso il registro degli operatori di comunicazione tenuto dall’Autorità). La definizione più ampia prevista al comma 3 dell’articolo 43-bis deriva, tuttavia, dalla necessità di assicurare l’applicazione della norma anche nei confronti degli editori europei che si rivolgono al pubblico italiano, le cui norme nazionali in materia di editoria potrebbero richiedere requisiti differenti;
− in ragione dell’elevato dinamismo dei modelli di business e della necessità di preservare la libertà negoziale delle parti affinché concludano accordi reciprocamente vantaggiosi, i criteri devono riflettere le differenze strutturali esistenti tra i soggetti, per evitare distorsioni indebite del mercato, nonché considerare le differenze nella distribuzione del potere contrattuale tra le parti. Essi devono altresì essere sufficientemente generali nella loro definizione e flessibili nella loro declinazione pratica, così da agevolare l’applicazione al caso specifico e da adattarsi all’evoluzione nel tempo delle dinamiche di mercato;
− al riguardo, come anticipato, nell’ambito dei prestatori di servizi della società dell’informazione, è opportuno operare una distinzione rispetto alle società di media monitoring e di rassegna stampa, in quanto caratterizzati da differenze strutturali relative a diversi aspetti: la natura dei servizi che offrono; la tipologia di domanda che servono; la diversa struttura dei ricavi e dei costi sottostanti l’attività che svolgono; le relazioni commerciali con gli editori e l’entità e la distribuzione del potere contrattuale;
− in particolare, si osserva che mentre le imprese di media monitoring e rassegne stampa forniscono, di regola a titolo oneroso, i propri servizi a clienti che sottoscrivono contratti di fornitura dei relativi servizi personalizzati, di cui beneficia una molteplicità di utenti finali appartenenti all’organizzazione del contraente, gli altri prestatori di servizi della società dell’informazione hanno un modello di business incentrato prevalentemente sui ricavi pubblicitari online e sui ricavi che derivano dalla valorizzazione di big data ottenuti attraverso la profilazione e segmentazione degli utenti finali mediante l’analisi dei dati di navigazione e fruizione degli stessi;
− per quel che concerne le imprese di media monitoring e rassegne stampa, la specificità del servizio suggerisce l’opportunità di prevedere dei criteri ad hoc che tengano conto delle dinamiche contrattuali in atto nel settore, realizzando un congruo bilanciamento tra le contrapposte esigenze di editori e IMMRS in modo tale da assicurare che la negoziazione per l’accesso a tale risorsa essenziale avvenga secondo criteri ragionevoli e corretti;
− in quest’ottica i criteri individuati dal legislatore, seppure a titolo esemplificativo, non sembrano applicabili in toto al settore delle rassegne stampa;
− pertanto, l’Autorità ha ritenuto di dover individuare almeno due distinti insiemi di criteri di riferimento per l’equo compenso che siano coerenti con tali differenze, a partire dalla declinazione dei criteri di cui all’articolo 43-bis;
− le disposizioni assunte dall’Autorità possono, inoltre, necessitare di un aggiornamento e una rivalutazione nel tempo anche in ragione dell’evoluzione delle dinamiche di mercato. Per tale motivo, l’Autorità predispone un piano di monitoraggio degli effetti del regolamento, di cui si dà conto nella relazione di AIR, che fornisce gli elementi conoscitivi utili all’Autorità anche per effettuare la verifica di impatto della regolamentazione (VIR), prevista dal legislatore all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 177;
− con riferimento alle proposte emendative e/o integrative formulate dai partecipanti alla consultazione nel merito dello schema di regolamento, in particolar modo in ordine alle definizioni, al campo di applicazione, ai criteri per la determinazione dell’equo compenso, nonché ai profili procedurali, si ricostruiscono qui di seguito le principali posizioni rappresentate, fornendo di volta in volta l’indicazione dei motivi che hanno indotto ad accogliere una soluzione piuttosto che un’altra così come confluita nel testo finale del regolamento.
Capo I
Principi generali
Articolo 1
(Definizioni)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Alcuni soggetti, condividendo la formulazione delle definizioni proposte, non hanno presentato osservazioni e hanno ritenuto non necessaria la proposizione di ulteriori definizioni.
Altri soggetti hanno presentato osservazioni in ordine all’articolo in commento.
Sulla definizione di “prestatore di servizi della società dell’informazione” o “prestatore”
Un soggetto, al fine di evitare una lettura strumentalizzata e distorsiva della norma, suggerisce di riformulare la definizione di “prestatore di servizi della società dell’informazione” o “prestatore” per renderla coerente con il considerando 54 della direttiva UE 2019/790 ed evitare una fuorviante espansione dell’applicabilità della norma a soggetti diversi da quelli (aggregatori di contenuti informativi online e imprese di media monitoring) cui si riferiscono la direttiva copyright e la disciplina nazionale di recepimento. A tal fine propone la seguente definizione di “prestatore di servizi della società dell’informazione” o “prestatore”: “la persona fisica o giuridica o l’associazione non riconosciuta che presta un servizio della società dell’informazione che consiste esclusivamente o principalmente nel consentire consente l’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico”. Un altro soggetto ritiene che potrebbe essere opportuno precisare meglio il concetto di “utilizzo online”, in considerazione del fatto che i servizi di media monitoring e rassegne stampa non danno luogo a forme di riproduzione e diffusione online. Infine, un altro soggetto rileva che il concetto di “utilizzo online” della pubblicazione di carattere giornalistico soffre forse, fin dalla disposizione primaria di cui il regolamento è attuazione, di un possibile limite “terminologico” a lasciar potenzialmente fuori dalla normazione, se l’interpretazione di “online” fosse letterale, fattispecie rilevanti meritevoli di tutela sotto il profilo del diritto d’autore, quali l’utilizzo pay-per-free offline di pubblicazioni scaricabili tramite download. Ritiene, pertanto, auspicabile una puntualizzazione, in sede definitoria – o meglio, un’apposita definizione – che faccia rientrare nell’utilizzo – che sarebbe stato meglio aggettivare con “digitale”, piuttosto che “online” – anche dette fattispecie.
Sulla definizione di “servizio della società dell’informazione”
Un soggetto propone di specificare che per “servizio della società dell’informazione” di cui all’articolo 1, comma 1, lett. b), della legge 21 giugno 1986, n. 317, come modificata dal decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 223 e s.m. i., si intenda “qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”.
Sulla definizione di “prodotto editoriale”
Quanto alla definizione di “prodotto editoriale” alcuni soggetti osservano che tale definizione non è presente né nel testo della direttiva europea né nel testo del decreto di recepimento, i quali fanno riferimento unicamente all’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico. Ritengono, pertanto, la definizione di “prodotto editoriale” fornita molto ampia, riferendosi a “prodotti” realizzati con il supporto informatico – i quali possono potenzialmente comprendere anche contenuti non giornalistici – che sono diffusi presso il pubblico “con ogni mezzo”. Poiché tale termine è richiamato all’interno di alcuni criteri elencati all’articolo 4, comma 2, quali quelli di cui alle lett. d), g) e h), una siffatta definizione rischierebbe di ricomprendere tra i costi sostenuti dall’editore anche quelli che nulla hanno a che vedere con i contenuti diffusi online, violando, dunque, lo spirito della Direttiva e del decreto di recepimento. Se tale definizione dovesse essere mantenuta, potrebbe potenzialmente avvantaggiare indebitamente gli editori di stampa con un’importante attività offline, a danno degli editori che operano solo online. Pertanto, si suggerisce di eliminare la definizione proposta di “prodotto editoriale” e di sostituirla nel regolamento con “pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online” ovvero di emendarla sostituendo le parole “con ogni mezzo” con la parola “online” ovvero con le parole “con mezzi elettronici”. Inoltre, un altro soggetto ritiene utile chiarire che la pubblicazione o, comunque, la diffusione di informazioni presso il pubblico deve essere limitata a informazioni “giornalistiche”, altrimenti si rischierebbe di ampliare oltremodo l’apparato definitorio, giungendo ad includere, potenzialmente, ogni tipo di “informazione”, comprese quelle di carattere archivistico o storico.
Sulla definizione di “pubblicazione di carattere giornalistico”
In ordine alla definizione di “pubblicazione di carattere giornalistico”, diversi sono i soggetti che hanno presentato osservazioni. Un soggetto richiede a questa Autorità un chiarimento in merito alla portata dell’esclusione delle pubblicazioni a fini scientifici o accademici tra le pubblicazioni di carattere giornalistico ai sensi dell’articolo 43-bis, comma 2, LDA, ritenendo, invece, tali pubblicazioni meritevoli di essere considerate a pieno titolo quali pubblicazioni di carattere giornalistico. Altri due soggetti rilevano che la definizione proposta, nell’inciso in cui si afferma “pubblicata su qualsiasi mezzo di comunicazione”, sembrerebbe includere nella pubblicazione di carattere giornalistico, da cui scaturisce il diritto all’equo compenso, qualunque tipologia di contenuto giornalistico, anche relativo a testate che hanno solo la versione cartacea, laddove, invece, la ratio della Direttiva è relativa solo agli utilizzi online. Ritengono, pertanto, opportuno riformulare la definizione e considerare la sola pubblicazione online. Due soggetti suggeriscono di inserire nella definizione di “pubblicazione di carattere giornalistico”, dopo le parole “un insieme composto principalmente da opere letterarie di carattere giornalistico, che può includere”, le seguenti parole “o essere costituito esclusivamente da”. Un soggetto rileva che alla definizione di “pubblicazione di carattere giornalistico” potrebbe essere utile aggiungere, per evitare possibili interpretazioni strumentali, che sono fatti salvi gli eventuali diritti d’autore dovuti per l’utilizzo di opere pittoriche e fotografiche inserite nella pubblicazione giornalistica.
Altri soggetti ritengono, invece, che la definizione di “pubblicazione di carattere giornalistico” dovrebbe riflettere i parametri e le eccezioni previsti dalla direttiva UE 2019/790 e dall’articolo 43-bis LDA. A tal fine, tre soggetti suggeriscono di prevedere espressamente che le pubblicazioni periodiche a fini scientifici o accademici non siano considerate quali pubblicazioni di carattere giornalistico. Un soggetto in particolare ritiene utile che l’Autorità fornisca un elenco delle pubblicazioni di carattere giornalistico destinate al pubblico italiano in possesso dei requisiti per poter beneficiare dei diritti connessi ai sensi della LDA. In tal senso rileva che, in assenza di tale elenco, i prestatori si troveranno di fronte a notevoli difficoltà pratiche, il che probabilmente comporterà un aumento dei ritardi e delle controversie. Non sarebbe, pertanto, opportuno affidare alle piattaforme online il compito di definire le “pubblicazioni di carattere giornalistico” o le “notizie” e, in questo senso, andrebbe specificato che “allo stesso modo, i siti web, come i blog, che forniscono informazioni nell’ambito di un’attività che non si svolge sotto l’iniziativa, la responsabilità editoriale e il controllo di un editore di notizie, non sono considerati pubblicazioni di carattere giornalistico.”
Sulla definizione di “editore di pubblicazione di carattere giornalistico”
Alcuni soggetti hanno presentato osservazioni in merito alla definizione di “editore di pubblicazione di carattere giornalistico” o “editore” rilevando quanto segue. In particolare, tre soggetti ritengono particolarmente problematico il fatto che non si faccia riferimento ad alcun elenco puntuale di soggetti che possono essere qualificati come editori, ciò rappresentando un motivo di complessità aggiuntivo che potrebbe favorire elementi di conflitto tra le parti. Una possibile soluzione potrebbe essere, pertanto, l’introduzione di una modifica al testo, prevedendo che saranno presi in considerazione solo gli operatori di comunicazione iscritti al ROC. In assenza di indicazioni, sarebbe, difatti, particolarmente complesso per i prestatori di servizi individuare colui che è un editore e che ha quindi diritto all’equo compenso. A tal fine, auspicano, quindi, che questa Autorità fornisca una lista degli “editori di pubblicazione giornalistica” o editori. Un soggetto chiede a questa Autorità di specificare che nella definizione di “editore di pubblicazione di carattere giornalistico” o “editore” vi rientrino, oltre alle testate giornalistiche registrate, le testate giornalistiche non registrate, le quali sembrano essere state escluse da tale definizione e, di conseguenza, escluse dall’applicazione della norma in esame. Tale richiesta nasce principalmente dall’esigenza dei piccoli e medi editori che pubblicano i propri contenuti esclusivamente online, ai quali ad esempio, se in possesso di determinati requisiti e ai sensi della legge 16 luglio 2012, n. 103, articolo 3-bis, non si applica, tra l’altro, l’obbligo di registrazione presso la cancelleria del tribunale competente. In particolare, si rileva che la medesima direttiva UE 2019/790 al considerando 54 sottolinea come “l’ampia disponibilità di pubblicazioni di carattere giornalistico online ha comportato la nascita di nuovi servizi online” e, nello stesso senso, le considerazioni iniziali della delibera n. 195/22/CONS sostengono che “nuove forme di distribuzione di contenuti online hanno attratto un pubblico sempre più vasto che ha beneficiato dunque di una più agevole circolazione dei contenuti medesimi”. Ad avviso del rispondente, tra questi nuovi servizi online sono ricompresi, ai sensi di quanto esposto nella direttiva UE e nella delibera, gli aggregatori di notizie o i servizi di monitoraggio dei media, i quali raccolgono anche contenuti provenienti da testate non registrate. Pertanto, non si comprende la motivazione per cui sembrerebbe, per come impostato lo schema di regolamento, che le testate giornalistiche non registrate non siano ricomprese nella definizione data di editori e, di conseguenza, le motivazioni per le quali a questi non si applicherebbe la disciplina in materia di equo compenso, in quanto non si vedrebbero del tutto raggiunti gli obiettivi di una stampa libera, pluralista, nonché di un mercato libero, che la direttiva intende perseguire.
Sulla definizione di “estratto molto breve”
Diversi soggetti hanno presentato osservazioni in merito alla definizione di “estratto molto breve”, ritenendola particolarmente qualitativa, con rischi conseguenti per la certezza giuridica, ed evidenziando la necessità di parametri ufficiali che possano guidare l’interpretazione di tale definizione, non limitati al riferimento alla necessità di consultare l’intero articolo. A tal fine un soggetto suggerisce di equiparare tale concetto al più generale diritto di citazione di cui all’articolo 1, comma 1, LDA ai sensi del quale la citazione di opere altrui senza l’autorizzazione del titolare dei diritti sull’opera non è vietata, ma rimane soggetta ad alcuni limiti, ossia deve essere effettuata per uso di critica o discussione e non deve costituire concorrenza all’utilizzazione dell’opera. Applicando tale principio al caso di specie, a titolo esemplificativo, la citazione dell’opera giornalistica dovrebbe considerarsi vietata quando non ha più un fine illustrativo ma assume un fine commerciale. Ebbene, per quegli estratti di testo che, per quanto considerabili brevi, non dovrebbero rientrare nella definizione di “estratto molto breve” in quanto assumono rilevanza economica, soprattutto per i prestatori di servizi della società dell’informazione, si dovrebbe immaginare un’applicazione dell’equo compenso in proporzione alla porzione di testo utilizzata. In tal senso il soggetto suggerisce di prevedere, tra i criteri indicati, uno specifico riferimento alla porzione di testo utilizzata rispetto al testo completo del contenuto. La definizione indicata di “estratto molto breve” non sarebbe, dunque, condivisa e né si condivide la posizione del legislatore di fare una scelta di tipo qualitativo piuttosto che quantitativo in quanto la “qualità” della porzione della pubblicazione di carattere giornalistico è oggetto di una valutazione discrezionale da parte, in primo luogo, del prestatore di servizio che decide di pubblicarlo, e, in secondo luogo, del giudice che, in caso di contestazione, sarà tenuto ad esprimersi in merito.
Un soggetto osserva che tale definizione dovrebbe essere più chiara sia specificando che l’estratto non compromette gli investimenti effettuati dagli editori di pubblicazioni di carattere giornalistico nella produzione di contenuti sia misurando gli stessi con parametri qualitativi e quantitativi. Ritiene, ad esempio, che un estratto molto breve deve poter essere anche di natura multimediale (ad es. una miniatura fotografica, accompagnata da singole parole) e definito con parametri certi. Ritiene che una definizione equilibrata potrebbe prevedere il limite superiore dei 200 caratteri al di sotto di cui i contenuti testuali sono sempre ritenuti tali. Un altro soggetto evidenzia che la scelta del legislatore di preferire una definizione qualitativa piuttosto che quantitativa di “estratti brevi” evita di cadere in assurde limitazioni ma allo stesso tempo finisce per creare una mancanza di certezza del diritto per gli operatori, in quanto la definizione proposta può evidentemente comportare valutazioni molto soggettive. Nel caso in cui un titolo sia sufficientemente descrittivo, si potrebbe affermare che leggerlo può essere sufficiente per capirne la storia, soprattutto al giorno d’oggi, in cui molti articoli di cronaca vengono scritti velocemente e con pochissime indagini di fondo. Osserva, inoltre, che dovrebbe essere chiaramente affermato che tutti i tipi di collegamenti ipertestuali, inclusi il framing e l’embedding, devono essere consentiti. Sia gli usi privati sia gli usi non commerciali devono essere esclusi dall’ambito di applicazione di questo nuovo diritto in capo agli editori. Il fatto che queste tipologie di utilizzi si realizzino su una piattaforma commerciale non dovrebbe essere rilevante. In merito, si riporta l’esempio di un club di calcio che condivide con orgoglio sulla propria pagina social uno screenshot di un articolo che menziona una delle sue squadre: una siffatta condivisione non dovrebbe comportare il pagamento di un canone. Inoltre, anche gli usi consentiti dalle eccezioni al diritto d’autore, quali gli usi di opere di pubblico dominio e gli usi consentiti da una licenza non esclusiva dovrebbero essere esplicitamente dichiarati come non rientranti nell’ambito di applicazione di questo nuovo diritto.
Un altro soggetto evidenzia come, pur nel rispetto letterale della disciplina, la modalità di rappresentazione degli estratti all’interno della pagina web potrebbe di fatto configurare l’aggiramento della disciplina stessa. La presentazione contestuale di più estratti afferenti alla medesima notizia e ognuno con contenuti differenti potrebbe infatti esaurire l’esigenza informativa del lettore dispensandolo dalla consultazione di ogni singolo articolo nella sua integrità. Apparrebbe quindi opportuno riferire la definizione di “estratto molto breve” anche al contesto in cui esso è rappresentato, suggerendo la seguente definizione: “qualsiasi porzione di pubblicazione di carattere giornalistico che non dispensi, anche per effetto della sua modalità di rappresentazione nel contesto della piattaforma, dalla necessità di consultazione dell’articolo giornalistico nella sua integrità”. Due soggetti propongono di specificare che nella definizione di “estratto molto breve” siano espressamente “escluse le singole foto o frammenti di video” (che nella sostanza potrebbero essere a corredo della pubblicazione di carattere giornalistico, ma al tempo stesso essere considerati contenuti autonomi rispetto all’articolo), onde evitare una lettura strumentale della definizione che comporti la libera utilizzazione di foto e video estratte da articoli. In tal senso un soggetto propone di definire come segue l’“estratto molto breve: qualsiasi porzione di pubblicazione di carattere giornalistico che non dispensi dalla necessità di consultazione dell’articolo giornalistico nella sua integrità, escluse singole foto o frammenti di video”. Un altro soggetto propone, invece, la seguente modifica: “estratto molto breve: qualsiasi porzione di pubblicazione di carattere giornalistico avente natura di opera letteraria che non dispensi dalla necessità di consultazione dell’articolo giornalistico nella sua integrità”.
Sulla definizione di “organismo di gestione collettiva”
Un soggetto ritiene che andrebbe precisata la definizione di “organismo di gestione collettiva” al fine di ricomprendervi anche le associazioni di categoria maggiormente rappresentative del settore per poter avviare, nel rispetto della libertà di iniziativa economica delle parti, forme di negoziazione collettiva per la determinazione dell’equo compenso. Ritiene infatti che il ricorso alla negoziazione collettiva attraverso enti di gestione collettiva dei diritti per la rassegna stampa possa semplificare l’individuazione dell’equo compenso, a beneficio sia degli editori sia dei rassegnisti. Il ricorso a forme di negoziazione collettiva consentirebbe di ridurre i costi di transazione, efficientare il processo di acquisizione lecita dei contenuti e di stabilire degli standard tecnici e contrattuali, nonché parametri di valorizzazione economica condivisi tra editori e imprese di media monitoring e rassegne stampa. A tal fine suggerisce di definire come segue l’organismo di gestione collettiva: “organismo di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 15 marzo 2017, n. 35 o associazione di categoria significativamente rappresentativa degli editori, dei prestatori di servizi della società dell’informazione e delle imprese di media monitoring e rassegna stampa”.
Sulle definizioni di “contraente” e “utente finale”
Alcuni soggetti hanno presentato osservazioni in merito alle definizioni di “contraente” e “utente finale”. Un soggetto rileva come la definizione di “utente finale”, presupposta dalla definizione di “contraente”, non collimi con l’omonima nozione corrente nel settore del media monitoring e delle rassegne stampa e apparentemente recepita nella parte motiva della delibera alla pag. 19, seconda lineetta, la quale identifica l’“utente finale” non già nel beneficiario finale di un servizio sottoscritto da un contraente, ma semplicemente nella singola persona fisica abilitata ad accedere a un servizio all’interno dell’organizzazione del relativo beneficiario. La differenza tra queste due figure di “utente finale” non avrebbe valore meramente nominale e postulerebbe di essere chiarita e considerata anche per una corretta valutazione del criterio di cui all’articolo 6, comma 1, lett. b), dello schema di regolamento. In particolare, nel caso in cui il contraente sia un ente collettivo, l’abilitazione all’accesso al servizio di tutti i titolari dei molteplici organi o uffici non potrebbe configurarsi come “a beneficio” individuale degli stessi ma, bensì, “a beneficio esclusivo dell’ente”, in quanto funzionalmente necessaria allo svolgimento “informato” dell’attività dello stesso. In ragione di ciò, coloro che usufruiscono del servizio non ne usufruiscono personalmente, ma prestano semplicemente la propria mediazione fisica affinché possa usufruirne l’ente. Differente è, invece, il caso, non frequente ma nemmeno straordinario nella pratica, in cui un contraente sottoscriva un contratto che contempli la fornitura di servizi di media monitoring o di rassegna stampa a favore, o anche a favore, di un altro o di più altri soggetti diversi: in tal caso, si avrebbe effettivamente l’ipotesi contemplata dalle definizioni m) ed n), ossia quella di servizi sottoscritti da un contraente “a beneficio” di uno o più soggetti diversi, ciascuno dei quali effettivamente “usufruisce” del servizio stipulato a suo favore. In conclusione, al fine di evitare confusioni, si propone di modificare la definizione di “contraente” come segue: “persona fisica o giuridica o associazione non riconosciuta che per qualsiasi finalità sottoscrive un contratto, anche a beneficio di una pluralità di utenti finali di altro soggetto o di una pluralità di altri soggetti, per la fornitura di un servizio di media monitoring o di rassegna stampa”. Vieppiù, si propone di formulare la definizione di “utente finale”, o se del caso articolarla in due definizioni, in modo che risultino distinte la figura dell’“utente finale” che sia effettivamente beneficiario finale di un servizio e la figura invece dell’“utente finale” che non “usufruisce” di un servizio, ma all’interno dell’organizzazione del beneficiario presta unicamente la propria mediazione fisica affinché ne possa usufruire il beneficiario stesso.
Due soggetti propongono di eliminare dalla definizione di “utente finale” il riferimento a “persona giuridica o associazione non riconosciuta”. Nel merito viene osservato che la platea di soggetti che usufruiscono della rassegna stampa è infinitamente più ampia di quella che si identificherebbe con coloro che, tecnicamente, acquistano il servizio. A ciascun contraente corrispondono decine di migliaia di utenti finali, siano essi dipendenti, iscritti o funzionari, che hanno accesso alle pubblicazioni giornalistiche attraverso la rassegna stampa, soddisfacendo così potenzialmente la propria necessità di informazione senza dover acquistare il quotidiano. Da ciò deriva che, mentre il contraente può ben essere persona fisica o giuridica, lo stesso non può valere per l’utente finale, la cui nozione è annoverata tra i criteri per la determinazione dell’equo compenso proprio quale indicatore della portata e dell’ampiezza dell’utilizzo delle pubblicazioni giornalistiche rilevante ai fini dell’articolo 43-bis LDA fatto dai rassegnatori. L’elemento da prendere in considerazione dovrebbe essere, pertanto, legato al numero totale degli individui che hanno accesso ai contenuti, risultando fuorviante e potenzialmente riduttivo il riferimento alle persone giuridiche, che andrebbe eliminato. La definizione dovrebbe abbracciare la totalità degli individui che, all’interno dell’organizzazione del contraente (cliente del rassegnatore), hanno la possibilità di accedere alle pubblicazioni giornalistiche mediante il servizio di rassegna stampa, essendo sufficiente la disponibilità dei contenuti in discorso. Ciò premesso, un soggetto suggerisce la seguente definizione di “utente finale”: “persona fisica o giuridica o associazione non riconosciuta che usufruisce può usufruire di un servizio della società dell’informazione, ivi incluso un servizio di media monitoring o di rassegna stampa sottoscritto da un contraente”.
Sull’inserimento di nuove definizioni
Alcuni soggetti propongono di inserire ulteriori definizioni. Un soggetto propone di inserire, dopo la lett. d), una nuova lett. e), recante la seguente definizione di “prestatore di servizi di condivisione di contenuti online: un prestatore di servizi della società dell’informazione il cui scopo principale o uno dei principali scopi è quello di memorizzare e dare accesso al pubblico a grandi quantità di opere protette dal diritto d’autore o altri materiali protetti caricati dai suoi utenti, che il servizio organizza e promuove normalmente a scopo di lucro”.
Due soggetti propongono di inserire le seguenti due nuove definizioni: “articolo”, “rassegna stampa”. Al riguardo suggeriscono le seguenti definizioni: “articolo: qualsiasi scritto che su una pubblicazione di carattere giornalistico tratta di un argomento (articolo di cronaca, di attualità; un articolo di economia ecc.)”; “rassegna stampa: la selezione, indicizzazione e raccolta degli articoli usciti sulle pubblicazioni di carattere giornalistico su un particolare argomento durante un determinato periodo di tempo, in genere su base quotidiana”. Tre soggetti rilevano l’opportunità di prevedere una definizione di “singolo utilizzatore” poiché il termine, presente nell’articolo 43-bis, LDA, è richiamato anche nello schema di regolamento all’articolo 2, comma 3, ove i “singoli utilizzatori” sono esclusi dall’ambito di applicazione del regolamento. Al riguardo auspicano un chiarimento dell’Autorità poiché, rilevano, anche un ente o un’azienda non hanno alcuna finalità commerciale quando distribuiscono – al proprio interno – qualche articolo di giornale con le citazioni della propria organizzazione. Ritengono, pertanto, equo che, almeno in simili casi, anche enti e aziende vengano considerati “singoli utilizzatori”. A loro avviso, tale considerazione varrebbe, ad esempio, anche per i casi in cui, in occasione del lancio di un nuovo prodotto, un’azienda voglia condividere al proprio interno (o anche con la rete commerciale) una selezione degli articoli pubblicati dalla stampa in quella occasione.
Un altro soggetto, in considerazione dei numerosi riferimenti ai “social media” all’interno della delibera, auspica l’inserimento di una definizione ad hoc sul modello che segue: “social network o social media: un servizio informatico online che permette la realizzazione di reti sociali virtuali, attraverso siti Internet e tecnologie che abilitano gli utenti all’interazione e alla condivisione di contenuti testuali e/o immagini e/o video e/o audio”.
Sulla definizione di “impresa di media monitoring e rassegne stampa”
Quanto alla condivisione della definizione di “impresa di media monitoring e rassegne stampa” alcuni soggetti hanno condiviso la definizione e non hanno presentato osservazioni.
Un soggetto condivide la definizione proposta che descrive in maniera esaustiva l’attività di impresa di media monitoring e rassegna stampa come tipicamente svolta nel mercato italiano, con la precisazione che la locuzione “online” ricomprende, evidentemente, le modalità di riproduzione e comunicazione “a distanza” di pubblicazioni di carattere giornalistico indipendentemente dal loro formato (cartaceo/digitale e online).
Un altro soggetto, pur condividendo l’ampiezza della definizione, richiama l’attenzione dell’Autorità sulle attività di media monitoring che utilizzano a fini commerciali contenuti giornalistici riferiti a persone fisiche o giuridiche (informazioni commerciali o “adverse media monitoring”). Tali attività, pur non configurandosi come rassegne stampa quotidiane, comportano la riproduzione di articoli giornalistici all’interno del set di informazioni di carattere economico e legale riferite a persone fisiche o giuridiche. I servizi di adverse media sono forniti a clientela business o istituzionale, attraverso piattaforme online, da parte di operatori specializzati o comunque attivi nel settore delle informazioni commerciali. Rileva, pertanto, che non vi è dubbio che tali attività rientrino nella definizione di media monitoring e quindi nel campo di applicazione dell’articolo 43-bis LDA e del regolamento. A tal fine, invita l’Autorità a svolgere un adeguato approfondimento al fine di individuare criteri specifici di determinazione dell’equo compenso.
Un altro soggetto condivide la scelta dell’Autorità di distinguere la posizione delle imprese di media monitoring e rassegne stampa (“rassegnatori”) da quella degli altri prestatori di servizi della società dell’informazione (“prestatori”). Segnala, tuttavia, che il secondo “CONSIDERATO” a pag. 11 dello schema di regolamento non risulta rispondente al dato fattuale nella parte in cui riporta che i servizi forniti dai rassegnatori “non danno luogo a forme di riproduzione e diffusione online”. Rileva che, in realtà, i servizi di media monitoring e rassegna stampa danno luogo tanto ad atti di riproduzione – le pubblicazioni giornalistiche sono infatti archiviate sui server dei rassegnatori, oltre che poi, anche solo temporaneamente, sui dispositivi degli utenti finali, i quali peraltro possono salvarli ed archiviarli permanentemente in locale – quanto ad atti di comunicazione al pubblico, anche a mezzo Internet (diffusione online) – le stesse pubblicazioni sono infatti messe a disposizione degli utenti finali della rassegna stampa attraverso piattaforme web, e possono ulteriormente essere condivise (anche con terzi, estranei all’organizzazione del contraente), ad esempio mediante collegamenti ipertestuali alle pagine Internet. Del resto, quanto precede è stato già riconosciuto sotto il profilo fattuale anche dall’Autorità con delibera n. 169/20/CONS. Sotto il profilo giuridico, tali atti rientrano tra le prerogative esclusive degli editori – titolari dei diritti di utilizzazione economica su riviste e giornali, e dunque unici soggetti preposti ad autorizzarne lo sfruttamento, anche online da parte dei Rassegnatori – in ragione del combinato disposto di cui agli articoli 13, 16 e 38 LDA, come pure affermato dall’Autorità con la summenzionata delibera. Pertanto, tale soggetto condivide la definizione di “impresa di media monitoring e rassegna stampa”, sull’assunto che l’elencazione delle attività in cui può consistere il servizio da esse erogato sia non esaustivo. Frequentemente, infatti, i servizi dei rassegnatori si estrinsecano nelle condotte enumerate all’articolo 1, lett. f) dello schema, ma non solo: come sopra osservato, queste includono, di regola, atti di riproduzione e comunicazione al pubblico. L’assenza di una menzione specifica di tali atti nel testo della definizione proposta non pare tuttavia problematica (i) sulla scorta della natura meramente esemplificativa dell’elenco e (ii) in ragione del fatto che ampliare l’elenco di attività richieste determinerebbe il rischio che alcune società di media monitoring sfuggano alla definizione.
Due soggetti osservano che la ratio dell’articolo 43-bis è quella di fornire agli editori maggiori tutele a fronte dell’utilizzo online (da parte di terzi) delle loro pubblicazioni. Da tempo sono disponibili servizi online che consentono ad una azienda, ente o associazione di realizzare “in casa” una propria rassegna stampa. Pertanto, qualora per le rassegne “autoprodotte” (magari per le migliaia di dipendenti di una grande Banca) non si dovesse riconoscere un equo compenso agli editori, l’articolo 43-bis non produrrebbe le tutele auspicate, introdotte non solo a favore delle grandi testate, ma anche di tanti “editori di nicchia”. Ciò premesso, in merito alla definizione di cui alla lett. f), poiché l’attività di media monitoring (e più specificamente quella di rassegna stampa) non esclude affatto le testate che continuano solo ad avere l’edizione “su carta”, essendo anch’esse un media, i due soggetti propongono la seguente modifica della definizione di “impresa di media monitoring e rassegne stampa”, suggerendo anche l’inserimento del relativo acronimo “IMMRS”: “impresa di media monitoring e rassegne stampa” (acronimo: IMMRS): qualsiasi tipo di impresa – o parte di essa – che eroga o mette a disposizione gli strumenti per avvalersi di un servizio della società dell’informazione consistente, tra l’altro, ma non esclusivamente, nella selezione, indicizzazione e raccolta degli articoli apparsi sulle pubblicazioni di carattere giornalistico – on line o su carta – su un particolare argomento durante un determinato periodo di tempo, in genere su base quotidiana organizzazione, collazione, estrazione, trasmissione, messa a disposizione di contenuti editoriali, normalmente dietro retribuzione, a distanza, anche mediante attrezzature informatiche di trattamento e memorizzazione di dati. ed a richiesta individuale di un destinatario di servizi anche mediante copia cartacea successivamente digitalizzata”.
Un altro soggetto non condivide la definizione di “impresa di media monitoring e rassegne stampa” poiché con la attuale definizione qualsiasi impresa, ente o associazione potrebbe agire come impresa di media monitoring e rassegne stampa senza essere qualificata come tale nel momento in cui le attività principali fossero altre. Suggerisce, pertanto, la seguente definizione che, a suo avviso, sembra più adatta a tutelare gli editori da tutte le forme di monitoraggio dei media: “impresa di media monitoring e rassegne stampa: qualsiasi impresa (o parte di essa) che eroga o mette a disposizione gli strumenti tecnici per realizzare o avvalersi di una rassegna stampa, intesa come un servizio della società dell’informazione consistente , tra l’altro, ma non esclusivamente, nella selezione, indicizzazione, organizzazione, collazione, estrazione, trasmissione, messa a disposizione di contenuti editoriali, normalmente dietro retribuzione, a distanza anche mediante attrezzature informatiche di trattamento e memorizzazione di dati ed a richiesta individuale di un destinatario di sevizi anche mediante copia cartacea successivamente digitalizzata”.
Un soggetto ritiene che la definizione di “impresa di media monitoring e rassegne stampa” sia formulata in termini troppo generici, al punto da poter ricomprendere in linea di principio anche servizi che danno luogo a forme di riproduzione e diffusione online non fornite a beneficio di “contraenti” e dei loro “utenti finali” (come definiti nel regolamento). La delibera chiarisce che “le imprese di media monitoring e rassegne stampa forniscono, di regola a titolo oneroso, i propri servizi a clienti che sottoscrivono contratti di fornitura dei relativi servizi personalizzati, di cui beneficia una molteplicità di utenti finali appartenenti all’organizzazione del contraente e che non danno luogo a forme di riproduzione e diffusione online”. Pertanto, la definizione di “impresa di media monitoring e rassegne stampa” dovrebbe essere modificata di conseguenza come segue: “impresa di media monitoring e rassegne stampa: un’impresa che eroga un servizio della società dell’informazione consistente, tra l’altro, ma non esclusivamente, nella selezione, indicizzazione, organizzazione, collazione, estrazione, trasmissione, messa a disposizione di contenuti editoriali, normalmente dietro retribuzione, a distanza, anche mediante attrezzature informatiche di trattamento e memorizzazione di dati ed a richiesta individuale di un destinatario di servizi anche mediante copia cartacea successivamente digitalizzata, di cui beneficiano gli utenti finali appartenenti all’organizzazione del contraente, e che non danno luogo a forme di riproduzione e diffusione online”.
Un altro soggetto ritiene che la definizione di “impresa di media monitoring e rassegne stampa” dovrebbe essere incentrata più sulle caratteristiche del servizio che su quelle dell’impresa che lo fornisce. Ciò apparrebbe più in linea con il modello di business considerato e idoneo ad includere le attività più innovative, meno riconducibili alle più tradizionali “rassegne stampa”. Suggerisce, altresì, di precisare che i contenuti oggetto di rassegna devono avere “carattere giornalistico”, ovvero riguardare informazioni su fatti di attualità, con esclusione di altre tipologie di contenuti, quali, in particolare, contenuti di intrattenimento sotto qualsiasi forma. A tal fine, suggerisce, pertanto, di modificarne la definizione come segue: “impresa di media monitoring e rassegne stampa”: un’impresa che eroga un servizio della società dell’informazione consistente, tra l’altro, ma non esclusivamente, in una o più delle seguenti attività: selezione, indicizzazione, organizzazione, collazione, estrazione, trasmissione, messa a disposizione di contenuti editoriali di carattere giornalistico, normalmente dietro retribuzione, a distanza, anche mediante attrezzature informatiche di trattamento e memorizzazione di dati ed a richiesta individuale di un destinatario di servizi anche mediante copia cartacea successivamente digitalizzata”.
Infine, un altro soggetto, pur condividendo la definizione proposta, suggerisce tuttavia, di spostare, come segue, la locuzione “a richiesta individuale di un destinatario di servizi” poiché quanto caratterizza precipuamente i servizi di media monitoring e rassegna stampa è proprio la fornitura a richiesta di un destinatario determinato: “impresa di media monitoring e rassegne stampa: un’impresa che eroga un servizio della società dell’informazione a richiesta individuale di un destinatario di servizi, consistente, tra l’altro, ma non esclusivamente, nella selezione, indicizzazione, organizzazione, collazione, estrazione, trasmissione, messa a disposizione di contenuti editoriali, normalmente dietro retribuzione, a distanza, anche mediante attrezzature informatiche di trattamento e memorizzazione di dati ed a richiesta individuale di un destinatario di servizi anche mediante copia cartacea successivamente digitalizzata”.
Osservazioni dell’Autorità
Sulla definizione di “prestatore di servizi della società dell’informazione” o “prestatore”
Si ritiene di poter confermare la definizione sottoposta a consultazione di “prestatore di servizi della società dell’informazione” o “prestatore”, ritenendola in linea con quanto previsto dal considerando 54 della direttiva (UE) 2019/790, nella parte in cui riconosce che “[l’]ampia disponibilità di pubblicazioni di carattere giornalistico online ha comportato la nascita di nuovi servizi online, come gli aggregatori di notizie o i servizi di monitoraggio dei media, per i quali il riutilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico costituisce una parte importante dei loro modelli di business e una fonte di introiti. Gli editori di giornali incontrano una serie di problemi nel concedere licenze di utilizzo online delle loro pubblicazioni ai prestatori di questo tipo di servizi, rendendo ancora più difficile per loro recuperare gli investimenti effettuati […]” e con la disciplina nazionale di recepimento. Inoltre, si rileva che per “utilizzo online” di pubblicazioni di carattere giornalistico si intendono gli utilizzi effettuati attraverso reti di comunicazione elettronica.
Sulla definizione di “servizio della società dell’informazione”
Con riguardo alla proposta di definire esplicitamente che per “servizio della società dell’informazione” si intenda “qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”, l’Autorità ritiene che sia preferibile confermare l’attuale rinvio mobile alla normativa di rango primario.
Sulla definizione di “prodotto editoriale”
In merito alla richiesta avanzata da alcuni soggetti di eliminare la definizione di “prodotto editoriale” in quanto non presente né nel testo della direttiva (UE) 2019/790 né nel testo del decreto di recepimento, i quali fanno riferimento unicamente all’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico, l’Autorità ritiene di poter accogliere la richiesta avanzata.
Sulla definizione di “pubblicazione di carattere giornalistico”
Per ciò che concerne le osservazioni presentate in ordine alla definizione di “pubblicazione di carattere giornalistico” l’Autorità evidenzia, in primo luogo, che il considerando 56 della direttiva (UE) 2019/790 afferma che “[…] [l]e pubblicazioni periodiche a fini scientifici o accademici, quali le riviste scientifiche, non dovrebbero rientrare nella tutela garantita alle pubblicazioni di carattere giornalistico ai sensi della presente direttiva. Questa tutela non dovrebbe applicarsi nemmeno ai siti web, come i blog, che forniscono informazioni nell’ambito di un’attività che non viene svolta sull’iniziativa, la responsabilità editoriale e il controllo di un prestatore di servizi, come ad esempio un editore di testate giornalistiche”. L’articolo 2 della citata Direttiva stabilisce, pertanto, che “[l]e pubblicazioni periodiche a fini scientifici o accademici, quali le riviste scientifiche, non sono pubblicazioni di carattere giornalistico ai sensi della presente direttiva”, così come, negli stessi termini, ha stabilito l’articolo 43-bis, comma 2, ultimo periodo, della LDA il quale prevede che, ai fini della presente disciplina, “le pubblicazioni periodiche a fini scientifici o accademici non sono considerate quali pubblicazioni di carattere giornalistico”. Quanto, invece, all’osservazione per cui la definizione di “pubblicazione di carattere giornalistico” proposta, nell’inciso in cui si afferma “pubblicata su qualsiasi mezzo di comunicazione”, sembrerebbe includere qualunque tipologia di contenuto giornalistico, anche relativo a testate che hanno solo la versione cartacea, l’Autorità rileva che, conformemente alla ratio della Direttiva e della disciplina nazionale di recepimento, il diritto all’equo compenso è riconosciuto solo per gli utilizzi online delle pubblicazioni in argomento. Ciò premesso, l’Autorità ritiene di poter accogliere parzialmente le osservazioni presentate in ordine alla definizione di “pubblicazione di carattere giornalistico” e di poter riflettere, in tale definizione, i parametri e le eccezioni previsti dalla direttiva (UE) 2019/790 e dall’articolo 43-bis LDA, prevedendo espressamente che le pubblicazioni periodiche a fini scientifici o accademici non siano considerate quali pubblicazioni di carattere giornalistico. Tenuto conto della normativa nazionale ed europea, seppur non specificato nella definizione in commento, non sono considerati pubblicazioni di carattere giornalistico i siti web o i blog che forniscono informazioni nell’ambito di un’attività che non si svolge sotto l’iniziativa, la responsabilità editoriale e il controllo di un editore di notizie.
Quanto alle osservazioni proposte in ordine alla necessità di prevedere un elenco puntuale dei soggetti che possono essere qualificati come editori, suggerendo di introdurre una modifica al testo allo scopo di prendere in considerazione, ai fini della presente disciplina, solo gli operatori di comunicazione iscritti al registro degli operatori di comunicazione (“ROC”), l’Autorità rileva quanto segue. La platea degli editori non è limitata a quelli stabiliti nel nostro Paese. Come chiarito nella relazione illustrativa al decreto legislativo citato, la definizione di “editore” ricomprende le testate dotate dei requisiti specifici ovvero quelle registrate presso il tribunale e con un direttore responsabile nel rispetto delle leggi italiane sulla stampa (registrazione presso il tribunale e presso il registro degli operatori di comunicazione tenuto dall’Autorità). La definizione più ampia prevista all’articolo 43-bis, comma 3, LDA deriva dalla necessità di assicurare l’applicazione della norma anche nei confronti degli editori stabiliti in un altro Stato membro dell’UE che si rivolgono al pubblico italiano le cui norme nazionali in materia di editoria potrebbero richiedere requisiti differenti.
Sulla definizione di “editore di pubblicazione di carattere giornalistico” o “editore”
Non si ritiene di poter accogliere la proposta di ricomprendere nella definizione di “editore di pubblicazione di carattere giornalistico” o “editore”, oltre alle testate giornalistiche registrate, anche le testate giornalistiche non registrate in ragione dell’esclusione dall’applicazione della presente disciplina di coloro che forniscono informazioni nell’ambito di un’attività che non si svolge sotto l’iniziativa, la responsabilità editoriale e il controllo di un editore di notizie.
Sulla definizione di “estratto molto breve”
Con riferimento a quanto sostenuto in merito alla definizione di “estratto molto breve”, questa Autorità ritiene di dover aderire alla scelta del legislatore nazionale di adottare un criterio qualitativo, fondato non già su una quantificazione presuntiva e preventiva quanto su caratteristiche intrinseche dell’informazione fornita in estratto. Questa Autorità, sempre in conformità a quanto stabilito dal legislatore, ritiene di non poter accogliere la proposta di prevedere espressamente nella definizione di “estratto molto breve” l’esclusione di singole foto o frammenti di video.
Sulla definizione di “organismo di gestione collettiva”
In merito alla richiesta avanzata da un soggetto di precisare la definizione di “organismo di gestione collettiva” al fine di ricomprendervi anche le associazioni di categoria maggiormente rappresentative del settore, si ritiene di non accoglierla e di confermare l’attuale rinvio mobile all’ambito soggettivo delineato dalla normativa primaria.
Sulle definizioni di “contraente” e “utente finale”
Per quanto concerne le osservazioni di questa Autorità riguardo alle proposte di modifica delle definizioni di “contraente” e “utente finale” si rimanda a quanto diffusamente argomentato nell’ambito dell’articolo 6. Questa Autorità ritiene di poter accogliere la proposta di due soggetti di eliminare dalla definizione di “utente finale” il riferimento a “persona giuridica o associazione non riconosciuta”.
Sull’inserimento di nuove definizioni
Quanto alla proposta di inserire una definizione ad hoc di “prestatore di servizi di condivisione di contenuti online” si ritiene di non poterla accogliere in quanto non pertinente con l’ambito di applicazione del presente regolamento.
Alcuni soggetti hanno, inoltre, proposto di inserire le seguenti nuove definizioni: “articolo”, “rassegna stampa” e “singolo utilizzatore”. Le prime due nuove definizioni proposte si ritengono non necessarie in quanto già la definizione di “pubblicazione di carattere giornalistico” e di “impresa di media monitoring e rassegne stampa” risultano idonee a soddisfare l’ambito di applicazione della disciplina di cui al presente regolamento. Quanto, invece, alla proposta di inserire la definizione di “singolo utilizzatore”, al fine di escludere dall’ambito di applicazione del regolamento anche enti e aziende quando distribuiscono al proprio interno articoli di giornale con le citazioni della propria organizzazione si ritiene che la nozione di “utilizzatore finale”, come modificata, sia satisfattiva. Inoltre, ai fini dell’applicazione della presente disciplina, non si ritiene necessario inserire una definizione ad hoc di social network o social media perché si tratta di soggetti rientranti nella definizione di prestatori di servizi della società dell’informazione.
Sulla definizione di “impresa di media monitoring e rassegne stampa”
Quanto alle osservazioni pervenute in ordine alla definizione di “impresa di media monitoring e rassegne stampa” si evidenzia quanto segue. Si ritiene di dover accogliere la proposta di inserire l’acronimo IMMRS in tale definizione. La locuzione “online” già ricomprende le modalità di riproduzione e comunicazione “a distanza” di pubblicazioni di carattere giornalistico indipendentemente dal loro formato (cartaceo/digitale e online). Le informazioni commerciali o “adverse media monitoring” sono comprese, e pertanto già rientrano, nella definizione delle attività di media monitoring. Riguardo alla segnalazione che il secondo “CONSIDERATO” a pag. 11 dello schema di regolamento risulterebbe non rispondente al dato fattuale nella parte in cui riporta che i servizi forniti dai rassegnatori “non danno luogo a forme di riproduzione e diffusione online” si evidenzia che con tale locuzione si intendeva far riferimento alla libera accessibilità di tali servizi sulla rete internet. Tuttavia, l’Autorità ritiene di poter accogliere il rilievo segnalato riformulando la relativa locuzione.
Con riferimento alla proposta di modifica che intende includere in tale definizione parti di aziende, si ritiene di non poterla accogliere in quanto le attività di media monitoring e rassegne stampa effettuate da parti di azienda rilevano ai soli fini della determinazione del fatturato rilevante ai sensi dell’articolo 6 del presente regolamento.
Quanto alla proposta di includere i servizi che consentono ad una azienda, ente o associazione di realizzare “in casa” una propria rassegna stampa si sottolinea che l’ambito soggettivo di applicazione dell’articolo 43-bis, che costituisce la norma primaria di riferimento ai fini dell’adozione del presente regolamento, comprende esclusivamente le imprese di media monitoring e rassegne stampa. Fermo restando che l’elenco delle attività che caratterizzano le IMMRS di cui alla definizione in commento è un elenco esemplificativo e non esaustivo, si sottolinea che qualsiasi tipo di riproduzione e comunicazione al pubblico non autorizzata dal titolare dei diritti costituisce una violazione dei diritti, come tale perseguibile in forza di quanto previsto dalla legge sul diritto d’autore. Si ritiene, pertanto, di non poter accogliere tale proposta di modifica.
Con riferimento all’osservazione secondo cui tale definizione sarebbe troppo generica, rischiando di includere anche servizi che danno luogo a forme di riproduzione e diffusione online non fornite a beneficio di contraenti e utenti finali, si ritiene di poter sostituire nella definizione il “destinatario di servizi” con il “contraente”, ai fini di una maggiore chiarezza. Così come si ritiene di poter accettare la proposta di modifica riguardante i contenuti oggetto di attività di media monitoring e rassegne stampa, sostituendo la locuzione “contenuti editoriali” con “pubblicazioni di carattere giornalistico”, in modo da non comprendere contenuti prettamente di intrattenimento.
Articolo 2
(Finalità e ambito di applicazione)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Diversi soggetti ritengono conforme l’ambito di applicazione del Regolamento a quello dell’articolo 43-bis LDA.
Due soggetti lo ritengono conforme a condizione che vengano accolte le proposte di modifica e integrazione rispetto alle Definizioni (la precisazione della definizione di “impresa di media monitoring e rassegne stampa” e l’aggiunta della definizione di “singolo utilizzatore”). Anche un altro soggetto considera opportuna una maggiore specifica della definizione di “singolo utilizzatore”.
Un soggetto ritiene, in linea generale, che l’ambito di applicazione sia pienamente conforme a quello dell’articolo 43-bis LDA. Tuttavia, evidenzia che tale conformità non riguarda il riferimento alle pubblicazioni di carattere giornalistico destinate al pubblico italiano e ai criteri per la qualificazione di una pubblicazione come tale, di cui all’articolo 2, comma 1. Infatti, ai sensi dell’articolo 43-bis LDA e dell’articolo 15 della direttiva UE 2019/790, la destinazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico al pubblico dello Stato membro di recepimento della Direttiva non assumerebbe alcun rilievo ai fini del riconoscimento dei diritti degli editori. Pertanto, suggerisce di eliminare ogni riferimento alla destinazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico al pubblico italiano, ovvero di qualificare come destinate al pubblico italiano anche le pubblicazioni di carattere giornalistico che sono di interesse dei contraenti o comunque sono utilizzate dai prestatori di servizi della società dell’informazione a beneficio di utenti finali sul territorio italiano. Un soggetto presenta perplessità circa l’indeterminatezza dei criteri che l’Autorità intenderebbe seguire per qualificare la pubblicazione come destinata ad un pubblico italiano. In primo luogo, non sarebbe chiaro se i criteri indicati a titolo esemplificativo debbano considerarsi cumulativi o alternativi, oppure se l’assenza di ricavi attuali in Italia sia essa stessa fattore escludente. In secondo luogo, ritiene che la definizione dei criteri debba essere tassativa, riducendo la discrezionalità applicativa da parte dell’Autorità.
Anche un altro soggetto condivide l’ambito di applicazione tratteggiato nello Schema. Tuttavia, ad avviso del rispondente, occorre chiarire nell’articolato che il diritto sancito dall’articolo 43-bis LDA non pregiudica l’assetto normativo anteriore alla novella del d.lgs. 177/2021, ma amplia la sfera dei diritti soggettivi degli editori. Ed infatti, il nuovo diritto connesso governa ipotesi residuali, come l’utilizzo online da parte dei Rassegnatori di articoli di giornale che non siano oggetto di clausola di riproduzione riservata, e dunque in precedenza liberamente riproducibili: ora, anche in tal caso, all’editore spetta un diritto connesso per l’utilizzo online della pubblicazione di carattere giornalistico da parte di Prestatori e Rassegnatori. Alcuni soggetti suggeriscono di modificare il comma 2 del presente articolo ritenendo che debba essere fatta espressa menzione dei diritti di proprietà intellettuale.
Un soggetto, partendo dalla premessa che nei rapporti tra editori e piattaforme si riveli fondamentale la tutela della libertà contrattuale delle parti, ritiene che il ruolo dell’Autorità e l’ambito di applicazione del Regolamento debbano essere limitati ai casi in cui le parti abbiano già concordato di voler negoziare un accordo per un compenso monetario, ma in cui, nonostante i reciproci sforzi in buona fede, le parti non siano riuscite a trovare un accordo sull’ammontare di tale compenso. Lo Schema di regolamento e l’intervento dell’Autorità non dovrebbero quindi interferire, sovrastare o sostituire le intenzioni delle parti. Rispetto all’ambito di applicazione territoriale, un soggetto concorda con la limitazione alle pubblicazioni di carattere giornalistico destinate al pubblico italiano, che permette di evitare il rischio di sovrapposizione delle legislazioni nazionali degli Stati membri e il doppio conteggio dei pagamenti dovuti per l’utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico accessibili in più Stati membri. Sottolinea come la sola accessibilità di un dominio di un giornale dal territorio italiano non dovrebbe essere sufficiente a far scattare l’applicazione dell’articolo 43-bis LDA. Con riferimento al terzo comma dell’articolo in commento, un soggetto sottolinea che esso dovrebbe riflettere quanto confermato nella delibera e nella relazione illustrativa al decreto legislativo n. 177/2021 in merito ai contenuti pubblicati dagli editori. A suo parere, tali contenuti non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 43-bis LDA e dello Schema di regolamento. Anche un altro soggetto osserva, con riferimento agli ambiti esclusi dal Regolamento, come il terzo comma dovrebbe riflettere maggiormente l’ambito di applicazione e la formulazione dell’articolo 43-bis LDA, includendo esplicitamente nel dettato normativo tra gli ambiti esclusi, oltre agli utilizzi privati o non commerciali, le eccezioni e limitazioni previste dal diritto UE.
Rispetto al quarto comma, un soggetto vorrebbe avere un chiarimento sulla data ivi contenuta dal momento che la Legge di recepimento della Direttiva è stata approvata solo il 12 dicembre 2021 e lo Schema di regolamento non è ancora entrato in vigore. La società ritiene che sarebbe più ragionevole che lo Schema di regolamento non si applicasse alle pubblicazioni di carattere giornalistico edite per la prima volta anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso Schema di regolamento.
Sempre in proposito, un altro soggetto chiede l’eliminazione o la modifica dello stesso. Ciò trova sua giustificazione sia in quanto stabilito dal Decreto di recepimento della Direttiva, sia per ragioni logico-giuridiche: invero, i diritti previsti dall’articolo 43-bis, comma 14, LDA “si estinguono due anni dopo la pubblicazione dell’opera di carattere giornalistico”, pertanto, fare riferimento al 6 giugno 2019 sarebbe addirittura inutile e potenzialmente fuorviante, poiché, al momento della pubblicazione del Regolamento, le pubblicazioni di carattere giornalistico datate 6 giugno 2019 non sarebbero rilevanti.
Un soggetto non ritiene che l’ambito di applicazione sia conforme, anzi afferma che a partire dal decreto legislativo di recepimento, e di conseguenza anche con lo Schema di Regolamento in questione, si vada oltre il perimetro tracciato dalla Direttiva Copyright, limitando quella flessibilità e libertà di scelta degli editori che è fondamentale per uno sviluppo proficuo dell’intero ecosistema editoriale digitale. Ciò nonostante, apprezza il fatto che l’Autorità abbia esplicitato nella delibera il riconoscimento della necessità di preservare la libertà negoziale delle parti affinché concludano accordi reciprocamente vantaggiosi, anche in ragione dell’elevato dinamismo dei modelli di business e delle differenze strutturali esistenti tra i soggetti coinvolti.
Un altro soggetto ritiene che il Regolamento dovrebbe applicarsi alle opere “che sono in grado di raggiungere” e non solo a quelle “destinate” al pubblico italiano. Ritiene, inoltre, limitativa la previsione di subordinare l’applicazione della normativa al “conseguimento dei ricavi in Italia”. Infine, suggerisce l’introduzione di garanzie di monitoraggio del traffico dati certificate per garantire un intervento efficace dell’Autorità.
Molti soggetti non hanno presentato osservazioni rispetto all’articolo in commento.
Osservazioni dell’Autorità
Quanto all’ambito di applicazione del Regolamento, non si ritiene di dover specificare all’articolo 2 che è sempre fatta salva la libertà negoziale delle parti, in quanto tale garanzia è stata esplicitata agli articoli 4 e 6 e diffusamente chiarita in delibera. È fuor d’ogni dubbio, inoltre, che il Regolamento non si applica ai contenuti pubblicati dagli stessi editori sulle piattaforme in quanto, come stabilito anche al comma 1 dell’articolo in commento, si applica all’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione.
Con riferimento all’eventuale accoglimento da parte dell’Autorità delle proposte di modifica relative alle definizioni di “impresa di media monitoring e rassegne stampa” e di “singolo utilizzatore” si rimanda alle osservazioni effettuate in relazione all’articolo 1.
Ancora, ai fini della qualificazione della pubblicazione come destinata al pubblico italiano, non si ritiene che possa rilevare l’argomento trattato nonché il fatto che la pubblicazione faccia riferimento a temi di attualità rilevanti per l’Italia. Pertanto, la richiesta di modificare in tal senso il primo comma dell’articolo non è accoglibile, così come quella di eliminare il riferimento al conseguimento di ricavi in Italia, in quanto parametro particolarmente rilevante ai fini della qualificazione della pubblicazione come destinata al pubblico italiano. Al contrario, si ritiene di poter accogliere il suggerimento di eliminare il criterio del “raggiungimento di un numero significativo di contatti presenti sul territorio italiano”, che potrebbe comportare incertezza nella sua applicazione. Quanto alla accessibilità di un dominio giornalistico dal territorio italiano, l’Autorità si riserva di verificare caso per caso se questa possa o meno essere un elemento atto a qualificare le pubblicazioni di carattere giornalistico come destinate a un pubblico italiano.
Si ritiene di dover accogliere la proposta di inserire, al comma 2, anche un riferimento ai diritti d’autore e connessi. Non si ritiene, invece, di dover specificare, al comma 3, che il Regolamento non si applica in caso di eccezioni e limitazioni al diritto d’autore, in quanto tale previsione è già compresa al comma 2 dello stesso articolo.
Con riferimento alla richiesta di chiarimenti sulla data riportata al comma 4, si ritiene di dover riformulare lo stesso comma in modo da chiarire che i diritti di cui al presente Regolamento si estinguono due anni dopo la pubblicazione dell’opera di carattere giornalistico e che il termine è calcolato a decorrere dal primo gennaio dell’anno successivo alla data di pubblicazione dell’opera.
Articolo 3
(Principi generali)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Alcuni soggetti condividono interamente la proposta di promozione dell’offerta legale da parte dell’Autorità. Rispetto alla proposta di promozione di codici di condotta volti a favorire la cooperazione tra titolari dei diritti e prestatori di servizi della società dell’informazione, riscontrano la meritevolezza della proposta. Tuttavia, relativamente al settore delle rassegne stampa, osservano che: i) si dovrebbe prevedere anche una rappresentanza qualificata dei “contraenti – clienti” attraverso loro Associazioni, così da garantire una più ampia adesione a tali codici da parte di tutti i soggetti interessati ed evitare richieste “non in linea” con gli stessi; ii) si dovrebbe disciplinare la loro predisposizione (da aggiornare annualmente) all’unanimità, e laddove la stessa non venga raggiunta, dapprima, un rinvio di sei mesi in attesa di raggiungere l’accordo, ed in caso di permanente difficoltà un arbitrato per dirimere le questioni demandato all’Agcom.
Anche un altro soggetto condivide la proposta di promozione di codici di condotta, sottolineando che la loro utilità è strettamente legata alla necessaria partecipazione di tutte le parti interessate (nel caso di specie: editori, piccoli e innovativi, insieme ai grandi conglomerati giornalistici nazionali e le organizzazioni rappresentative dei consumatori).
Un soggetto condivide ed auspica l’intervento promotore dell’offerta legale da parte dell’Autorità soprattutto in un settore e mercato, come quello delle rassegne stampa, caratterizzato da enorme incertezza e fenomeni di concorrenza sleale. Propone, inoltre, la possibile creazione, tramite la promozione dell’Agcom, di un elenco (consultabile online) degli operatori del settore che hanno sottoscritto gli accordi di licenza ed erogano i servizi di rassegna stampa in maniera conforme al dettato normativo, e la pubblicazione di linee guida per le pubbliche amministrazioni appaltanti dei servizi di rassegna stampa e media monitoring. Auspica, inoltre, la promozione di codici di condotta da parte dell’Autorità, anche attraverso l’incentivazione di forme di negoziazione collettiva.
Un soggetto condivide la proposta di promozione dell’offerta legale di opere da parte dell’Autorità, a condizione che tale proposta avvenga nel rispetto e nel bilanciamento degli interessi di tutti gli operatori del settore. Ritiene, ai fini di una maggior chiarezza, che l’Autorità potrebbe meglio precisare il ruolo della stessa nell’ambito di tale attività di offerta legale. Condivide anche la proposta di promozione di codici di condotta volti a favorire la cooperazione tra titolari dei diritti e prestatori di sevizi della società dell’informazione da parte dell’Autorità.
Un soggetto condivide la proposta di promozione dell’offerta legale di opere e suggerisce di precisare gli strumenti messi a disposizione dall’Autorità a tal fine, e di evidenziare il suo ruolo di vigilanza. Quanto ai codici di condotta volti a favorire la cooperazione tra le parti, sostiene che questi dovrebbero essere comprensivi di sanzioni per le ipotesi di loro mancato rispetto.
Altri soggetti condividono la proposta di promozione, da parte dell’Autorità, dell’offerta legale di opere. Rispetto alla proposta di promozione, da parte dell’Autorità, di codici di condotta, ritengono che la stessa sia meritevole, tuttavia, suggeriscono di non creare
3/23/CONS
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sovrapposizioni con altri codici di condotta già adottati (o da adottare a breve) a livello europeo (in particolare si riferiscono all’articolo 35 del DSA e al nuovo Codice sulla disinformazione).
Un soggetto condivide la proposta di promozione, da parte dell’Autorità, dell’offerta legale di opere, e sottolinea l’opportunità di un’adeguata promozione anche della domanda legale, ad esempio nel mercato dei servizi di rassegna stampa e media monitoring. Ritiene opportuno, rispetto alla promozione di codici di condotta, che la stessa sia riferita anche alle condotte dei soggetti fruitori dei servizi di media monitoring e rassegne stampa.
Un altro soggetto ritiene che l’attività di promozione dell’offerta legale da parte dell’Autorità debba essere declinata già in sede regolamentare in maniera più puntuale. Condivide la proposta di promozione di codici di condotta e ritiene fondamentale che successivamente all’eventuale adozione degli stessi vengano puntualmente individuate le modalità di verifica circa il regolare adempimento dei soggetti interessati.
Un soggetto condivide la proposta da parte dell’Autorità di promozione dell’offerta legale ma propone di coinvolgere a tal fine le associazioni dei consumatori.
Un altro soggetto condivide la proposta di promozione dell’offerta legale di opere. Tuttavia, ritiene opportuno che si chiarisca che tale offerta è assoggettata all’esercizio e al rispetto delle prerogative esclusive degli aventi diritto, nel caso di specie gli editori. Dunque, tale offerta non può dirsi “legale” nel senso di obbligatoria, perché deve restare sempre subordinata alla necessaria previa autorizzazione dei titolari dei diritti (in questo caso, gli editori) che possono autorizzare o vietare l’utilizzo (in questo caso, online da parte di Prestatori e Rassegnatori) delle proprie opere (in questo caso, le pubblicazioni di carattere giornalistico). È senz’altro opportuno invece prescrivere che detta offerta sia “legale” nel senso che essa dovrà avvenire secondo diritto. Un soggetto osserva, in merito alla proposta di promozione di codici di condotta, di porre attenzione affinché gli stessi non creino confusione o incertezza relativamente all’ambito di applicazione o alla funzione dello Schema di regolamento.
Due soggetti condividono sia la proposta di promozione dell’offerta legale di opere quanto la proposta di promozione di codici di condotta. Un altro condivide e ritiene fondamentale ed estremamente auspicabile l’intervento dell’Autorità quale promotrice e garante dell’offerta legale di contenuti e della collaborazione tra titolari di diritti e prestatori di servizi, favorendo in tal caso la promozione di codici di condotta.
Un soggetto, nonostante riconosca meritevole la proposta di promuovere l’offerta legale e sia disponibile a collaborare su tale fronte, osserva che questa non è strettamente correlata agli obiettivi dell’articolo 15 della Direttiva e dell’articolo 43-bis della LDA e che, pertanto, non dovrebbe rientrare nell’ambito di applicazione del presente Regolamento. Anche la proposta di promozione di codici di condotta, nonostante la sua meritevolezza, va oltre l’ambito di applicazione dell’articolo 43-bis LDA e delle competenze dell’Autorità ivi previste. Pertanto, sebbene i codici di condotta possano essere in linea di principio uno strumento utile per promuovere la cooperazione tra i diversi attori, ciò non dovrebbe tuttavia rientrare nell’ambito di applicazione del presente Regolamento.
3/23/CONS
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Un soggetto dubita che la promozione dell’offerta legale possa spiegare apprezzabile utilità nel settore del media monitoring, mentre sicuramente ritiene utile la promozione di codici di condotta.
Diversi soggetti non hanno presentato osservazioni rispetto questo articolo.
Osservazioni dell’Autorità
In via preliminare, si rileva che l’Autorità ritiene necessario specificare, anche in tale articolo, che è fatta salva l’autonomia negoziale delle parti ma intende incoraggiare forme di autoregolamentazione, anche per favorire la cooperazione tra tutti i soggetti interessati, ai fini della determinazione dell’equo compenso.
In particolare, l’Autorità intende promuovere l’adozione da parte di tutti i soggetti coinvolti di forme di autoregolamentazione, ma si riserva, a valle di una prima fase di applicazione del Regolamento, di sollecitarne l’adozione, anche attraverso la predisposizione di linee guida, ove necessario. In particolare, sugli aspetti di natura applicativa e metodologica, riguardanti nello specifico gli articoli 4 e 6, l’Autorità può prevedere iniziative volte a stimolare il confronto con gli stakeholder per l’individuazione e la soluzione di eventuali problematiche emergenti dall’applicazione del Regolamento in materia di equo compenso. Con riferimento alla proposta di creare un elenco online degli operatori del settore che hanno sottoscritto gli accordi di licenza ed erogano i servizi di rassegna stampa in maniera conforme al dettato normativo e la pubblicazione di linee guida per le società e le pubbliche amministrazioni appaltanti dei servizi di rassegna stampa e media monitoring si sottolinea che tale obiettivo esula dall’ambito di applicazione della legge. Nondimeno, nelle forme di partecipazione volontaria previste dall’articolo in commento ben potranno rientrare, se necessario, iniziative riguardanti gli appalti dei servizi di rassegna stampa e media monitoring. Con particolare riferimento, invece, alle condotte dei soggetti fruitori dei servizi di media monitoring e rassegne stampa, si rileva che queste dovranno necessariamente essere valutate in ordine al rispetto della normativa sul diritto d’autore, in cui rientra il presente Regolamento, che si ritiene sufficientemente esaustivo anche nei confronti degli utenti finali.
Infine, per quanto attiene alla proposta di emendamento del comma 3, si sottolinea che, come ampiamente argomentato in seguito, nell’ambito della diffusione dell’offerta legale è comunque fatta salva l’autonomia negoziale delle parti.
Capo II
Utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione diversi dalle imprese di media monitoring e rassegne stampa
Articolo 4
(Criteri per la determinazione dell’equo compenso)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Sulla determinazione dell’equo compenso: osservazioni di carattere generale
La quasi totalità dei soggetti rispondenti, condividendo l’impostazione complessiva del modello di calcolo prefigurato dall’articolo 4 dello Schema di regolamento, non ha formulato osservazioni specifiche sull’articolazione del metodo proposto, ovvero una base di calcolo cui applicare un’aliquota modulata, all’interno di un intervallo di valori di presuntiva congruità, in base alle caratteristiche dei diversi editori espresse dai criteri di riferimento.
Alcuni rispondenti, invece, hanno manifestato perplessità su tale impostazione, in ragione della complessità di implementazione e della sua rigidità, che mal si concilierebbero con le diverse tipologie di prestatori ed editori coinvolti, sia per le difficoltà pratiche di applicazione del modello connesse ai diversi meccanismi di funzionamento dei servizi dei prestatori, sia per gli oneri che potrebbero derivare, in special modo agli editori più piccoli, dall’applicazione di schemi negoziali complicati. Tali soggetti, diversamente, propongono di eliminare il riferimento all’aliquota e definire una base di calcolo complessiva per ciascun prestatore, destinata all’intera platea degli editori aventi diritto e da ripartire poi direttamente tra questi in base ai criteri di riferimento (vedi infra).
I rispondenti hanno poi formulato ulteriori osservazioni di carattere generale.
In particolare, alcuni soggetti, ai fini dell’applicazione dell’articolo 4, hanno rimarcato l’importanza del principio secondo cui l’equo compenso è in via preliminare “oggetto di una libera negoziazione tra le parti che, nel pieno esercizio della loro autonomia contrattuale, possono addivenire ad un accordo che “può” tenere conto “anche” dei criteri indicati dall’Autorità. I soggetti, quindi, hanno evidenziato come sia di fondamentale importanza che tanto gli editori quanto i prestatori siano liberi di concludere, o meno, accordi e di negoziarne liberamente le condizioni.
Inoltre, diversi rispondenti hanno sottolineato la necessità di calibrare i parametri del modello di calcolo tenendo nella giusta considerazione alcune differenze esistenti sia tra i prestatori (in particolare tra motori di ricerca, aggregatori e social network), sia all’interno del panorama degli editori, con particolare riferimento alle categorie delle agenzie di stampa, della stampa specializzata, degli editori nativi digitali, dei piccoli editori e di quelli locali. Un soggetto ritiene, in particolare, che il modello applicabile agli aggregatori di notizie dovrebbe essere distinto da quello applicabile ai social media, in considerazione delle diverse modalità di funzionamento. Un altro soggetto sostiene che il Regolamento non dovrebbe disciplinare in maniera difforme i vari tipi di prestatori a seconda dei loro modelli di business poiché tale distinzione non è prevista né dall’articolo 15 della Direttiva, né dall’articolo 43-bis LDA e, anzi, sarebbe in contrasto con l’ambito di applicazione e la ratio delle suddette norme.
Nello specifico, in relazione alle differenze tra prestatori, un soggetto evidenzia come la struttura degli incentivi possa essere molto diversa tra tipologie di prestatori. Infatti, sebbene interesse comune a tutti i prestatori sia in generale attrarre e trattenere gli utenti all’interno delle rispettive piattaforme per aumentarne il valore, è tuttavia diversa l’entità dello scambio di tale valore tra prestatore ed editore. Tale scambio tende tipicamente ad essere maggiore nel caso dei motori di ricerca, i quali traggono vantaggi dai contenuti di informazione nella misura in cui questi sono in grado di mantenere gli utenti sulla piattaforma; di contro, gli editori ottengono valore dalla visibilità che passa attraverso il traffico di reindirizzamento che dalla piattaforma si dirige verso i siti web degli editori. Nel caso dei social network, invece, la piattaforma ha minori incentivi a trattenere gli utenti mediante l’attrattività esercitata dai contenuti informativi, considerata anche l’elevata sostituibilità tra le diverse tipologie di contenuti circolanti sul social media, e, al tempo stesso, l’editore ha un controllo maggiore diretto sui propri contenuti e sulla propria visibilità, per la natura stessa dei servizi di social network, per cui lo scambio di valore può essere considerato inferiore.
Un altro soggetto sottolinea come i prestatori possano operare in modo diverso gli uni dagli altri intervenendo sui contenuti in maniera più o meno significativa. In particolare, gli aggregatori di notizie, compresi i motori di ricerca, raccolgono in modo proattivo i contenuti e li ordinano in base alla loro rilevanza (misurata attraverso alcuni parametri – numero di link di ingresso, corrispondenza tra termini ricavati e termini inclusi nei documenti, prestazioni tecniche dei siti, o rispetto alla ricerca dell’utente, in base alla serie storica delle ricerche effettuate da tutti gli utenti), i social network, invece, non tengono conto della rilevanza di un contenuto rispetto ad un altro, ma piuttosto gli algoritmi selezionano e ordinano i contenuti (anche ma non solo giornalistici) che appaiono nella homepage di ciascun utente in base alle preferenze dell’utente stesso.
Un rispondente rileva che nell’identificare e valutare i benefici di entrambe le parti (editori e prestatori) occorre tener presente le peculiarità dei social media, che riguardano diversi aspetti: l’incidenza dei contenuti cosiddetti “di terza parte” (gli unici rilevanti ai fini dell’equo compenso) sui contenuti complessivi; la sostituibilità dei diversi tipi di contenuti circolanti sulla piattaforma; il traffico che può derivare all’editore dalle conversazioni e interazioni che si sviluppano sul social network; i vantaggi del prestatore che derivano anche dall’arricchimento informativo che permette agli utenti di intervenire nel dibattito pubblico e sentirsene parte.
Un altro soggetto osserva che, sebbene in teoria sia utile differenziare il modello di calcolo in base ai diversi tipi di prestatori, di fatto ciò appare molto complesso e suscettibile di rapida obsolescenza in considerazione della velocità con cui evolvono i modelli di business.
Avuto riguardo alle differenze tra tipologie di editori, alcuni soggetti hanno rappresentato l’esigenza degli editori più piccoli, spesso anche locali, e di quelli nativi digitali di disporre di un modello di calcolo, non solo di semplice applicazione per ridurre i costi di transazione, ma anche flessibile in ragione delle diverse caratteristiche degli editori, a tutela della libertà negoziale e dell’evoluzione dei modelli di business. Inoltre, un rispondente ha auspicato una declinazione del modello di determinazione dell’equo compenso che distingua tra editori e agenzie di stampa, riconoscendo a queste ultime un ruolo specifico quali produttori di informazione primaria, riutilizzata dagli stessi editori oltre che dai prestatori. Quanto alla stampa specializzata, un soggetto, nel far rilevare come l’editoria di settore si differenzi da quella generalista, per l’utenza a cui si rivolge (professionisti, aziende, esperti di settore), per il modello produttivo e organizzativo che la contraddistingue (ad esempio si serve di giornalisti specializzati), per le caratteristiche dei contenuti editoriali (il carattere specialistico e la non semplice sostituibilità dei contenuti per i prestatori), auspica che il modello di calcolo dell’equo compenso riconosca tali peculiarità e le consideri adeguatamente.
Infine, alcuni soggetti hanno rilevato l’utilità di semplificare i diversi elementi che compongono il modello di determinazione dell’equo compenso e di adottare una metodologia il più possibile oggettiva e rigorosa, fondata su dati e valori certi, che premi l’autorevolezza e la qualità di contenuti capaci di preservare l’interesse pubblico ad una informazione imparziale, veritiera, corretta e obiettiva che possa concorrere adeguatamente alla crescita e alla formazione culturale, sociale e politica dei cittadini. In particolare, un soggetto puntualizza come tale semplificazione possa essere ottenuta mediante l’adozione di una base di calcolo costituita da elementi condivisi, una griglia di criteri essenziale, dal significato univoco e di facile applicazione, un’aliquota congrua e assimilabile ad analoghe esperienze di mercato. Relativamente alle auspicate semplificazioni, un rispondente fa osservare che queste consentirebbero altresì di promuovere schemi di accordo quadro che garantiscano un compenso minimo, sui quali poter innestare eventualmente singole e specifiche negoziazioni. Un altro rispondente ha invece evidenziato che un modello di semplice applicazione potrebbe ridurre i contrasti interpretativi in sede di negoziazione.
Oltre alle osservazioni di carattere generale sull’impostazione complessiva dell’articolo 4, i soggetti rispondenti hanno presentato specifiche osservazioni sui singoli commi del medesimo articolo, ai quali corrispondono gli elementi costitutivi del modello di calcolo per la determinazione dell’equo compenso, che verranno nel seguito esaminate.
Sulla base di calcolo
Numerosi rispondenti hanno osservato che la base di calcolo dovrebbe fondarsi sui ricavi pubblicitari del prestatore direttamente derivanti dalle pubblicazioni di carattere giornalistico, che possono essere identificati e calcolati con precisione, eliminando invece ogni riferimento ai ricavi pubblicitari indirettamente ottenuti. Le motivazioni di tale esclusione risiedono, secondo i soggetti rispondenti, in una serie di fattori di complessità: i) né la Direttiva, né il decreto di recepimento menzionano i ricavi indiretti o ne forniscono una definizione; ii) da un punto di vista concettuale non è chiaro cosa esattamente essi comprendano; iii) pur riconoscendo che esiste una serie di benefici indiretti che il prestatore ottiene dai contenuti giornalistici, la quantificazione è estremamente complessa, se non impossibile a parere di qualche soggetto, dovendo peraltro considerare i ricavi ottenuti dai dati degli utenti, i quali derivano spesso da un incrocio di dati provenienti da fonti diverse, e in ogni caso ricondotta alle pubblicazioni di carattere giornalistico del singolo editore; iv) anche se si potesse ottenere una loro quantificazione, data la complessità del calcolo, si rischierebbe di ostacolare le negoziazioni e di innescare numerosi contenziosi compromettendo le finalità stesse del Regolamento.
Un soggetto, in particolare, segnala altresì che, per quanto riguarda il valore dei dati degli utenti, il quale può essere considerato un beneficio indiretto per il prestatore, esso è già incorporato di fatto nella base di calcolo, dal momento che i ricavi pubblicitari si basano in parte anche sui dati degli utenti, di conseguenza includerli come ricavi “indiretti” condurrebbe eventualmente a un doppio conteggio. Inoltre, dal punto di vista giuridico, non è ammissibile un compenso superiore a quanto il titolare del diritto potrebbe ottenere in caso di controversia per un utilizzo non autorizzato, ovvero superiore ai danni e, dunque, alle conseguenze che l’autore della violazione subirebbe (v. Corte di Cassazione 39762/2021). I ricavi “indiretti” violerebbero tale principio. Ancora, se si decidesse di considerarli, dovrebbero considerarsi anche quelli degli editori. In ultimo, questi dovrebbero essere calcolati sui soli contenuti protetti, escludendo quindi i collegamenti ipertestuali e gli estratti molto brevi, per cui probabilmente risulterebbero di fatto irrilevanti da un punto di vista quantitativo.
Una posizione diversa in merito all’inclusione dei ricavi indirettamente ottenuti dalle pubblicazioni di carattere giornalistico è stata espressa da diversi soggetti, molti dei quali non hanno formulato osservazioni specifiche accogliendo la proposta contenuta nell’articolo 4, comma 1 dello Schema di Regolamento. Alcuni di questi, invece, sostengono esplicitamente che l’inclusione dei ricavi indirettamente derivanti al prestatore dall’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico è appropriata, in quanto consentirebbe di rappresentare correttamente il valore che il prestatore ottiene dall’utilizzo online dei contenuti giornalistici. Nello specifico questi soggetti formulano precisazioni in merito alle categorie di ricavi cui si dovrebbe far riferimento e suggerimenti sulle modalità con cui potrebbero essere inclusi nel modello di calcolo.
Secondo un rispondente andrebbero inclusi anche i ricavi dalla vendita di dati degli utenti, per tener conto di quei prestatori che non si rivolgono al tradizionale mercato pubblicitario; in parallelo, occorrerebbe in ogni caso, secondo il soggetto, prevedere dei sistemi di trasparenza e controllo dei ricavi “indiretti”. Altri due soggetti evidenziano come, all’interno delle fonti di ricavo indirettamente riconducibili alle pubblicazioni di carattere giornalistico, bisognerebbe includere quei vantaggi economici che derivano al prestatore dalla profilazione degli utenti e, secondo un soggetto, in particolare, ciò potrebbe essere implementato mediante stime basate su un rapporto di correlazione tra ricavi diretti e “indiretti”; tale quantificazione dovrebbe essere fatta dall’Autorità che possiede competenze adeguate e si caratterizza per la sua posizione di terzietà.
Un ulteriore puntualizzazione è stata formulata da un altro rispondente, che suggerisce un allargamento della base di calcolo, la quale dovrebbe includere oltre ai ricavi pubblicitari, anche i ricavi “indiretti”, attraverso l’applicazione di un’aliquota specifica, nonché i ricavi derivanti dall’attività di intermediazione pubblicitaria effettuata dal prestatore. Un altro rispondente, infine, ritiene che la base di calcolo dovrebbe essere ampliata includendovi anche un compenso per la perdita di traffico diretto che subisce l’editore, connessa alla difficoltà di intercettare l’utente proprio a causa dell’intermediazione effettuata dal prestatore e solo parzialmente compensata dal traffico di reindirizzamento.
Relativamente ad altre componenti da prendere in considerazione per la determinazione della base di calcolo, diversi soggetti evidenziano la necessità di tener conto anche dei benefici che l’editore ottiene attraverso l’utilizzo dei servizi del prestatore, grazie alla visibilità che tali servizi garantiscono alle pubblicazioni di carattere giornalistico. Il maggior beneficio, secondo i rispondenti, deriva dalla monetizzazione del traffico di reindirizzamento che il prestatore porta al sito web dell’editore, il quale si traduce in ricavi pubblicitari per l’editore e/o in nuovi abbonamenti e vendite online di contenuti informativi. I soggetti rispondenti rilevano, sul punto, come sia fondamentale integrare la base di calcolo sottraendo ai ricavi pubblicitari del prestatore quelli di reindirizzamento dell’editore, eliminandoli contestualmente dall’elenco dei criteri (v. articolo 4, comma 2, lettera b) dello Schema di regolamento) e restituendo, in tal modo, equità e correttezza alla misura del value gap. Al riguardo, un soggetto evidenzia nello specifico come il riequilibrio della base di calcolo, verso una soluzione che restituisce una connotazione di equità al compenso, rappresenta uno degli elementi decisivi per l’applicazione corretta del quadro normativo in linea con le finalità perseguite dal legislatore europeo. Vi sarebbe, peraltro, secondo i rispondenti, un’incongruenza tra il ragionamento effettuato dall’Autorità nella delibera che accompagna lo Schema di regolamento e il testo dello stesso, laddove l’Autorità in delibera ha correttamente identificato quale misura sintetica del value gap la differenza tra i benefici economici derivanti ad entrambe le parti (al prestatore da un lato e all’editore dall’altro lato), salvo poi nello Schema di regolamento indicare i ricavi da traffico di reindirizzamento tra i criteri di riferimento che contribuiscono a definire il valore dell’aliquota, stemperandone così l’impatto. In particolare, alcuni soggetti osservano che includere i ricavi da traffico di reindirizzamento nella base di calcolo fornisce i giusti incentivi ai prestatori affinché questi indirizzino il traffico verso i siti degli editori, con vantaggi per questi ultimi e specie per quelli di più piccole dimensioni e per quelli nativi digitali che beneficiano in maniera significativa della visibilità ottenuta attraverso i servizi del prestatore. Diversamente, l’inclusione di tale voce tra i criteri che concorrono a definire l’aliquota, può, a giudizio dei rispondenti, tradursi in un disincentivo del prestatore a indirizzare il traffico verso i siti degli editori, con conseguenze molto negative per questi ultimi. Secondo alcuni soggetti, inoltre, lo spostamento dei ricavi da reindirizzamento nella base di calcolo determinerebbe anche un giusto proporzionamento dell’entità del compenso tra gli editori, riconoscendo un compenso più elevato a quelli per i quali il value gap è maggiore, ovvero a coloro che apportano un maggior valore al prestatore, e premiando gli editori qualificati.
Contrariamente alle posizioni appena sintetizzate, alcuni rispondenti ritengono che i ricavi da traffico di reindirizzamento non dovrebbero essere valorizzati nella base di calcolo non essendo significativi per l’editore, che non trae particolare valore dal traffico portato dal prestatore. Più in dettaglio, alcuni soggetti precisano che il traffico di reindirizzamento non permette in genere di instaurare un legame stabile con l’utente e dunque non è in grado di assicurare un flusso economico all’editore sotto forma di abbonamenti, né, d’altronde, il beneficio economico che può derivarne (in termini di abbonamenti o di ricavi pubblicitari) è paragonabile ai benefici ottenuti del prestatore. Inoltre, alcuni rispondenti segnalano che il relativo dato è di difficile quantificazione per l’editore.
Sulla determinazione della base di calcolo, alcuni soggetti ritengono che questa dovrebbe essere costituita dalla somma algebrica dei ricavi (diretti e indiretti) del prestatore e dell’editore cui andrebbero sottratti i rispettivi costi. In questo quadro, un soggetto ha presentato una proposta specifica, consistente non nella valorizzazione dei soli ricavi pubblicitari del prestatore, ma piuttosto nella valorizzazione del “ricavo netto” del prestatore. La base di calcolo, quindi, sarebbe costituita dai ricavi pubblicitari, direttamente e indirettamente attribuibili alle pubblicazioni di carattere giornalistico, cui si sottrarrebbero sia i benefici economici (diretti e indiretti) dell’editore – ovvero derivanti dal traffico di reindirizzamento e dalla maggiore visibilità e circolazione dei contenuti grazie agli effetti di rete – sia i costi sostenuti dal prestatore per investimenti tecnologici dedicati alla riproduzione e comunicazione delle pubblicazioni di carattere giornalistico, comprensivi di una quota corrispondente ai costi sostenuti dal prestatore per uniformarsi alle migliori pratiche per la promozione di un’informazione di qualità. La proposta comporta, dunque, lo spostamento di alcuni criteri di riferimento all’interno della base di calcolo e in particolare di quelli di cui alle lettere b), h), i) dell’articolo 4, comma 2. La base di calcolo così composta dovrebbe essere determinata da parte del singolo prestatore con riferimento all’intera platea di editori aventi diritto, in modo da individuare l’ammontare totale che ciascun prestatore dovrà mettere a disposizione degli editori, da ripartire poi tra questi in base ai criteri di riferimento (vedi infra). Secondo il soggetto proponente, tale schema sarebbe di più agevole implementazione perché determinerebbe a monte l’entità dell’equo compenso, semplificando al tempo stesso l’elenco dei criteri ed eliminando i meccanismi complicati legati all’aliquota.
La proposta appena descritta comporta, come detto, la definizione di una base di calcolo da parte del prestatore per l’intera platea di editori e non per singolo editore. Questo approccio è suggerito anche da alcuni altri rispondenti, i quali, pur confermando che la base di calcolo debba fondarsi sui ricavi pubblicitari diretti (per alcuni anche indiretti) del prestatore (per alcuni al netto dei ricavi da traffico di reindirizzamento), evidenziano i vantaggi in termini di facilità di applicazione del calcolo di una somma aggregata, rispetto a un modello che prevede la determinazione della base di calcolo in relazione alle pubblicazioni di carattere giornalistico del singolo editore. Secondo l’impostazione sostenuta da questi soggetti, la somma aggregata dovrebbe poi essere ripartita tra gli editori, previa applicazione di un’aliquota secondo alcuni; senza l’impiego di un’aliquota ma con l’impiego diretto dei criteri di riferimento come fattori distributivi, secondo altri (vedi infra).
Un’ultima questione emersa in merito alla base di calcolo riguarda l’opportunità espressa da alcuni rispondenti di prevedere che la formulazione della base di calcolo venga integrata per tener conto in maniera esplicita dei diversi modelli di business dei prestatori e delle diverse modalità di funzionamento dei relativi servizi, le quali influenzano non solo l’entità dello scambio di valore tra prestatori ed editori e la natura dei benefici di entrambe le parti (vedi supra), ma anche le modalità di calcolo dei ricavi pubblicitari associati alle pubblicazioni di carattere giornalistico, che possono essere diverse a seconda dei meccanismi di allocazione della pubblicità.
Sull’aliquota
La quasi totalità dei soggetti rispondenti concorda con la proposta dello Schema di regolamento, articolo 4 comma 2, che prevede l’applicazione di un’aliquota alla base di calcolo, compresa in un intervallo di valori di presuntiva congruità.
Alcuni rispondenti, di contro, ritengono che il riferimento all’aliquota dovrebbe essere eliminato, in quanto non è facile individuare il valore o l’intervallo di valori che l’aliquota dovrebbe assumere, anche in ragione delle diversità dei modelli di business dei prestatori. La sua applicazione, inoltre, introdurrebbe un meccanismo troppo rigido e complesso da implementare nella pratica, poiché richiederebbe di instaurare negoziazioni singole tra prestatore ed editore, che rischiano, in alcuni casi, di tradursi in costi di transazione elevati.
Un soggetto, inoltre, esprime perplessità in merito all’utilizzo dell’aliquota, poiché legherebbe il compenso dell’editore al rischio d’impresa del prestatore e all’efficienza dei sistemi di trasparenza e monitoraggio dei dati sui ricavi che questi dovrebbe fornire. In alternativa, secondo il soggetto, l’equo compenso potrebbe essere articolato in due componenti: una componente fissa, legata ai costi sostenuti dall’editore, agli anni di attività sul mercato e al numero di giornalisti impiegati, e una componente variabile che potrebbe essere graduata per tener conto dei diversi tipi di prestatori, utilizzando i parametri dell’articolo 17 della Direttiva (articolo 102-octies LDA) in modo tale da agevolare le start-up.
Relativamente alla previsione di un intervallo di valori di presuntiva congruità dell’aliquota, alcuni soggetti hanno sottolineato che questo consentirebbe di instradare e agevolare le negoziazioni, soprattutto in presenza di editori con minor potere contrattuale, e anche di facilitare l’individuazione di un compromesso in caso di disaccordo tra le parti. Altri soggetti osservano che identificare un intervallo di valori dell’aliquota consente anche di mantenere quella flessibilità utile per tener conto delle specifiche caratteristiche e del modello di business del prestatore.
Diversi soggetti rispondenti, inoltre, hanno indicato i possibili valori dell’aliquota e i parametri che potrebbero essere utilizzati per definirne i valori estremi. In generale, tutte le proposte indicano come metodo di individuazione dell’aliquota il benchmarking, ovvero il riferimento alle condizioni contrattuali di norma in uso ambiti di mercato comparabili.
Alcuni soggetti ritengono che l’intervallo di valori dell’aliquota dovrebbe ispirarsi a quanto già avviene in ambito digitale nei rapporti tra carrier e produttore o tra concessionaria/intermediario e publisher nel mercato della pubblicità online, [omissis].
Secondo alcuni altri soggetti occorre riferirsi alle aliquote già utilizzate per accordi simili conclusi in mercati comparabili a quello italiano in cui la Direttiva è già stata trasposta, oppure in ambiti di mercato adiacenti a livello europeo e internazionale; in proposito, i valori menzionati oscillano in un intervallo tra [omissis] da applicare alla base di calcolo comprensiva dei soli ricavi pubblicitari diretti.
Per un rispondente, inoltre, si potrebbero adottare le percentuali già in uso in Italia negli accordi conclusi tra gli editori e le imprese di media monitoring e rassegne stampa, utilizzandole come limite superiore dell’intervallo, laddove, infatti, oggetto della negoziazione in quei casi è l’utilizzo degli articoli per intero.
Infine, un altro soggetto osserva che l’Autorità potrebbe definire un’aliquota minima che dovrebbe essere una percentuale egualitaria tra le parti, ovvero il 50% che può arrivare anche al 60%, considerando che il costo di produzione del contenuto è sostenuto interamente dall’editore. Secondo il soggetto, infatti, la partnership tra prestatore ed è editore si basa sulla messa in comune di asset per ottenere un guadagno comune da suddividere: l’editore apporta i contenuti e il prestatore la tecnologia e la struttura di vendita ed incasso dei ricavi pubblicitari.
Sui criteri di riferimento
Tutti i soggetti rispondenti ritengono nel complesso condivisibili i criteri individuati al comma 2 dell’articolo 4 dello Schema di regolamento. Diversi soggetti hanno, comunque, formulato osservazioni di carattere generale su tali criteri. Alcuni rispondenti sostengono l’opportunità di semplificare il più possibile il meccanismo di applicazione dei criteri, riducendone il numero e individuando criteri semplici da applicare, oggettivi, chiari, trasparenti e misurabili. Un soggetto, inoltre, fa osservare che i criteri dovrebbero attenersi il più possibile a quelli individuati dall’articolo 43-bis. Due rispondenti, inoltre, richiamano l’attenzione sulla necessità di escludere o di rendere opzionali i criteri che non attengono al valore della notizia e agli investimenti dell’editore, anche per evitare incompatibilità con il diritto dell’UE, alla luce del ragionamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha escluso l’ammissibilità di regimi di prelievo privato che utilizzino criteri di calcolo non legati al pregiudizio subito dagli aventi diritto, in contrasto con il preambolo della Direttiva InfoSoc riguardo all’eccezione della copia privata. Inoltre, secondo un soggetto, in particolare, tutto ciò che esula dalla qualità e quantità dei contenuti informativi non dovrebbe essere considerato, così che tutti i criteri che riguardano la società editoriale andrebbero esclusi (v. infra), perché non hanno nulla a che vedere con l’oggetto della partnership con il prestatore e con i ricavi comuni da suddividere. Due rispondenti, inoltre, sottolineano che il sistema dei criteri dovrebbe dare risalto alla qualità dell’offerta e agli sforzi dell’editore per sostenere l’evoluzione del settore, nonché all’autorevolezza, alla varietà dell’offerta e al costante aggiornamento dei contenuti. Alcuni soggetti evidenziano la necessità che i criteri siano definiti e/o ordinati tenendo conto delle specificità di alcune categorie di editori – in particolare, le agenzie di stampa, gli editori nativi digitali e i piccoli editori, l’editoria specializzata – affinché queste non siano penalizzate nella determinazione dell’equo compenso. Altri rispondenti osservano che i criteri dovrebbero essere declinati in maniera tale da tenere in considerazione i modelli di business dei diversi tipi di prestatori, principalmente motori di ricerca, aggregatori e social media; tali diversità si riflettono in particolare sulle metriche con le quali misurare i criteri.
Richieste di chiarimento sono state espresse da un soggetto relativamente alle modalità di misurazione di alcuni criteri (ad esempio gli anni di attività), sottolineando possano esservi delle difficoltà applicative. Al riguardo, un rispondente auspica che il Regolamento fornisca indicazioni precise circa la portata applicativa dei criteri, chiarendo se vi sono dei precisi coefficienti numerici, magari flessibili ma obbligatori, da applicare, oppure se vi sono indicazioni di massima su come dovrebbero essere implementati. Un rispondente, su tale punto, ritiene che l’elenco dei criteri debba essere flessibile, ovvero che questo debba essere considerato non esaustivo e discrezionale.
Oltre alle osservazioni di carattere generale, sono pervenute indicazioni più specifiche da numerosi soggetti, in particolare sugli aspetti relativi: i) ad osservazioni specifiche e proposte di modifica criteri; ii) alle proposte di eliminazione di singoli criteri; iii) alle proposte di inserimento di nuovi criteri: iv) all’ordinamento dei criteri. A seguire, viene presentata una sintesi delle principali posizioni emerse su ciascun aspetto.
i. Osservazioni specifiche e proposte di modifica criteri
In merito al criterio di cui alla lettera a) dell’articolo 4 dello Schema di regolamento, relativo al numero di consultazioni online delle pubblicazioni di carattere giornalistico, alcuni soggetti, pur riconoscendo la pertinenza di tale criterio (ancorché secondo un soggetto tale criterio è ricompreso, sia pure indirettamente, nella base di calcolo attraverso i ricavi pubblicitari), esprimono delle preoccupazioni per gli effetti che può determinare sugli incentivi degli editori a produrre contenuti in eccesso, a solo scopo remunerativo, oppure particolarmente attraenti ma di scarsa qualità, sconfinando così in pratiche di clickbaiting, diffondendo contenuti privi di valore informativo reale e, al limite, veicoli di cattiva o falsa informazione. Tali potenziali effetti distorsivi possono essere mitigati, secondo due soggetti, affiancando indicatori che misurino il coinvolgimento effettivo degli utenti nel dibattito pubblico, almeno per i social media, e bilanciando il criterio a) con meccanismi di tutela della qualità dell’informazione efficaci.
Ulteriori osservazioni e suggerimenti pervenuti sul criterio a) riguardano, in particolare, le fonti, gli indicatori che dovrebbero essere impiegati e le modalità di rilevazione dei dati. Al riguardo, alcuni soggetti hanno evidenziato che i dati relativi al numero di consultazioni online provengono dal prestatore che è l’unico a disporne, per cui dovrebbero essere stabilite metriche precise e sistemi di controllo imparziali e verificabili, oppure identificati/creati strumenti alternativi forniti da soggetti terzi, o previsto che i prestatori rendano i dati sempre disponibili agli editori. Sullo stesso aspetto, un altro rispondente osserva che è la piattaforma a stabilire come distribuire il traffico tra gli editori, di conseguenza occorre considerare anche l’asimmetria del potere contrattuale, che è diversa tra editore ed editore. Un soggetto propone che il criterio venga misurato in termini di utenti unici come da dato certificato Audiweb, utilizzando la media degli ultimi 5 anni quale valore di riferimento, per evitare che un criterio fondato sulle consultazioni per articolo possa produrre comportamenti opportunistici volti ad accrescere il traffico a detrimento della qualità. Un soggetto, inoltre, ritiene che occorra un riscontro più raffinato rispetto alle visualizzazioni e interazioni, che restituisca una sorta di “rating” indipendente di autorevolezza dell’editore. Ancora, un soggetto suggerisce che tale criterio debba essere valutato in relazione a categorie omogenee di editori (ad esempio l’editoria generalista deve essere distinta da quella di settore, le agenzie di stampa dovrebbero essere distinte dagli altri editori). Secondo alcuni rispondenti, inoltre, il criterio a) dovrebbe essere misurato, laddove occorre, con metriche di engagement proprie dei social media per tener conto delle diversità di funzionamento dei relativi servizi e delle specifiche modalità di diffusione delle notizie.
Per quanto riguarda il criterio di cui alla lettera b) dell’articolo 4 dello Schema di regolamento, relativo ai “ricavi da traffico di reindirizzamento delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore e relativa incidenza sui ricavi complessivi”, un soggetto fa osservare che questo può essere calcolato solo utilizzando strumenti di rilevazione del traffico messi a disposizione dal prestatore che poi coincide con l’interlocutore nella negoziazione, per cui occorrerebbe prevedere strumenti alternativi per identificare i dati, forniti da soggetti terzi alla negoziazione o prevedere che i prestatori rendano tali dati sempre disponibili agli editori. Alcuni rispondenti, inoltre, osservano che i ricavi da traffico di reindirizzamento sono di difficile quantificazione e non sono particolarmente significativi, in quanto il traffico da reindirizzamento non consente all’editore di instaurare una relazione stabile con l’utente e di valorizzare adeguatamente i propri contenuti dal punto di vista editoriale e pubblicitario. In ogni caso, un rispondente sottolinea che i ricavi dell’editore a cui fare riferimento dovrebbero essere quelli strettamente legati all’attività editoriale come risultanti dall’ultimo bilancio.
Relativamente al criterio di cui alla lettera c) dell’articolo 4 dello Schema di regolamento, circa la rilevanza dell’editore sul mercato, due soggetti fanno notare che, per quanto il criterio faccia riferimento alla sola attività online e sebbene la rilevazione sia effettuata da organismi terzi, autonomi e indipendenti, tale criterio potrebbe penalizzare ugualmente gli editori locali e i piccoli editori e l’editoria di settore, che hanno audience inevitabilmente non comparabili con gli editori di più grandi dimensioni. Occorre, dunque, secondo un soggetto, che tali rilevazioni avvengano con criteri trasparenti e non discriminatori e controllati dall’Autorità. Secondo un altro soggetto, il criterio dovrebbe essere declinato per categorie omogenee di editori, o in relazione allo specifico settore di riferimento, per evitare indebite penalizzazioni e raffronti non significativi. Quanto agli indicatori e alle fonti per la misurazione del criterio, alcuni soggetti propongono che il criterio di cui alla lettera c) sia misurato facendo riferimento ai dati forniti dall’organismo di rilevazione di settore (JIC). Un altro soggetto propone, invece, di fare riferimento alle tirature dell’editore degli ultimi 5 anni certificate da ADS per le testate cartacee e online e la media del fatturato complessivo degli ultimi 5 anni.
Con riferimento al criterio di cui alla lettera d) dell’articolo 4 dello Schema di regolamento, relativo al numero di giornalisti, alcuni soggetti ritengono che sia necessario esplicitare che devono essere considerate solo le risorse utilizzate per la realizzazione delle pubblicazioni digitali; di conseguenza, anche la definizione di prodotto editoriale deve essere modificata per chiarire che il concetto fa riferimento alle sole pubblicazioni diffuse online oppure va eliminata del tutto e sostituita nell’articolo 4 con il termine “pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online” (v. supra).
Due rispondenti sostengono che nel criterio dovrebbe rientrare, oltre ai giornalisti, qualunque altra risorsa utilizzata dall’editore per la produzione delle pubblicazioni di carattere giornalistico. Un altro soggetto ritiene che debba essere considerato tutto l’organico, comprendente oltre che i dipendenti anche i collaboratori esterni, come risultante dal bilancio e da autocertificazione dell’editore e che il criterio debba comprendere tutte le pubblicazioni, digitali e cartacee, tenendo in considerazione anche il costo del personale. Alcuni soggetti, inoltre, suggeriscono delle integrazioni al criterio, opportune per tenere nella giusta considerazione le diverse tipologie di editori e non penalizzare quelli di piccole dimensioni, i nativi digitali e l’editoria di settore. Nello specifico le proposte riguardano l’inclusione nel criterio d) dei giornalisti afferenti a contratti collettivi nazionali ulteriori (es. USPI-CISAL e CCNGE), dei collaboratori esterni e di quelli a tempo determinato e part-time, nonché di figure professionali con mansioni non giornalistiche. Infine, un rispondente propone di accorpare il numero di giornalisti al criterio di cui alla lettera j) relativo al numero di anni di attività, collocando il nuovo criterio così formulato al termine dell’elenco dei criteri, riducendone l’importanza; ciò in considerazione del fatto che questi due criteri sembrano essere eccessivamente legati ad un modello editoriale tradizionale che non trova corrispondenza nel mercato dell’informazione digitale.
Quanto al criterio di cui alla lettera e) dell’articolo 4 dello Schema di regolamento, relativo al numero di pubblicazioni afferenti a tematiche originali pubblicate in anteprima, un soggetto osserva che esso potrebbe essere ampliato così da valorizzare, oltre al giornalismo d’inchiesta, che è indubbiamente costoso in termini di tempo e risorse impiegate, anche le pubblicazioni di carattere tecnico-specialistico che tipicamente non riutilizzano notizie prodotte da altri editori. Un altro soggetto, ancora, suggerisce di modificare il criterio reinterpretandolo come criterio che descriva la rilevanza giornalistica della pubblicazione, intesa come contributo che essa fornisce al dibattito pubblico e al corretto funzionamento di una società democratica, in linea con la Direttiva europea; in tale ottica, il rispondente sostiene che il criterio così riformulato potrebbe premiare le iniziative dell’editore volte ad aumentare la credibilità delle sue pubblicazioni, come ad esempio la scelta di rendere nota la testata e/o il nome dell’autore degli articoli. Alcuni soggetti, invece, sottolineano la difficoltà di fornire per il criterio e) una quantificazione oggettiva, tanto da suggerire la sua esclusione dall’elenco dei criteri (v. infra).
Per ciò che riguarda il criterio di cui alla lettera f) dell’articolo 4 dello Schema di regolamento “benefici economici quantificabili di cui si avvalga l’editore anche in considerazione del bacino territoriale di diffusione delle corrispondenti pubblicazioni a stampa”, un soggetto osserva come, nella formulazione dello Schema di regolamento, il criterio possa risultare fuorviante, dal momento che esso sembrerebbe riferirsi ai benefici ottenuti dagli editori grazie alla visibilità fornita dal prestatore in virtù degli effetti di rete, nella fattispecie a livello territoriale, in rapporto al bacino di diffusione delle corrispondenti pubblicazioni a mezzo stampa. Secondo il soggetto, invece, il criterio dovrebbe riferirsi ai benefici economici di cui si avvale il prestatore (enfasi aggiunta) grazie all’editore, in considerazione del bacino territoriale di diffusione delle corrispondenti pubblicazioni a stampa. Con tale formulazione, a parere del rispondente, si valorizzerebbe l’informazione locale e si premierebbero gli editori che operano a più stretto contatto con le comunità locali, favorendo l’accesso dei cittadini a tali importanti fonti di informazione.
In relazione ai criteri di cui alle lettere g) e h) dell’articolo 4 dello Schema di regolamento relativi ai costi sostenuti per investimenti tecnologici da parte dell’editore e del prestatore, un soggetto fa osservare che la valutazione dei costi e l’imputazione a specifiche attività o prodotti è di per sé piuttosto complessa, considerando che quelli tecnologici e infrastrutturali sono generalmente costi fissi, quindi indipendenti, nel caso specifico, dai volumi di pubblicazioni di carattere giornalistico prodotti o dal traffico generato; inoltre, si tratta di costi condivisi tra più attività. Il calcolo può diventare quindi complesso e dispendioso e determinare costi di transazione elevati. In ogni caso, per non ingenerare asimmetrie ingiustificate tra le parti, secondo il rispondente, occorrerebbe adottare lo stesso criterio per entrambe le parti, sia nella definizione del perimetro dei costi da considerare, sia nelle regole di imputazione. Un rispondente, inoltre, evidenzia che i criteri di cui alle lettere g) e h) dovrebbero includere anche i costi per investimenti infrastrutturali come indicato dall’articolo 43-bis. Alcuni soggetti suggeriscono, poi, un ampliamento del perimetro dei costi sostenuti dall’editore: secondo un soggetto questo dovrebbe includere i costi del relativo personale addetto e dovrebbe fare riferimento agli ultimi 3 anni; secondo un altro rispondente il criterio dovrebbe contenere anche i costi per investimenti in infrastrutture, comprensivi dei costi operativi per la realizzazione dei contenuti e del relativo personale addetto, riferiti agli ultimi 5 anni. Inoltre, un altro soggetto propone che il criterio di cui alla lettera h), riferito ai costi del prestatore, sia modificato così da comprendere i costi che scaturiscono dall’utilizzo delle sole pubblicazioni della controparte. Infine, alcuni rispondenti ritengono che debba essere precisato, in relazione ad entrambi i criteri di cui alla lettera g) e h), che essi si riferiscono alle sole pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online oggetto dell’equo compenso; di conseguenza, anche la definizione di prodotto editoriale deve essere modificata per chiarire che il concetto fa riferimento alle sole pubblicazioni diffuse online, oppure va eliminata del tutto e sostituita nell’articolo 4 con il termine “pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online”(v. supra).
Per ciò che attiene al criterio di cui alla lettera i) dell’articolo 4 dello Schema di regolamento “adesione di ciascuna delle parti a codici di condotta, codici etici e standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking maggiormente riconosciuti”, un soggetto evidenzia come, per quanto adeguato, il criterio presenti delle complessità nell’applicazione pratica, vista la difficoltà di definire degli standard condivisi, di conseguenza non dovrebbe essere un criterio prioritario (v. infra). Un altro rispondente suggerisce di includere nel criterio anche l’utilizzo di strumenti di verifica della qualità dell’informazione e di fact-checking che l’editore stesso ha definito e adottato all’interno della sua organizzazione. Un altro soggetto propone di includere quale indicatore per la “misurazione” del criterio anche la decisione editoriale di indicare il nome del giornalista autore della pubblicazione, in luogo di un generico riferimento al team editoriale o alla direzione, così da promuovere una maggiore responsabilizzazione rispetto alla veridicità delle notizie riportate e alla qualità delle stesse, data la diretta riconducibilità dell’articolo ad una persona fisica.
Ancora, un rispondente propone di distinguere il criterio da applicare agli editori da quello applicabile ai prestatori. In relazione a questi ultimi, suggerisce di incorporare nella base di calcolo gli sforzi sostenuti dal prestatore per adottare le migliori pratiche per favorire la qualità dell’informazione, quali l’adesione a codici di condotta, codici etici e standard qualitativi e strumenti di fact-checking riconosciuti a livello internazionale. L’inclusione nella base di calcolo potrebbe avvenire riconoscendo una riduzione della somma da destinare agli editori, in ragione dei costi sostenuti per tali iniziative, che dovrebbe raggiungere un massimo del 15%.
Infine, un soggetto suggerisce alcune integrazioni e modifiche al criterio di cui alla lettera i). In particolare, ritiene che il riferimento ai codici di condotta e ai codici etici, relativamente ai giornalisti, sia troppo generico e debba essere sostituito con un riferimento più puntuale che menzioni i codici deontologici adottati dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Inoltre, suggerisce di operare una distinzione più chiara tra l’adesione dei prestatori a codici di condotta e quella degli editori, trattandosi di strumenti con provenienza e valenza differente nei due casi. Ancora, il criterio i), secondo il rispondente, dovrebbe valutare anche le eventuali violazioni dei codici di condotta e le conseguenti sanzioni disciplinari comminate, nel caso dei giornalisti, dai Consigli di disciplina dell’Ordine dei giornalisti. Oltre all’astratta adesione, infatti, non può non rilevare anche il concreto rispetto dei codici. Il soggetto ritiene, inoltre, che tali considerazioni dovrebbero valere anche ai fini della determinazione dell’equo compenso dovuto agli editori dalle imprese di media monitoring e rassegne stampa (v. infra).
Con riferimento al criterio di cui alla lettera j) dell’articolo 4 dello Schema di regolamento relativo agli anni di attività dell’editore, alcuni rispondenti osservano che il criterio non appare adatto ai fini della determinazione dell’equo compenso, in quanto, da una parte, non rifletterebbe la rilevanza e il valore delle pubblicazioni dell’editore, e, dall’altra parte, non adatto a “misurare” l’autorevolezza di un soggetto nel mondo digitale, comportando peraltro una ingiusta penalizzazione degli editori nativi digitali e comunque delle testate più giovani. Un soggetto, inoltre, ritiene necessario un chiarimento su come il criterio debba essere calcolato, se in riferimento alla società oppure alla testata e come debbano essere trattate le operazioni di cessione di una testata, di chiusura di una società e di avvio di una nuova, o la fondazione di una nuova testata da parte di un editore già esistente. Un soggetto propone di conteggiare gli anni a partire dall’anno di inizio di attività dell’editore, così come certificato da documenti ufficiali (es. visura Camera di Commercio). Inoltre, andrebbe anche preso in considerazione, ai fini della determinazione dell’equo compenso, il numero di anni trascorsi dalla realizzazione del primo sito web riconducibile all’editore. Alcuni soggetti, ancora, propongono delle modifiche del criterio, che non dovrebbe essere circoscritto agli anni di attività maturati nell’editoria digitale, ma piuttosto dovrebbe considerare quelli complessivi, in particolare, secondo un soggetto occorre fare riferimento alla “storicità” della testata, sommando gli anni, a partire dalla prima pubblicazione, di tutte le testate del portafoglio societario. Un altro rispondente suggerisce di rimodulare il criterio, includendo gli anni di attività dell’editore maturati specificamente sulla piattaforma del prestatore, elemento, quest’ultimo, che potrebbe avere un impatto sul valore percepito delle pubblicazioni da parte degli utenti.
Infine, come anticipato nel paragrafo precedente, un soggetto propone l’accorpamento del criterio relativo agli anni di attività con quello inerente al numero dei giornalisti e la collocazione al termine dell’elenco, così da mitigare le perplessità sulla significatività di entrambi ai fini della determinazione dell’equo compenso (v. supra).
ii. Proposte di eliminazione di specifici criteri
Preliminarmente alcuni rispondenti hanno espresso in generale perplessità in merito all’inserimento di criteri che sembrerebbero non aver nulla a che fare con il valore del contenuto e che, quindi, non sarebbero pertinenti ai fini della determinazione dell’equo compenso; alcuni di questi inoltre rischierebbero di creare squilibri disincentivando editori nuovi entranti e favorendo soggetti meno efficienti. In particolare, alcuni di questi rispondenti ritengono che il criterio principale da mantenere sia quello di cui alla lettera a) dell’articolo 4 dello Schema di regolamento, relativo al numero di consultazioni online, e quello di cui alla lettera b) circa i ricavi da traffico di reindirizzamento, che dovrebbe in ogni caso essere spostato nella base di calcolo; diversamente, tutti i criteri che sono legati più alla società che al contenuto giornalistico dovrebbero essere eliminati oppure resi opzionali e non vincolanti per la negoziazione del compenso.
Sono, inoltre, pervenute richieste specifiche di eliminazione di alcuni criteri.
Avuto riguardo al criterio di cui alla lettera b) dell’articolo 4 dello Schema di regolamento “ricavi da traffico di reindirizzamento delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore e relativa incidenza sui ricavi complessivi”, come già evidenziato nella sezione relativa alla base di calcolo (v. supra), numerosi rispondenti ritengono che tale criterio vada eliminato e riportato nella base di calcolo, affinché questa consideri nella giusta misura i benefici che l’editore ottiene dalla circolazione delle pubblicazioni attraverso i servizi del prestatore, così da determinare in modo equo il value gap. Un rispondente, inoltre, ritiene che il criterio debba essere del tutto eliminato dal modello di calcolo dell’equo compenso.
Per ciò che riguarda il criterio di cui alla lettera e) relativo alle pubblicazioni inerenti a tematiche originali, alcuni rispondenti ritengono che esso debba essere eliminato in considerazione delle difficoltà di definire il concetto di “originalità” e di quantificarlo in maniera oggettiva (v. supra). Un soggetto, in particolare, esprime contrarietà all’inserimento di tale criterio perché introdurrebbe elementi di valutazione discrezionali, mancando tra l’altro un sistema che tracci le citazioni, per cui non vi sarebbe un riscontro certo su chi ha pubblicato in anteprima un contenuto. Inoltre, a parere di tale soggetto, il criterio proposto valuterebbe l’originalità in relazione alla tematica trattata, mentre la notizia deve consentire prima di tutto di al lettore di partecipare al dibattito pubblico a prescindere dall’argomento, per cui occorrerebbe valutare piuttosto la qualità, in termini di varietà dell’offerta e presenza di contenuti multimediali e l’originalità dovrebbe intendersi come sforzo e capacità dell’editore di proporre notizie aggiornate in maniera continuativa.
Quanto al criterio di cui alla lettera f) “benefici economici quantificabili di cui si avvalga l’editore anche in considerazione del bacino territoriale di diffusione delle corrispondenti pubblicazioni a stampa”, alcuni soggetti sostengono che esso deve essere eliminato dall’elenco, dal momento che sarebbe in contrasto con le finalità dell’articolo 15 della Direttiva consistente nel colmare il value gap; tale criterio darebbe dunque luogo a dubbi interpretativi così alimentando contestazioni senza comunque essere rilevante per il valore dei contenuti informativi.
Alcuni soggetti propongono di eliminare il criterio di cui alla lettera h) relativo ai costi del prestatore, in quanto questi sono sottratti al controllo diretto dell’editore e non sarebbero altresì coerenti con l’obiettivo della Direttiva europea. Inoltre, un rispondente propone di eliminare entrambi i criteri inerenti ai costi, sia quelli dell’editore (criterio g)), sia quelli del prestatore (criterio h)), con lo scopo di semplificare il più possibile il modello di calcolo evitando peraltro eccessive incombenze connesse alla definizione dei relativi valori.
Un’altra proposta di eliminazione riguarda il criterio i) “adesione di ciascuna delle parti a codici di condotta, codici etici e standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking maggiormente riconosciuti”. Secondo un soggetto, infatti, anche se l’intento di premiare la qualità dell’informazione è lodevole, ogni valutazione su tale aspetto esula dalla normativa sul diritto d’autore.
Infine, alcuni rispondenti suggeriscono l’eliminazione del criterio di cui alla lettera j) inerente agli anni di attività dell’editore, poiché questi non hanno a che vedere con il valore dei contenuti e la qualità dell’attività svolta.
iii. Proposte di inserimento di nuovi criteri
Diversi soggetti hanno formulato proposte di inserimento di nuovi criteri.
Alcuni propongono di inserire un criterio specifico che misuri la rilevanza dell’editore (in termini di audience) sulla piattaforma di social media.
Alcuni altri soggetti suggeriscono di includere un criterio che misuri l’ampiezza dell’offerta dell’editore intesa come numero di articoli pubblicati sulle testate cartacee e online dell’editore.
Un rispondente, inoltre, propone di sostituire il criterio e) relativo al numero di pubblicazioni su tematiche originali con un altro criterio che esprima il numero di pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore rientranti nell’ambito della tutela di cui alla legge sul diritto d’autore.
Un’ulteriore proposta riguarda l’inserimento di un criterio che misuri la rilevanza degli editori storici locali nei rispettivi territori.
Ancora, un soggetto propone di inserire tra i criteri uno specifico riferimento alla porzione di testo utilizzata rispetto al testo completo del contenuto, utile per remunerare tutti questi estratti di testo che non sono tuttavia considerabili come estratti brevi.
Secondo un rispondente, infine, tra i criteri bisognerebbe includerne uno sul valore economico dell’utilizzo dei diritti nel commercio, tenendo in considerazione la natura e la portata dell’utilizzo. Tale criterio sarebbe coerente con quanto prevede la Direttiva UE 2014/2 (articolo 16 e considerando 31) in materia di licenze, permettendo altresì un allineamento tra negoziazioni individuali e collettive, e con quanto emerge dalla giurisprudenza dell’Unione europea sulla questione del compenso dovuto per l’utilizzo di contenuti protetti. Il criterio, secondo il soggetto proponente, potrebbe essere implementato utilizzando una serie di indicatori: il numero di caratteri della pubblicazione il cui utilizzo è consentito al prestatore; l’ambito di utilizzo della pubblicazione (senza limitazioni / con eccezioni); il valore economico generato dalla pubblicazione (comporta/ non comporta traffico di reindirizzamento); il valore dei diritti nel commercio emergente da accordi per utilizzi simili/prodotti simili o per il medesimo utilizzo in altri territori.
iv. Ordinamento dei criteri
Secondo alcuni soggetti nessun ordinamento dei criteri dovrebbe essere previsto, né pesi differenti, mentre sarebbe opportuno lasciare libertà in sede negoziale di utilizzarli in maniera flessibile, eventualmente anche cumulativa, riducendone in ogni caso il numero, e comunque in base alle esigenze delle parti. In particolare, secondo un soggetto, si dovrebbe tener conto delle discriminazioni che possono derivare dall’ordinamento, a danno soprattutto degli editori di medie e piccole dimensioni. Dunque, eventualmente si dovrebbero attribuire pesi diversi a ciascun criterio in ragione della dimensione dell’editore, con l’obiettivo di spronarli a fornire un’informazione di qualità e verificata e di premiare quelli che investono in contenuti originali e che compiono sforzi effettivi in relazione all’innovazione tecnologica. Un altro rispondente evidenzia come la stessa Autorità dovrebbe avere la possibilità di applicare i criteri con una certa flessibilità. Un soggetto, invece, ritiene che debba essere eliminato del tutto il comma 3 dell’articolo 4 dello Schema di regolamento.
Alcuni rispondenti manifestano dubbi relativamente alla posizione di rilievo che è stata attribuita nello Schema di regolamento al numero di consultazioni online (criterio di cui alla lettera a) dell’articolo 4). Infatti, pur condividendo il ragionamento dell’Autorità per cui tale criterio intende riconoscere un più elevato livello di remunerazione agli editori che hanno un maggior seguito, tuttavia esso contiene in sé il rischio di attribuire eccessiva enfasi all’aspetto quantitativo, il che, se non mitigato da aspetti di natura qualitativa, può dar luogo a comportamenti opportunistici a danno della qualità dell’informazione. Per tale ragione, un soggetto, in particolare, propone di bilanciare tale potenziale effetto negativo collocando più in alto nel ranking, alla lettera c), il criterio di cui alla lettera i) relativo all’“adesione di ciascuna delle parti a codici di condotta, codici etici e standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking maggiormente riconosciuti”. A parere di un soggetto, invece, il criterio di cui alla lettera i) dovrebbe avere meno rilevanza, considerata l’assenza di standard condivisi che ne consentano una “misurazione”.
Alcuni soggetti, inoltre, sostengono che l’ordinamento andrebbe rivisto poiché esso dovrebbe privilegiare i criteri che hanno a che vedere con la qualità della produzione, per cui andrebbero collocati ai primi posti criteri quali il numero di giornalisti, i costi dell’editore, gli anni di attività. Alcuni altri soggetti, ancora, ritengono che il criterio relativo al numero di pubblicazioni su tematiche originali (criterio di cui alla lettera e)) dovrebbe aver maggior rilievo nell’ordinamento.
Infine, alcuni rispondenti fanno osservare che i costi dell’editore (criterio di cui alla lettera g)) e quelli del prestatore (criterio di cui alla lettera h)) dovrebbero essere posti sullo stesso piano quanto alla posizione nell’ordinamento e, inoltre, dovrebbe essere riconosciuta loro maggiore rilevanza, collocandoli al primo o al secondo posto nell’elenco.
Sulle fonti e sulla periodicità delle informazioni
Diversi soggetti evidenziano che le informazioni che alimentano il modello di calcolo dell’equo compenso dovrebbero essere asseverate da fonti terze, verificabili e imparziali (ad esempio i bilanci, il Registro degli operatori di comunicazione, le Camere di commercio, gli organismi di rilevazione delle audience o delle tirature come Audiweb e ADS).
Nello specifico, un soggetto manifesta preoccupazioni per ciò che riguarda la rilevazione dell’audience online necessaria a misurare la rilevanza dell’editore, in quanto si tratta i dati ottenibili da Audiweb o da Comscore, che tuttavia presentano dei costi notevoli per l’editore che intende aderirvi e adottano peraltro metodologie diverse, il che renderebbe difficile utilizzarli alternativamente. Inoltre, fa notare che anche informazioni certificate relative al tipo di contratto collettivo cui aderiscono i giornalisti sono di difficile reperimento.
Alcuni soggetti segnalano che taluni dati, in particolare quelli relativi al numero di consultazioni online e al traffico di reindirizzamento, si possono ottenere esclusivamente attraverso gli strumenti resi disponibili dai prestatori, che tuttavia sono anche la controparte nelle negoziazioni; di conseguenza, sarebbe opportuno che si utilizzassero almeno fonti terze, sottoposte anche al controllo dell’Autorità. Al riguardo, alcuni rispondenti propongono che l’Autorità effettui delle verifiche sui dati dietro richiesta di una parte.
Riguardo alla disponibilità dei dati, alcuni soggetti sottolineano che alcune informazioni sono nella esclusiva disponibilità degli editori che dovrebbero condividerli per poter dare seguito alle negoziazioni (v. infra, articoli 5 e 7, obblighi di comunicazione e di informazione).
Per ciò che riguarda la periodicità delle informazioni che alimentano il modello di calcolo dell’equo compenso, alcuni rispondenti ritengono che il periodo di riferimento dei dati dovrebbe essere il medio periodo, ovvero gli ultimi 3-5 anni, per dare stabilità al valore dell’equo compenso e favorire la pianificazione di investimenti. Secondo alcuni altri rispondenti, la periodicità dovrebbe cambiare in ragione dello specifico criterio e dovrebbe restare comunque flessibile per tener conto delle situazioni specifiche, oltre che della disponibilità stessa dei dati che può subire variazioni. Eventualmente si dovrebbe comunque tener conto che la durata dei diritti è biennale. Secondo altri soggetti, infine, è utile individuare un arco temporale di riferimento dei dati; a parere di alcuni rispondenti questo potrebbe coincidere con i 12 mesi che precedono l’avvio della negoziazione.
Osservazioni dell’Autorità
Sulla determinazione dell’equo compenso: osservazioni di carattere generale
Alla luce delle osservazioni di carattere generale formulate dai rispondenti sulle modalità di determinazione dell’equo compenso previste dall’articolo 4 dello Schema di regolamento, si ritiene di condividere e accogliere parte dei suggerimenti sottoposti.
In particolare, è utile precisare che l’articolo 4 ha in primis l’obiettivo di illustrare e chiarire ex ante, in maniera trasparente a tutti gli attori di mercato coinvolti, gli elementi costitutivi dell’iter logico-giuridico dell’Autorità qualora essa sia chiamata a definire l’equo compenso in caso di mancato accordo tra le parti. Il modello di calcolo su cui si fonda quanto espresso nell’articolo 4, dunque, rappresenta innanzitutto uno schema concettuale da applicare al caso specifico, con gli inevitabili adattamenti dovuti alle peculiarità delle parti di volta in volta coinvolte. Inoltre, in coerenza con il ruolo di facilitatore attribuito dall’articolo 43-bis all’Autorità, ai fini della conclusione di accordi volontari e reciprocamente vantaggiosi tra editori e prestatori di servizi della società dell’informazione, il modello sotteso all’articolo 4 può altresì costituire una guida, ove ritenuto utile dalle parti, per la definizione dell’equo compenso in via negoziale. Premesso ciò, si ribadisce quanto già evidenziato nella Delibera n. 195/22/CONS, ovvero che “l’equo compenso è, in via preliminare, oggetto di una libera negoziazione tra le parti che, nel pieno esercizio della loro autonomia contrattuale, possono addivenire ad un accordo che “può” tenere conto “anche” dei criteri indicati dall’Autorità nel Regolamento”, in linea anche con la ratio sottesa alla formulazione dell’articolo 15 della Direttiva copyright.
Un’ulteriore precisazione riguarda la scelta del modello per la determinazione dell’equo compenso. Il modello sotteso all’articolo 4 si fonda sul meccanismo del revenue sharing, in genere in uso nelle negoziazioni tra privati anche in contesti analoghi a quello in cui si inserisce l’equo compenso, laddove, in tal caso, oggetto della remunerazione è il diritto di riproduzione e di comunicazione al pubblico delle pubblicazioni di carattere giornalistico utilizzate online dai prestatori di servizi della società dell’informazione, ivi comprese le imprese di media monitoring e rassegne stampa.
Peraltro, il modello del revenue sharing (così come quelli del profit sharing o earnings sharing) non è un metodo estraneo alla regolamentazione economica. Tale meccanismo, infatti, è utilizzato in special modo nella regolamentazione delle public utilities in situazioni specifiche, spesso in luogo di modelli incentivanti come il price cap. Nel contesto regolamentare, il modello prevede che l’impresa regolata rinunci a una parte dei propri ricavi (o del proprio profitto) trasferendo quest’ultima ai consumatori attraverso prezzi dei servizi più bassi. La porzione di ricavi che è “sottratta” all’impresa è stabilita in base a regole di efficienza economica che mirano a ridurre la perdita di benessere del consumatore conseguente al potere di mercato dell’impresa regolata.
In particolare, la scelta del revenue sharing come metodo di riferimento trova ragione nel ruolo attribuito all’Autorità dalla legge in relazione alla determinazione dell’equo compenso. Infatti, da un punto di vista normativo, il compito dell’Autorità nell’ambito delle disposizioni dell’articolo 43-bis, in coerenza con la ratio della Direttiva europea, non consiste nell’applicazione di misure di regolamentazione economica, per cui l’equo compenso non può (e non deve) essere considerato alla stregua di un prezzo regolamentato imposto dall’Autorità. Né una tale azione risulterebbe adeguata, non essendo in presenza di una situazione di fallimento di mercato, che richiede l’intervento pubblico nel meccanismo di determinazione e controllo dei prezzi per il raggiungimento di un equilibrio economico, o di un’essential facility a cui occorre garantire l’accesso in termini economicamente sostenibili per una pluralità di soggetti. Oggetto è, piuttosto, il diritto dell’editore a vedersi riconosciuta, nell’ambito di accordi volontari privati, una remunerazione equa per l’utilizzo online delle sue pubblicazioni da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione.
L’intervento pubblico, in tal senso, si giustifica, da un punto di vista del benessere sociale, per l’esistenza di un interesse collettivo a tutelare una stampa libera e pluralista che “è essenziale per garantire un giornalismo di qualità e l’accesso dei cittadini all’informazione e da un contributo fondamentale al dibattito pubblico e al corretto funzionamento di una società democratica”. Se tale è la finalità, l’Autorità si inserisce in questo disegno con un ruolo di assistenza al sistema negoziale privato, in cui possono intervenire imperfezioni di mercato da tenere in considerazione, come in particolar modo lo squilibrio di potere contrattuale tra le parti, ma il perimetro dell’azione regolamentare è pur sempre la tutela del diritto d’autore.
Alla luce di queste osservazioni è, quindi, evidente che l’applicazione di tale modello (utilizzato come detto tanto in ambito privato quanto in ambito regolamentare sebbene con finalità e modalità differenti), richiede, ai fini della determinazione dell’equo compenso, alcuni adattamenti necessari a rispondere alle finalità della legge in tale contesto. In particolare, l’approccio dell’Autorità dovrebbe ispirarsi alle pratiche di mercato in uso negli accordi tra privati, laddove, da un punto di vista metodologico, non è applicabile la logica della regolamentazione classica dei prezzi, il cui fine, come sopra ricordato, è, di norma, il ripristino delle condizioni di efficienza economica attraverso il controllo del potere di mercato.
Emerge, dunque, la necessità di bilanciare interessi di natura pubblicistica derivanti dalla rilevanza dell’informazione come bene costituzionalmente garantito, con l’interesse (privato) delle parti a negoziare liberamente accordi reciprocamente vantaggiosi, per cui il modello di riferimento del revenue sharing deve necessariamente essere adattato. A tal fine, sebbene la struttura complessiva del modello sia assimilabile a quella utilizzata nell’ambito di accordi privati, ovvero è determinata attraverso l’applicazione di un’aliquota ad una base di calcolo (che di norma coincide con i ricavi della parte che è tenuta a corrispondere il compenso), vengono introdotti alcuni correttivi per adeguarsi al caso specifico. Al contempo, l’aliquota è definita sulla base di una serie di criteri, individuati dalla legge, su cui intervengono, come si dirà nel seguito, considerazioni che mirano a tutelare il diritto d’autore anche nella prospettiva dell’interesse pubblico e della tutela del pluralismo dell’informazione.
In relazione alle osservazioni espresse dai soggetti in merito all’opportunità di calibrare il modello di calcolo in virtù dell’eterogeneità esistente tra gli editori, si ritiene di poter accogliere quanto evidenziato, operando dei chiarimenti ed effettuando delle integrazioni all’articolo 4 che tengano in considerazione le differenze emerse tra editoria generalista ed editoria di settore, tra agenzie di stampa ed altre tipologie di editori, tra editori piccoli e/o locali e grandi gruppi editoriali, tra editori nativi digitali ed editori “tradizionali”. Tali differenze possono essere adeguatamente tenute in considerazione nella determinazione dell’equo compenso sui singoli casi specifici, data la flessibilità applicativa del modello, intervenendo su tutti i suoi elementi costitutivi: sulla composizione della base di calcolo, sul valore dell’aliquota, sulla definizione dei criteri e sull’individuazione di adeguati indicatori per la loro misurazione, come discusso più avanti.
Per quanto concerne le differenze tra prestatori evidenziate dai soggetti rispondenti, pur essendo acclarato che esistono delle diversità strutturali tra tipologie di prestatori, in particolare circa le modalità di funzionamento dei relativi servizi e i modelli di business, che possono ragionevolmente incidere sull’entità del value gap, tuttavia sul piano sostanziale, ancor prima che sul piano giuridico-formale, non si reputa che le diversità siano tali da richiedere una differenziazione radicale delle modalità di determinazione dell’equo compenso. Nondimeno, una certa flessibilità deve essere riconosciuta in ordine alle metodologie per la determinazione della base di calcolo che devono essere adeguate alle specificità di funzionamento dei servizi del prestatore e, in particolare, di quelle che riguardano i meccanismi di allocazione e di compravendita della pubblicità online. Ulteriori precisazioni, inoltre, sono opportune in merito agli indicatori di misurazione di alcuni criteri, i cui aspetti di dettaglio sono trattati nelle sezioni seguenti.
Quanto alle esigenze di semplificazione del modello di calcolo sollecitate dai soggetti rispondenti e alle richieste di una metodologia oggettiva e rigorosa, fondata su dati e valori certi, che premi l’autorevolezza e la qualità di contenuti, si reputano del tutto condivisibili tali istanze e si ritiene di poter operare delle integrazioni e delle modifiche all’articolo 4 che ad esse rispondano. Pur tuttavia occorre osservare che le modalità di determinazione dell’equo compenso devono tener conto di una serie di fattori di complessità: i diversi e delicati interessi in gioco, l’eterogeneità dei soggetti coinvolti, le difficoltà di quantificazione delle grandezze che sono alla base della determinazione dell’equo compenso, la necessità di mettere a sistema svariati indicatori provenienti da una pluralità di fonti.
Quanto alla proposta avanzata da alcuni soggetti di un modello alternativo di calcolo, consistente nella definizione di una base di calcolo complessiva per ciascun prestatore, destinata all’intera platea degli editori aventi diritto e da ripartire poi direttamente (o previa applicazione di un’aliquota) tra questi in base ai criteri di riferimento, si ritiene che tale modello, ancorché possa apparire di più agevole utilizzo anche ai fini della determinazione della base – nella misura in cui si tratterebbe di individuare una somma aggregata e non per singolo editore, e non prevederebbe, eventualmente, alcuna aliquota, permettendo in prima battuta un utilizzo più agevole dei criteri – si adatterebbe al solo caso di accordi collettivi o di accordi quadro, lasciando fuori quelli tra singolo prestatore e singolo editore. Il modello di determinazione dell’equo compenso, invece, dovrebbe restare sufficientemente generale da essere potenzialmente applicabile a ogni tipologia di accordo liberamente scelta dalle parti. Su tale punto, in base alle osservazioni ricevute, si cercherà di fornire ogni utile specificazione che consenta di adattare il modello di cui all’articolo 4 alle diverse situazioni negoziali potenzialmente possibili.
Inoltre, si rileva come l’applicazione da parte dell’Autorità del modello alternativo proposto dai rispondenti, in caso di un suo intervento come previsto dall’articolo 43-bis, comporterebbe in ogni caso delle complessità. Infatti, la base di calcolo si arricchirebbe di componenti ulteriori: oltre ai ricavi del prestatore (“diretti” e “indiretti”) si dovrebbero considerare i costi del prestatore ed eventualmente anche i ricavi (“diretti” e “indiretti”) degli editori. Al riguardo, la determinazione dei benefici degli editori in forma aggregata non consentirebbe di tenere nella giusta considerazione la distribuzione di tali benefici all’interno della platea degli editori stessi, la quale è piuttosto composita e annovera imprese diverse sotto diversi aspetti (es. dimensione e modello di business), incidendo sull’equità del compenso. In relazione ai criteri, ancora, ciascuno di essi dovrebbe contribuire alla distribuzione dell’equo compenso tra gli editori e, dunque, occorrerebbe comunque stabilire dei parametri per suddividere gli editori in scaglioni, con difficoltà non dissimili a quelle del modello disegnato all’articolo 4.
Occorre, infine, sottolineare che prestatori ed editori possono ben decidere di concludere liberamente accordi quadro o collettivi (eventualmente anche secondo il modello alternativo qui discusso), che in taluni casi presentano altresì numerosi vantaggi, specie per i soggetti più piccoli su cui gravano maggiormente i costi di transazione e che detengono minor potere negoziale.
Sulla base di calcolo
Considerate le diverse posizioni emerse sulla composizione della base di calcolo, si ritiene di accogliere le osservazioni della maggior parte dei rispondenti in merito all’opportunità di circoscriverne il perimetro ai soli ricavi pubblicitari del prestatore riconducibili in maniera “diretta” alle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore utilizzate online, al fine di semplificare la determinazione della base di calcolo e di conferire maggiore certezza alla definizione dell’equo compenso nonché, in definitiva, di perseguire gli obiettivi che le norme europea e nazionale si prefiggono attraverso, rispettivamente, l’articolo 15 della Direttiva e l’articolo 43-bis LDA.
Sul punto, è opportuno chiarire che è indubbia l’esistenza di benefici, anche non monetari, sia diretti sia indiretti, che derivano al prestatore dall’utilizzo online dei contenuti informativi degli editori. Quelli diretti sono riferibili, in particolare, ai ricavi pubblicitari che il prestatore ottiene grazie all’attrattività esercitata sugli utenti dai contenuti degli editori (che sul versante pubblicitario si traduce in ritorni economici provenienti dagli inserzionisti). I benefici indiretti, invece, sono riconducibili agli effetti di rete diretti e indiretti generati dai contenuti editoriali che, allargando la base utenti della piattaforma, permettono al prestatore di acquisire big data, i quali a loro volta producono una serie di benefici (quali, inter alia, i ricavi dalla vendita di dati a terzi, le economie di scala e di scopo connesse al volume e alla varietà dei big data, i miglioramenti nella qualità dei servizi offerti sui diversi versanti, una maggiore efficienza dei servizi di intermediazione pubblicitaria).
In merito ai vantaggi derivanti dai dati, il panorama regolamentare europeo in materia di piattaforme digitali, allo stato in fase di definizione, (si pensi al DSA, al DMA e alle altre iniziative legislative in corso di approvazione, come il Data Act) riconosce l’esistenza di tali vantaggi. Nel DMA, in particolare, i vantaggi basati sui dati costituiscono uno degli elementi da considerare nella valutazione ai fini della designazione dei gatekeeper (considerando 25 e articolo 3, comma 8 del DMA), in quanto possono produrre degli effetti sulla contendibilità dei servizi di piattaforma di base e sull’equità del rapporto commerciale (v. considerando 2 del DMA).
Con specifico riferimento all’ordinamento nazionale, per ciò che concerne i ricavi derivanti dalla vendita di dati, giova rilevarsi che l’articolo 1, commi da 35 a 50, della legge n. 145/2018 (come modificato dall’articolo 1, comma 678, della legge n. 160/2019) ha introdotto l’imposta sui servizi digitali. A questa norma hanno fatto seguito il provvedimento dell’Agenzia delle entrate 15 gennaio 2021 e la circolare della medesima Agenzia n. 3 del 23 marzo 2021 che hanno definito il modello della dichiarazione, fornendo i dettagli per chiarire l’ambito di applicazione soggettivo e oggettivo della norma medesima. Quanto all’ambito oggettivo, tre sono le fattispecie rilevanti ai fini dell’imposizione fiscale: la pubblicità online (intesa come veicolazione su un’interfaccia digitale di pubblicità mirata agli utenti della medesima interfaccia); i servizi di intermediazione tra utenti (intesi come la messa a disposizione di un’interfaccia digitale multilaterale che consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni o servizi); la trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale. Proprio in relazione alla terza fattispecie, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che il riferimento è fatto alla “trasmissione a titolo oneroso dei dati degli utenti”, dando quindi contezza del valore che i dati degli utenti hanno per il prestatore di servizi, dati acquisiti attraverso la fruizione da parte degli utenti medesimi dei servizi offerti e che costituiscono poi oggetto di negoziazioni a titolo oneroso. L’imposizione fiscale fornisce, dunque, una indicazione chiara sul valore dei dati come fonte di ricavo. Nondimeno, a fronte della astratta rilevanza dei benefici derivanti dall’acquisizione e dal possibile utilizzo dei dati degli utenti, non può tuttavia non rilevarsi come, ai fini del Regolamento in esame, risulti particolarmente difficile e oneroso operarne una quantificazione. Infatti, sebbene queste tipologie di ricavi siano potenzialmente rilevanti ai fini della determinazione dell’equo compenso, va tuttavia sottolineato che è estremamente complesso individuare un metodo di attribuzione alle pubblicazioni degli editori, il che implica, come già detto, il rischio di incorrere in costi di transazione eccessivi e fonte di potenziali contenziosi.
Peraltro, se anche si considerano gli studi scientifici sul valore delle esternalità di rete e sul valore dei dati, gli approfondimenti istruttori hanno evidenziato come, allo stato attuale, questi non offrano indicazioni sufficienti per mettere a punto un metodo robusto e condiviso di stima dei benefici indiretti connessi alla diffusione delle notizie online.
Occorre comunque osservare che l’evoluzione dei modelli di business, anche associata all’ingresso di nuove tipologie di prestatori, potrebbe nel tempo richiedere un aggiustamento della base di calcolo, ad esempio per l’emergere di altre categorie di ricavi, compresi quelli provenienti da pagamenti diretti degli utenti, oppure per la sopravvenuta possibilità di quantificare alcune tipologie di benefici indiretti. In tale ottica, l’articolo 4 dovrebbe essere all’occorrenza aggiornato, come previsto dall’articolo 14 del Regolamento.
Per quanto riguarda le osservazioni formulate da numerosi soggetti rispondenti circa la riconduzione alla base di calcolo del criterio di cui alla lettera b) dell’articolo 4 relativo ai ricavi da traffico di reindirizzamento dell’editore, si ritiene di poter accogliere le indicazioni pervenute in tal senso, modificando la composizione della base di calcolo ed esprimendola, dunque, come differenza tra i ricavi pubblicitari del prestatore, derivanti dalle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore, e i relativi ricavi da traffico di reindirizzamento di quest’ultimo. Ciò al fine di non distorcere la struttura degli incentivi del prestatore nella distribuzione del traffico finendo per privilegiare quello proveniente dai propri servizi ed evitare di penalizzare gli editori stessi, soprattutto quelli per i quali il traffico di reindirizzamento costituisce una parte rilevante del traffico complessivo generato. La platea degli editori, da questo punto di vista, appare estremamente eterogenea e l’inclusione nella base di calcolo dei ricavi da traffico di reindirizzamento consente di tenere in giusta considerazione tale diversità.
Al riguardo vale osservare che il traffico da reindirizzamento è da alcuni editori considerato come una perdita di opportunità di contatto diretto con l’utente e, dunque, come una sottrazione di traffico diretto a svantaggio dell’editore stesso; secondo altre posizioni la visibilità offerta dalle piattaforme dei prestatori non sarebbe comunque paragonabile a quella che gli editori sarebbero in grado di ottenere in assenza di queste, per cui il traffico da reindirizzamento costituirebbe un vantaggio netto.
Sebbene su tale punto, molto controverso, non siano emerse ad oggi evidenze univoche, si deve in ogni caso sottolineare che il prestatore, nell’indirizzare il traffico sul sito web dell’editore, acquisisce dati che rappresentano un valore, tanto più che si tratta di dati riferiti ad un target molto specifico di utenti. Inoltre, la capacità di monetizzazione del traffico di reindirizzamento è molto variabile all’interno della platea degli editori, anche in ragione dei diversi modelli di business adottati e delle strategie di valorizzazione dei contenuti. In particolare, anche lì dove gli editori adottino policy che prevedono l’accesso ai contenuti previa la sottoscrizione di un abbonamento (il cosiddetto paywall) o, in alternativa, il rilascio del consenso all’installazione di cookie e altri strumenti di tracciamento dei dati personali (il cosiddetto cookie wall), la capacità di valorizzazione dei dati da parte degli editori non è paragonabile al valore dei big data di cui dispone il prestatore, connesso anche alle capacità di sfruttamento degli stessi. Non solo, ma la capacità di acquisizione dei dati del prestatore è di gran lunga superiore poiché gode del vantaggio di poter ottenere a monte il consenso al trattamento di tutti i dati dell’utente, anche in relazione ai diversi servizi che compongono la piattaforma.
Per quanto riguarda la quantificazione dei ricavi da traffico di reindirizzamento ai fini della determinazione dell’equo compenso, si evidenzia che questa deve tener conto delle diverse modalità di monetizzazione da parte dell’editore. In particolare, pare opportuno circoscrivere i ricavi pubblicitari connessi al traffico da reindirizzamento generato dalle pubblicazioni di carattere giornalistico utilizzate online dal prestatore, dal momento che sarebbe difficile e fonte di incertezza stimare i ricavi eventualmente ottenuti da abbonamenti degli utenti riconducibili al traffico di reindirizzamento; peraltro, questi rappresentano al momento una quota minoritaria dei ricavi generati online dagli editori. In fase applicativa si tratta dunque di individuare i ricavi pubblicitari online prodotti dal sito web dell’editore, che provengono dal traffico indirizzato dal prestatore controparte, in relazione ai contenuti oggetto di equo compenso. Inoltre, i ricavi pubblicitari ottenuti dall’editore grazie al traffico di reindirizzamento dovrebbero essere valutati al netto della quota retrocessa all’intermediario pubblicitario, qualora esso coincida con il prestatore controparte nella negoziazione per i diritti connessi all’utilizzo online delle pubblicazioni, al fine di considerare il vantaggio effettivamente conseguito dall’editore derivante dal traffico di reindirizzamento. Dal punto di vista metodologico, il calcolo dei ricavi provenienti dal traffico di reindirizzamento non può prescindere dall’utilizzo di dati di traffico che, in prima battuta, sono nella disponibilità dello stesso prestatore; di conseguenza, l’editore deve poter accedere a tali dati attraverso i servizi forniti da soggetti terzi accreditati, che adottino metodologie corrette, trasparenti e verificabili. In ogni caso, è ritenuta buona prassi che il prestatore metta a disposizione dell’editore i dati sul traffico in maniera continuativa e senza eccessivi oneri.
Con riferimento alla determinazione dei ricavi pubblicitari del prestatore, è utile anche in tal caso chiarire che le metodologie di calcolo possono differire tra prestatori in funzione del modello di business e dei meccanismi di allocazione della pubblicità sui servizi del prestatore. Al riguardo, è utile osservare che sui social network, ad esempio, la pubblicità è venduta e allocata non tanto in relazione a un determinato contenuto (come invece accade nei servizi di motori di ricerca), ma piuttosto in base alle caratteristiche dell’audience scelta dall’inserzionista. In tale modello di business, infatti, è centrale l’utente con le sue preferenze, interessi, contatti, scelte passate, ed è il valore dell’utente considerato nel suo complesso che viene monetizzato attraverso il sistema della pubblicità online.
In tale ottica, si può prefigurare uno scenario in cui il prestatore è in grado di individuare i contenuti oggetto di equo compenso dell’editore controparte e di attribuire ad essi i relativi ricavi pubblicitari. Laddove la possibilità di abbinare i ricavi pubblicitari ai contenuti oggetto di equo compenso dell’editore controparte presentasse delle difficoltà, il prestatore dovrebbe individuare un diverso metodo di stima che, ad esempio, partendo dalla quantificazione della somma aggregata per la totalità dei contenuti potenzialmente oggetto di equo compenso circolanti sui suoi servizi, ripartisca la stessa tra i diversi editori presenti, mediante opportuni driver di imputazione (ad esempio basati sulle metriche di utilizzo delle pubblicazioni), per giungere ai ricavi attribuibili all’editore controparte nella negoziazione.
In considerazione delle differenze esistenti all’interno della platea dei prestatori così come in quella degli editori, anche in termini di modelli organizzativi e sistemi aziendali, si ritiene di dover lasciare un margine di flessibilità ai dettagli metodologici per la quantificazione delle componenti della base di calcolo, anche in vista della possibile scelta delle parti di stipulare accordi collettivi o accordi quadro.
La metodologia adottata deve essere in ogni caso ragionevole, trasparente e adeguatamente motivata e, in caso di attivazione della procedura di intervento da parte dell’Autorità per la definizione dell’equo compenso come prevista dall’art 43-bis e disciplinata dal Capo IV del Regolamento, tutte le informazioni necessarie a verificarla, ripercorrendone i passaggi, ed eventualmente rettificarla devono essere fornite all’Autorità dalla relativa parte interessata.
In linea con il compito di “facilitatore” attribuito dal legislatore nazionale, e nell’ambito di quanto previsto dall’articolo 3 del Regolamento, l’Autorità può avviare interlocuzioni, anche al di fuori della procedura di cui al Capo IV del Regolamento, con gli attori di mercato coinvolti nell’applicazione delle disposizioni sull’equo compenso, finalizzate all’individuazione di soluzioni metodologiche ragionevoli, trasparenti e condivise.
Sull’aliquota
Alla luce delle osservazioni pervenute in merito all’opportunità di prevedere un’aliquota, si ritiene di dover confermare l’impostazione dell’articolo 4 sia pure con alcune precisazioni. La presenza di un’aliquota, infatti, più che irrigidire il sistema ha, al contrario, l’obiettivo di rendere flessibile lo schema di determinazione dell’equo compenso, adattandolo alle diverse esigenze delle parti e alle diverse caratteristiche tanto dei prestatori quanto degli editori, facilitando al contempo l’instradamento delle negoziazioni. Affinché tale obiettivo venga raggiunto, si ritiene di dover individuare un valore massimo di riferimento di presuntiva congruità per poter modulare l’equo compenso e raggiungere un equilibrio, in termini di vantaggi reciproci, che tenga conto dell’eterogeneità delle parti coinvolte nell’accordo. Si ritiene, in tale ottica, di non indicare un valore minimo dell’aliquota, per lasciare ampia flessibilità alle negoziazioni preservando, in tal modo, la libertà negoziale e promuovendo, al contempo, un’adeguata valorizzazione di tutti gli elementi e, in primo luogo, del valore dell’informazione, rilevante ai fini della tutela del pluralismo.
In base alle osservazioni espresse in consultazione, inoltre, non si ritiene opportuno accogliere la proposta di alcuni rispondenti di eliminare l’aliquota a fronte dell’individuazione di una componente fissa legata ai costi dell’editore, agli anni di attività sul mercato e al numero di giornalisti e di una componente variabile graduata per tener conto dei diversi tipi di prestatori, utilizzando i parametri dell’articolo 17 della Direttiva (articolo 102-octies LDA). Tale schema non sembra adatto al contesto nel quale il modello deve essere applicato, poiché svincolerebbe l’equo compenso dal value gap e dalla valorizzazione dei contenuti editoriali e la legherebbe eccessivamente alla struttura d’impresa dell’editore, con potenziali squilibri tra le diverse tipologie di editori. Inoltre, per quanto attiene al rischio di impresa cui il compenso sarebbe esposto, essendo esso dipendente dai ricavi del prestatore in base a quanto previsto dall’articolo 4, è utile ricordare che l’equo compenso è oggetto di una libera negoziazione tra le parti e, in tale ambito, la monetizzazione delle pubblicazioni dell’editore da parte del prestatore costituisce prevedibilmente una delle precondizioni affinché vi sia incentivo a concludere (o rinnovare) un accordo per l’utilizzo online delle suddette pubblicazioni. In assenza di tale convenienza, né il prestatore né lo stesso editore si troverebbero ragionevolmente a negoziare.
Ai fini dell’individuazione del valore massimo di riferimento dell’aliquota, le posizioni espresse dai rispondenti risultano piuttosto diversificate. Come già anticipato, da un punto di vista normativo, il compito dell’Autorità nell’ambito delle disposizioni dell’articolo 43-bis, in coerenza con la ratio della Direttiva europea, non consiste nell’applicazione di misure di regolamentazione economica, per cui l’equo compenso non può (e non deve) essere considerato alla stregua di un prezzo regolamentato imposto dall’Autorità. Tale considerazione implica che l’approccio dell’Autorità si ispiri alle pratiche di mercato in uso negli accordi tra privati. Al tempo stesso, occorre considerare anche le imperfezioni del mercato che determinano uno squilibrio di potere contrattuale tra editori e prestatori, nonché l’interesse pubblico connesso alla tutela del diritto d’autore e consistente nel fornire i giusti incentivi alla creazione di opere e all’innovazione, insieme con l’interesse pubblico a garantire che i cittadini abbiano accesso a una stampa libera e pluralista. In definitiva, nella determinazione dell’aliquota occorre operare un attento bilanciamento di interessi.
In tale quadro, appare in generale condivisibile la posizione espressa dai rispondenti che hanno suggerito l’adozione del metodo del benchmarking come riferimento da cui partire per individuare dei valori di presuntiva congruità dell’aliquota. Nondimeno, il benchmarking può costituire un punto di riferimento su cui vanno innestate considerazioni inerenti agli interessi di natura pubblicistica su menzionati.
In relazione alle osservazioni dei rispondenti riguardo ai valori che l’aliquota dovrebbe assumere, non pare accoglibile il ragionamento secondo il quale la funzione del prestatore dovrebbe essere assimilata, ai fini della determinazione dell’equo compenso, a quella di un carrier di contenuti o di un intermediario della filiera della pubblicità online. Questo ragionamento non sembra del tutto applicabile al caso in oggetto, dal momento che la remunerazione prevista dal Regolamento (l’equo compenso) riguarda lo sfruttamento economico dei diritti di riproduzione e di comunicazione al pubblico dei contenuti dell’editore, che possono inquadrarsi, tra l’altro, in accordi di più ampio respiro con il prestatore. Nei casi sopra citati oggetto delle negoziazioni, invece, sono servizi di intermediazione. Inoltre, vi è da dire che il ruolo del prestatore nella diffusione online dei contenuti giornalistici ha una rilevanza sia per l’editore sia per la collettività che deve essere tenuta in considerazione.
Per quanto riguarda i suggerimenti formulati dai rispondenti in merito all’utilizzo delle aliquote adottate in altri ambiti di mercato adiacenti o in accordi simili conclusi in mercati comparabili a quello italiano, le informazioni riportate sulle condizioni contrattuali collocherebbero l’aliquota in una forbice compresa [omissis] dei ricavi. Tuttavia, tale proposta non appare adattarsi al caso specifico dell’equo compenso come prefigurato dall’articolo 4 in quanto diversa risulta essere la base di calcolo. Il modello proposto nel Regolamento prevede una base di calcolo che intende fornire una misura non del solo ricavo del prestatore, quanto del value gap di cui lo stesso beneficia rispetto all’editore. In tale ottica, anche l’aliquota deve essere tale da garantire equità alla remunerazione dell’editore.
In merito alla possibilità di riferirsi alle aliquote in uso negli accordi tra editori e imprese di media monitoring e rassegne stampa, occorre precisare che, per quanto questi accordi abbiano ad oggetto i medesimi diritti, oltre ad essere differente la definizione della base di calcolo, anche il contesto di mercato in cui l’equo compenso è riconosciuto è notevolmente diverso, sia per quanto riguarda il diritto di riproduzione, sia per ciò che riguarda l’ampiezza della circolazione delle pubblicazioni e, dunque, l’intensità di utilizzo delle medesime. Quest’ultima, infatti, anche se può essere riferita a porzioni di testo, nel complesso sul web è certamente di gran lunga superiore all’utilizzo che avviene nell’ambito dell’organizzazione del cliente dell’impresa di media monitoring e rassegne stampa. Ne deriva che le aliquote utilizzate in tali accordi possono essere prese in considerazione al più come punto di partenza per definire un limite inferiore del valore di presuntiva congruità.
Un ulteriore tassello riguarda la natura dell’accordo tra prestatore ed editore. Sul punto, si condivide la riflessione formulata dai rispondenti circa le caratteristiche di partnership che assumono gli accordi tra prestatori ed editori, alla base dei quali c’è il riconoscimento di uno scambio di valore tra di essi in relazione all’utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico. Da questo punto di vista è condivisibile l’idea sottostante per la quale l’editore mette a disposizione i contenuti editoriali e il prestatore la sua capacità diffusiva dei medesimi contenuti; tuttavia, va ricordato che vi è una sostanziale asimmetria di potere contrattuale in favore del prestatore, che è maggiore o minore a seconda dell’editore. Questo è, d’altronde, un punto qualificante che è alla base delle previsioni dell’articolo 43-bis e della stessa Direttiva.
Tutto ciò considerato e tenuto conto anche della impossibilità, almeno allo stato attuale, di quantificare puntualmente i benefici indiretti, che comunque sono effettivi ed operano soprattutto a vantaggio del prestatore, si ritiene di poter individuare un valore massimo dell’aliquota pari al 70% della base di calcolo. Tale valore può costituire il riferimento per l’Autorità qualora essa venga chiamata a intervenire secondo la procedura di cui al Capo IV del Regolamento.
Si rammenta che il valore individuato può essere aggiornato nel tempo, in base alle previsioni dell’articolo 14 del Regolamento, così come gli altri elementi che compongono il modello di calcolo, tenuto conto dell’esperienza applicativa del Regolamento e dell’evoluzione delle prassi di mercato nazionali e internazionali.
Sui criteri di riferimento
Visti i contributi pervenuti e le posizioni espresse dai rispondenti su vari aspetti che interessano i criteri di riferimento di cui al comma 3 dell’articolo 4, preliminarmente si ritiene di poter condividere le richieste in merito alla semplificazione del sistema. Si ritiene, peraltro, di poter accogliere le posizioni di quanti hanno osservato che tale semplificazione dovrebbe avvenire accordando una preferenza ai criteri che sono maggiormente chiari, trasparenti, oggettivi e misurabili. Si condivide, inoltre, l’indicazione secondo cui dovrebbero assumere rilievo i criteri esemplificativi della qualità delle pubblicazioni di carattere giornalistico. Tali osservazioni sono accoglibili, in quanto sono volte a migliorare l’efficacia del Regolamento che intende, tra l’altro, fornire un quadro più chiaro possibile agli stakeholder sull’iter che può essere seguito per la determinazione dell’equo compenso. Molte osservazioni circa la rilevanza della qualità dell’informazione sono, d’altronde, in linea con quanto rilevato anche nella delibera n. 195/22/CONS che ha avviato la consultazione pubblica.
Sul piano operativo, si deve osservare che sono possibili chiarimenti, semplificazioni e integrazioni, come verrà discusso nel seguito. In ogni caso, si ritiene di confermare che i criteri devono essere applicati cumulativamente e con rilevanza decrescente, in quanto essi costituiscono un sistema di elementi che, anche in ragione dell’ordinamento attribuito, consente di operare un bilanciamento dei diversi interessi e di gestire in maniera più equilibrata potenziali svantaggi connessi ad un utilizzo discrezionale dei criteri singolarmente considerati. Inoltre, il loro utilizzo combinato permette di rendere più equo il compenso, tenendo conto delle caratteristiche della produzione dell’editore.
A tal riguardo, è utile sottolineare che i criteri dell’articolo 4 innanzitutto sono redatti sulla scorta delle indicazioni dell’articolo 43-bis; inoltre, descrivono delle dimensioni fondamentali che sono indicative del valore della produzione editoriale online: i) la circolazione delle pubblicazioni dell’editore, sia sui servizi del prestatore sia, più in generale, online (si veda il criterio del numero di consultazioni online delle pubblicazioni e della rilevanza dell’editore); ii) alcune caratteristiche che attengono alla società editoriale (come il numero di giornalisti e gli anni di attività); iii) gli sforzi compiuti dall’editore (e dal prestatore) per l’innovazione e la qualità del sistema dell’informazione. In questo quadro, anche i criteri che appaiono maggiormente collegati all’organizzazione della società editoriale (e almeno in parte anche a quella del prestatore), devono essere visti come proxy del valore dei contenuti. Pertanto, si ritiene di non poter accogliere le posizioni secondo le quali i criteri che riguardano la società editoriale andrebbero esclusi. Occorre, inoltre, ricordare che resta ferma la libertà delle parti di servirsi dello schema dei criteri così come definito nell’articolo 4 del Regolamento oppure, ove diversamente concordato, di adottare schemi alternativi che possono includere anche ulteriori e/o diversi criteri. In mancanza di accordo, tuttavia, l’articolo 4 costituisce il riferimento per l’Autorità nell’ambito della procedura di cui al Capo IV del Regolamento.
Si conferma, infine, anche in relazione all’applicazione dei criteri, quanto anticipato in merito alla determinazione della base di calcolo, ovvero che l’Autorità può avviare interlocuzioni, anche al di fuori della procedura di cui al Capo IV del Regolamento, con gli attori di mercato coinvolti nell’applicazione delle disposizioni sull’equo compenso, finalizzate all’individuazione di soluzioni metodologiche ragionevoli, motivate, trasparenti e condivise.
Nel seguito si esamineranno le osservazioni specifiche pervenute dai rispondenti sui criteri di riferimento, con l’obiettivo di consolidare l’elenco dei criteri dell’articolo 4 e di chiarire alcuni aspetti applicativi, anche nell’ottica di rispondere alle richieste formulate nei contributi pervenuti circa la necessità di tenere conto delle differenze esistenti all’interno della platea dei prestatori e degli editori.
i. Sulle osservazioni specifiche e proposte di modifica criteri
Per quanto riguarda il criterio di cui alla lettera a) dell’articolo 4 relativo al numero di consultazioni online delle pubblicazioni di carattere giornalistico, si ritiene di confermare la formulazione dello Schema di regolamento, apportando alcune integrazioni al testo che chiariscono il perimetro entro cui va misurato il criterio. Per quanto, poi, siano comprensibili le posizioni espresse dai rispondenti relativamente ai potenziali svantaggi di tale criterio, connessi al rischio di incentivare la produzione di contenuti in eccesso a solo scopo remunerativo, oppure particolarmente attrattivi, ma di scarsa qualità, occorre osservare che è lo stesso articolo 43-bis a includerlo tra i criteri di riferimento. Inoltre, si deve considerare che tale criterio appare adeguato nel contesto della determinazione del compenso per diritti di riproduzione e di comunicazione al pubblico, poiché rappresenta una misura della circolazione delle opere dell’editore sui servizi del prestatore controparte e dell’intensità d’uso delle stesse, oltre che un indicatore dell’apprezzamento da parte degli utenti e, quindi, indirettamente del valore dei contenuti. D’altronde, esso si inserisce in un sistema di criteri che vengono applicati cumulativamente, proprio con l’obiettivo di bilanciare i potenziali svantaggi connessi alla sua applicazione isolata. Tali svantaggi sono ulteriormente mitigati dalla circostanza che ai fini dell’applicazione dell’equo compenso la platea è circoscritta agli editori “professionali” e che i ricavi da traffico di reindirizzamento, i quali rappresentano il ritorno economico principale di eventuali pratiche di clickbaiting, sono computati nella base di calcolo.
In relazione alla provenienza delle informazioni per il calcolo degli indicatori che misurano il criterio a), si ritiene di poter condividere le esigenze manifestate dai rispondenti di disporre di fonti alternative al prestatore per il reperimento dei dati sulle consultazioni online. Infatti, occorre precisare che, per il calcolo del numero di consultazioni online, i prestatori devono utilizzare dati provenienti da fonti terze accreditate, che fanno uso di metodologie corrette, trasparenti e verificabili. Inoltre, è buona prassi che tali dati siano sempre disponibili agli editori senza eccessivi oneri.
Quanto agli indicatori per la misurazione del criterio a), dovrebbero essere considerate le metriche di audience adeguate in relazione alla tipologia di prestatore, per cui oltre alle visualizzazioni è opportuno considerare, in particolare per i social media, indicatori di engagement, quali le interazioni degli utenti col contenuto mediante click, reazioni, commenti, condivisioni. Quanto alla funzione search di un motore di ricerca si dovrà tenere conto, tra gli altri, della presenza nei risultati e, dunque, della visualizzazione delle pubblicazioni.
Per ciò che riguarda il criterio relativo alla rilevanza dell’editore sul mercato, si ritiene di confermare la formulazione dello Schema di regolamento, apportando l’integrazione necessaria a chiarire che ove non fossero disponibili dati dell’editore provenienti da organismi di rilevazione dotati della massima rappresentatività dell’intero settore di riferimento (ovvero dal JIC), si può comunque ricorrere ad altre fonti terze, purché le metodologie di rilevazione siano corrette, trasparenti e verificabili e l’organizzazione del fornitore dei dati risponda altresì a princìpi di terzietà, autonomia e indipendenza.
Occorre, inoltre, precisare che si conferma l’impostazione secondo la quale il criterio è circoscritto all’audience ottenuta dall’editore online. Tale perimetro è infatti coerente sia con l’ambito di applicazione del Regolamento, che è inerente alle pubblicazioni di carattere giornalistico utilizzate online, sia con la motivazione sottostante all’inclusione del criterio, ovvero di ottenere una misura della circolazione e dell’apprezzamento della produzione online dell’editore che faccia da complemento e in una certa misura da “contrappeso” al criterio del numero di consultazioni online, focalizzato sulla circolazione delle pubblicazioni dell’editore nell’ambito dei soli servizi del prestatore. In ragione di queste considerazioni, non risulta accoglibile la proposta formulata dai rispondenti di utilizzare i dati di tiratura delle testate cartacee e digitali dell’editore come misura della rilevanza dell’editore sul mercato.
Per ciò che riguarda la declinazione pratica del criterio sulla rilevanza dell’editore, si ritiene di dover accogliere quanto espresso dai rispondenti circa la necessità di considerare le differenze esistenti tra gli editori. Al riguardo, è utile chiarire che la misurazione dell’audience deve essere valutata con riferimento a categorie di editori omogenee al loro interno, rispetto alle quali il confronto assume significatività. Ai fini di un raffronto che eviti penalizzazioni inique, si possono distinguere diverse dimensioni lungo le quali gli editori si differenziano, quali principalmente: i) il bacino di diffusione locale/nazionale, tenuto conto che questa differenziazione va operata per la produzione online dell’editore, ovvero prendendo a riferimento la rilevanza degli argomenti in relazione al territorio e/o l’audience online in relazione al territorio nel quale essa è prevalentemente generata; ii) la dimensione dell’editore che può essere valutata considerando il numero di dipendenti; iii) la natura generalista/specialistica dei contenuti prodotti dall’editore che consente di distinguere l’editoria di settore da altri tipi di editori; iv) la natura di produttore primario di informazione che permette di distinguere le agenzie di stampa da altri tipi di editore.
Alla luce di questa categorizzazione, il confronto potrebbe avvenire tra l’audience online dell’editore parte della negoziazione e un valore di riferimento per la categoria di appartenenza (ad esempio un valore medio), oppure utilizzando gli indici di posizione della distribuzione (mediana, quartili, decili e percentili) per ottenere corrispondenti scaglioni all’interno della categoria di appartenenza.
Per quanto attiene al criterio relativo al numero di giornalisti, si ritiene di confermare (e meglio chiarire) che il criterio si riferisce ai soli giornalisti impiegati nella produzione delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online, in quanto coerente con l’ambito di applicazione del Regolamento.
Si considerano, invece, condivisibili le osservazioni espresse dai rispondenti relativamente alle tipologie di giornalisti da considerare. Al riguardo, si ritiene infatti di modificare il criterio, includendovi, oltre ai giornalisti dipendenti a tempo indeterminato, anche quelli a tempo determinato e part-time, nonché i collaboratori esterni. Inoltre, il contratto di riferimento può essere un qualunque contratto collettivo nazionale di categoria. Queste modifiche si reputano opportune per evitare esclusioni o penalizzazioni improprie di editori che adottano contratti differenti o che hanno redazioni con diversa composizione e struttura, essendo comunque preservata la ratio del criterio, ovvero di riconoscere il valore della produzione editoriale professionale in termini di qualità attesa e credibilità.
Con riferimento alle proposte dei rispondenti, riguardanti l’inclusione all’interno del criterio relativo al numero di giornalisti di altre tipologie di figure professionali non giornalistiche e dei costi del personale, si ritiene di non poter accogliere le indicazioni pervenute in tal senso. Infatti, è importante evidenziare che lo scopo del criterio in questo contesto è riconoscere il valore del contenuto editoriale che è in sostanza legato all’attività del giornalista, il quale costituisce l’elemento qualificante e discriminante in confronto all’attività del prestatore. Pur riconoscendo che sempre più spesso le redazioni sono composte da personale specializzato non giornalistico, il cui contributo è rilevante, specie per la produzione online, tuttavia, per la determinazione dell’equo compenso ciò non appare centrale. Anche l’inclusione dei costi del personale sembra non essere appropriata, sia perché potrebbe risultare ridondante rispetto al criterio del numero di giornalisti, potendo essere visti come la specificazione in termini economici del medesimo criterio, sia perché introdurrebbe elementi di ulteriori complessità nel calcolo e il rischio di comportamenti opportunistici e di inefficienze.
Relativamente all’applicazione del criterio del numero di giornalisti, ai fini del contributo alla definizione dell’aliquota, occorre evidenziare che, vista l’eterogeneità degli editori quanto a dimensione delle strutture redazionali, la numerosità dei giornalisti andrebbe considerata osservando l’intera distribuzione ordinata degli editori e individuando delle classi in relazione ai quali effettuare il raffronto tra il valore assunto per lo specifico editore e un valore di riferimento (ad esempio un valore medio) calcolato all’interno della classe di appartenenza.
Avuto riguardo ai criteri relativi ai costi sostenuti per investimenti tecnologici da parte dell’editore e del prestatore, si ritiene di poter accogliere l’osservazione per la quale tali criteri dovrebbero essere inclusivi dei costi per investimenti infrastrutturali, come previsto dall’articolo 43-bis. Si ritiene altresì di modificare il riferimento al concetto di prodotto editoriale, chiarendo che i costi devono riferirsi alla realizzazione (per l’editore) e alla riproduzione e comunicazione (per il prestatore) delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online.
Quanto alle possibili integrazioni del criterio dei costi tecnologici e infrastrutturali dell’editore, si considerano non accoglibili le proposte di includere anche i costi del relativo personale addetto e i costi operativi. Infatti, la ratio sottostante a questo criterio è riconoscere un “premio” all’editore (e, parallelamente, al prestatore un premio in forma di “sconto” sull’equo compenso) in relazione agli investimenti in innovazione tecnologica nel settore, ovvero alla destinazione di risorse economiche per l’acquisto di beni capitali materiali e immateriali di natura tecnologica o infrastrutturale utilizzati nel processo produttivo.
Per ciò che concerne le osservazioni in merito alla delimitazione dei costi del prestatore a quelli che scaturiscono dall’utilizzo delle sole pubblicazioni della controparte, si ritiene che, sebbene tale proposta possa essere ragionevole, tuttavia essa avrebbe rilievo se i costi fossero parte della base di calcolo e dunque dovrebbero, in tal caso, essere definiti in maniera puntuale in relazione all’editore controparte. Nel caso di specie, invece, il criterio dei costi assume un ruolo di fattore di sconto (incrementale per l’editore) dell’aliquota e ha l’obiettivo di riconoscere lo sforzo compiuto per sostenere l’innovazione dell’intero settore mediante gli investimenti tecnologici e infrastrutturali. Di conseguenza, si ritiene di dover confermare l’indicazione per la quale il costo va delimitato al complesso delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online, per entrambe le parti (editore e prestatore).
Da un punto di vista metodologico, peraltro, tale scelta consente di semplificare il sistema, nella misura in cui l’imputazione dei costi per investimenti tecnologici e infrastrutturali, in particolare del prestatore, all’insieme delle pubblicazioni di carattere giornalistico, come sottolineato altresì dai rispondenti, è già di per sé un’operazione che presenta delle complessità per la natura di costi fissi e per la presenza di costi condivisi. Al riguardo, concettualmente si può osservare che per l’editore è importante circoscrivere i costi per gli investimenti tecnologici e infrastrutturali sostenuti per la produzione delle pubblicazioni giornalistiche diffuse online, per cui vanno esclusi gli investimenti che dovessero essere dedicati ad attività eventualmente non editoriali svolte dalla società. Per il prestatore, invece, il processo di attribuzione è più complesso considerando anche solo
la molteplicità di servizi che offre e la scala globale in cui opera e la necessità, dunque, di circoscrivere il criterio ai costi per gli investimenti tecnologici e infrastrutturali sostenuti per la diffusione online delle pubblicazioni giornalistiche in Italia.
Per attribuire i costi alle pubblicazioni giornalistiche diffuse online esistono diversi parametri possibili. Ad esempio, per il prestatore si potrebbe adottare la porzione di traffico online generato dalle news in Italia, mentre per l’editore potrebbe essere la porzione di articoli online sul totale della produzione editoriale.
Resta fermo che in caso di attivazione della procedura dinanzi all’Autorità, le parti devono provare di aver sostenuto tali costi, provare la loro pertinenza rispetto al perimetro individuato dall’articolo 4 e dettagliare la metodologia di calcolo. Al riguardo, vale osservare che, come per la determinazione della base di calcolo e per gli aspetti applicativi legati ai criteri, anche per la metodologia di determinazione dei costi, l’Autorità può avviare interlocuzioni, altresì al di fuori della procedura di cui al Capo IV del Regolamento, con gli attori di mercato coinvolti nell’applicazione delle disposizioni sull’equo compenso, finalizzate all’individuazione di soluzioni metodologiche ragionevoli, motivate, trasparenti e condivise.
In merito all’applicazione del criterio dei costi, inoltre, occorre evidenziare che, per quanto riguarda il prestatore, il criterio deve essere misurato con indicatori relativi che guardino all’incidenza dei costi sopra menzionati sul totale dei costi tecnologici e infrastrutturali sostenuti dal prestatore; inoltre, tale informazione può essere completata dall’incidenza dei ricavi pubblicitari derivanti dalle pubblicazioni di carattere giornalistico sui relativi costi per investimenti tecnologici e infrastrutturali. Ciò consentirebbe di valutare sia il contributo specifico al settore dell’informazione, sia l’efficienza dell’investimento.
Relativamente all’editore, invece, può essere valutata l’entità assoluta dei costi per investimenti tecnologici e infrastrutturali delle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online, considerando che l’attività caratteristica dell’editore è la produzione di informazione; la valutazione di questo indicatore dovrebbe essere, in ogni caso, accompagnata anche da quella di un indicatore di efficienza dell’investimento, come l’incidenza dei ricavi derivanti dalle pubblicazioni di carattere giornalistico diffuse online sui relativi costi per investimenti tecnologici e infrastrutturali.
La definizione del contributo all’aliquota dei criteri sui costi, tanto in relazione al prestatore quanto in relazione all’editore, dovrebbe avvenire raffrontando i tassi di crescita degli indicatori, nell’ottica di attribuire rilevanza all’intensità dello sforzo delle parti al sostegno dell’evoluzione del settore.
Con riferimento al criterio relativo all’adesione ai codici di condotta codici etici e standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking maggiormente riconosciuti, si ritiene di accogliere le proposte di chiarimento e integrazione pervenute, volte a includere nel criterio un esplicito riferimento sia ai codici deontologici adottati dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, sia alla conformità, da parte dell’editore e del prestatore, in special modo ai codici etici e di condotta, laddove siano comminate sanzioni in caso di violazione. Pertanto, il criterio viene riformulato in tale direzione, per cui oltre all’adesione possono essere valutate
anche le violazioni o le situazioni di difformità rispetto al sistema di regole e standard cui il soggetto ha aderito.
In merito alla proposta di includere anche gli strumenti realizzati in house dall’editore, idonei a garantire qualità dell’informazione e il fact-checking, si condivide l’osservazione sottostante per la quale alcuni editori si sono dotati nel tempo di procedure idonee a garantire la qualità dell’informazione e il fact-checking e hanno investito risorse anche per migliorare la credibilità, tuttavia il criterio vuole focalizzarsi non tanto sugli strumenti e le procedure organizzative, quanto sulla “conformità” di tali strumenti e procedure a quelle che sono le best practice.
Relativamente alle osservazioni formulate circa la difficoltà di individuazione di standard in materia di qualità dell’informazione, si fa notare che per i prestatori un riferimento importante è costituito dallo Strengthened Code of Practice on Disinformation del 2022 e che ulteriori standard potranno scaturire dall’applicazione di nuovi pertinenti regolamenti europei (come il DSA) e di iniziative legislative in corso in ambito europeo e nazionale sui temi del pluralismo dell’informazione e dei diritti fondamentali dei cittadini ad essa connessi. Per gli editori, invece, oltre ai codici deontologici e di condotta, ben identificabili, si possono prendere a riferimento quegli standard che sono condivisi e riconosciuti dallo stesso mondo del giornalismo a livello internazionale.
In relazione alle proposte di distinguere il criterio applicabile al prestatore da quello applicabile all’editore, si ritiene che questi possano essere invece accorpati in un unico criterio perché la funzione è la medesima, sebbene per l’editore sia ragionevole supporre un coinvolgimento pieno in tante iniziative a supporto della qualità dell’informazione, essendo il suo ruolo quello di produttore delle notizie e responsabile in primis delle medesime.
Per quanto riguarda le osservazioni formulate circa il criterio relativo agli anni di attività dell’editore, occorre notare che tale criterio è indicato dallo stesso articolo 43-bis e può costituire in ogni caso un indicatore, inserito d’altronde in un sistema composito di criteri, della storicità del marchio dell’editore e della sua reputazione, rappresentando presso il pubblico un segnale di autorevolezza della fonte giornalistica. Sulla base di ciò si ritiene che il criterio non possa essere escluso dall’elenco di cui all’articolo 4, comma 3. A questo proposito, proprio per la sua funzione specifica, si ritiene altresì che esso debba essere un criterio a sé stante e non possa essere accorpato al numero di giornalisti, come proposto da alcuni rispondenti. Inoltre, si ritiene che esso non possa riferirsi, come proposto dai rispondenti, ai soli anni di attività sui servizi del prestatore, volendo essere un indicatore che dà un riconoscimento alla storicità ed esperienza dell’editore maturate nel sistema dell’informazione nel suo complesso.
Coerentemente con la ratio sottostante al criterio degli anni di attività, si reputano condivisibili le osservazioni in virtù delle quali la storicità non dovrebbe limitarsi all’attività svolta online, ma dovrebbe considerare l’attività complessivamente esercitata dall’editore, anche attraverso le pubblicazioni cartacee. Infatti, la reputazione e la storicità del marchio in quanto tali sono valori percepiti dagli utenti a prescindere dal mezzo di diffusione delle pubblicazioni dell’editore. In particolare, nell’applicazione del criterio dovrebbe essere tenuta in considerazione la storicità della testata anche in riferimento al territorio cui essa è legata, valorizzando quelle che a livello locale costituiscono dei punti di riferimento per le comunità.
In merito al calcolo del criterio, alla luce delle richieste di chiarimento pervenute, si considera accoglibile l’idea secondo cui questi dovrebbero essere computati prendendo in considerazione l’anno di fondazione della testata. Nel caso di un portafoglio di testate appartenenti ad uno specifico editore, si ritiene ragionevole considerare l’anno di fondazione della testata più antica, dal momento che lo scopo dell’indicatore è individuare un punto di riferimento rappresentativo della storicità del marchio che contribuisca alla determinazione dell’equo compenso cui ha diritto un determinato editore. Quanto ai criteri di calcolo in caso di operazioni straordinarie di impresa che comportino una variazione del portafoglio delle testate o la nascita di una nuova società o testata, per stabilire se la testata (o le testate oppure la nuova società/testata) deve essere considerata ai fini del calcolo degli anni di attività, si dovrebbero considerare solo le operazioni che si sono effettivamente concluse in relazione al periodo di riferimento del criterio (v. infra).
ii. Sulle proposte di eliminazione e inserimento di criteri
In merito al criterio relativo al numero di pubblicazioni afferenti a tematiche originali pubblicate in anteprima, sono emerse posizioni diversificate che comprendono proposte di modifica e altresì di eliminazione del criterio, oltre che obiezioni di natura concettuale e metodologica. In proposito, sebbene si riconosca che il valore di un’opera in linea di principio dovrebbe essere valutato anche mediante un’analisi del suo contenuto, sembrano tuttavia decisivi i dubbi espressi dai rispondenti circa la reale possibilità di misurazione oggettiva di un simile criterio, vista anche l’assenza di sistemi che consentano il tracciamento delle citazioni. Anche i dubbi espressi in merito alla possibilità di circoscrivere il concetto di “originalità” alla sola tematica sono condivisibili, stante la natura multidimensionale del concetto medesimo. Considerata, infine, la necessità di costruire un modello di calcolo che sia efficace e che riduca i possibili contenziosi, si ritiene di dover eliminare il criterio “numero di pubblicazioni di carattere giornalistico inerenti a tematiche originali pubblicate in anteprima rispetto ad altre testate il cui contenuto è solo successivamente citato o ripreso da altri editori”.
Per quanto riguarda il criterio relativo ai “benefici economici quantificabili di cui si avvalga l’editore anche in considerazione del bacino territoriale di diffusione delle corrispondenti pubblicazioni a stampa”, le perplessità interpretative che sono state avanzate dai rispondenti sono accoglibili e il criterio necessiterebbe in ogni caso di una riformulazione volta a chiarirne lo scopo e l’applicazione. L’intento sarebbe quello di valorizzare l’informazione locale e premiare gli editori che operano a più stretto contatto con le comunità locali. Al riguardo, nel corso della consultazione sono emerse diverse posizioni che hanno rappresentato la necessità di tenere in considerazione le specificità di svariate categorie di editori: gli editori di piccole dimensioni e quelli locali, l’editoria di settore e gli editori nativi digitali. In tal senso, si ritiene che tale eterogeneità possa essere più equamente rappresentata e tutelata mediante un sistema di calcolo dell’equo compenso che si fondi su criteri misurabili applicati in maniera tale da tener conto delle diversità, operando, quindi, delle valutazioni, ove opportuno, “per categorie omogenee” (v. supra), piuttosto che mediante l’introduzione di uno o più criteri ad hoc, che rischiano di essere fuorvianti, controversi o difficilmente applicabili. Alla luce di queste considerazioni si ritiene di dover eliminare il criterio su menzionato.
Con riferimento al criterio relativo ai costi per investimenti tecnologici e infrastrutturali sostenuti dal prestatore, si ritiene di non poter accogliere la proposta formulata dai rispondenti in merito all’opportunità di eleminare tale criterio in considerazione del fatto che esso non sarebbe sotto il diretto controllo dell’editore e non sarebbe altresì coerente con la ratio della Direttiva. Infatti, l’articolo 43-bis nell’includere tale criterio specifica che esso è relativo ad entrambe le parti, il che non appare incoerente con la Direttiva copyright, poiché è vero che l’impianto dell’articolo 15 si basa sul riconoscimento dell’esistenza di un value gap che avvantaggia il prestatore, e, dunque, sulla consapevolezza dell’asimmetria delle posizioni delle parti; tuttavia, è altrettanto vero che a fondamento della Direttiva vi è l’obiettivo di adeguare la legislazione in materia di diritto d’autore senza limitare l’evoluzione tecnologica, alla quale tanto i prestatori quanto gli editori forniscono un contributo, sebbene nella diversità di ruoli e di potere contrattuale (v. infra).
Peraltro, nel momento in cui il decreto legislativo 177/2021 individua l’Autorità quale “facilitatore” delle negoziazioni, qualora le parti non trovino un punto di convergenza, l’attività di assistenza esercitata dall’Autorità non può che partire dalla volontà delle parti e quindi da logiche di natura contrattualistica. Nondimeno, l’Autorità, se chiamata a definire essa stessa, in ultima istanza, il valore dell’equo compenso, non può che fondare il proprio ragionamento sul contemperamento degli interessi in gioco anche di natura pubblicistica, tra i quali l’innovazione, oltre che la sostenibilità economica, del settore finalizzata al pluralismo dell’informazione. Alla luce di queste considerazioni, il criterio dei costi per investimenti tecnologici e infrastrutturali del prestatore è confermato nell’elenco di cui al comma 3 dell’articolo 4. Al riguardo, inoltre, non appare accoglibile la proposta pervenuta di eliminare entrambi i criteri relativi ai costi (dell’editore e del prestatore) sulla base della difficoltà di calcolo e dei connessi oneri. In effetti, è vero che il computo dei costi può rivelarsi complesso e costoso; tuttavia, occorre ribadire i concetti su espressi sull’opportunità di mantenere tali criteri, fermo restando che la metodologia per la loro determinazione deve essere ragionevole quanto a sforzo di computo in rapporto all’utilizzo del criterio stesso, fondandosi il più possibile su valori desumibili dal bilancio delle imprese e su driver di imputazione ottenibili da fonti facilmente accessibili.
In merito all’asserita opportunità di eliminare dall’elenco dei criteri quello relativo all’“adesione di ciascuna delle parti a codici di condotta, codici etici e standard internazionali in materia di qualità dell’informazione e di fact-checking maggiormente riconosciuti” in quanto esulerebbe dalla materia del diritto d’autore, si ritiene di non poter condividere le osservazioni pervenute in tal senso. Il ragionamento è, difatti, analogo a quello sopra esposto relativamente al criterio dei costi: la qualità dell’informazione risponde ad un interesse di natura pubblicistica non in contrasto con la Direttiva o con l’articolo 43-bis. La qualità dell’informazione è funzionale al pieno dispiegamento della libertà di espressione e alla tutela del pluralismo dell’informazione.
Per quanto riguarda le proposte di eliminazione del criterio relativo agli anni di attività dell’editore, vale quanto illustrato nella sezione precedente, ovvero si ritiene di non poter escludere il criterio dall’elenco di cui all’articolo 4, comma 3, dal momento che non solo esso è indicato dallo stesso articolo 43-bis, ma rappresenta altresì un indicatore della storicità del marchio dell’editore/testata e della sua reputazione; in tale ottica si ritiene adeguato a rappresentare, insieme con gli altri criteri, il valore della produzione editoriale.
In relazione alle proposte di inserimento di ulteriori criteri, si ritiene di non poter accogliere la proposta di aggiungere un criterio che misuri la rilevanza dell’editore sulla piattaforma di social media, poiché esso è di fatto già espresso nel criterio relativo al numero di consultazioni online delle pubblicazioni di carattere giornalistico dell’editore sui servizi del prestatore.
Quanto alle proposte di inserire dei criteri che descrivano la quantità della produzione dell’editore (cartacea e online) o la numerosità delle pubblicazioni di carattere giornalistico tutelate dal diritto d’autore (quest’ultima come declinazione di un criterio che “misuri” l’originalità delle pubblicazioni), si ritiene non opportuno aggiungere criteri di questa natura, che, al di là di ogni ragionamento sul perimetro del criterio (online/offline), tendono comunque a privilegiare l’aspetto quantitativo e rischiano di dare luogo a possibili sperequazioni tra editori diversi per dimensione e per tipologia di produzione (es. editoria di settore e agenzie di stampa).
La proposta di inserimento di un criterio che misuri la rilevanza degli editori storici locali nei rispettivi territori trova di fatto accoglimento ed è implementata attraverso il criterio relativo alla rilevanza dell’editore sul mercato, che viene applicato tenendo in considerazione categorie confrontabili di editori, compresa l’editoria locale (v. supra). Peraltro, anche il criterio degli anni di attività dell’editore, come riformulato, tiene conto della storicità dell’editore nel settore.
Quanto alle proposte di includere tra i criteri uno specifico riferimento alla porzione di testo utilizzata online dal prestatore rispetto al testo completo della pubblicazione di carattere giornalistico o al numero di caratteri della pubblicazione il cui utilizzo è consentito al prestatore, si ritiene che, sebbene tali parametri possano risultare utili all’interno di schemi contrattuali in uso tra privati, essi risultino invece di difficile applicazione nell’ambito della determinazione dell’equo compenso prefigurata all’articolo 4, apportando ulteriori complessità al sistema.
Infine, la proposta di inserire un criterio che esprima il valore economico dei diritti nel commercio è ragionevole ma di fatto tale criterio ispira già il modello di calcolo sotteso all’articolo 4, in particolare laddove indicatori come il valore economico generato dalla pubblicazione e il valore dei diritti nel commercio emergente da accordi per utilizzi simili/prodotti simili o per il medesimo utilizzo in altri territori sono tenuti in considerazione, rispettivamente, nella base di calcolo e nel ragionamento in base al quale è individuata l’aliquota.
iii. Sull’ordinamento dei criteri
In merito all’ordinamento dei criteri, si ritiene di non poter accogliere le proposte di rinunciare ad attribuire ad essi un ordine di rilevanza. L’ordinamento dei criteri, infatti, consente sul piano operativo di comporre uno schema più chiaro e trasparente per il mercato. Inoltre, permette di bilanciare i diversi interessi in gioco (la tutela del diritto d’autore, il pluralismo, la qualità dell’informazione e l’evoluzione anche tecnologica del settore) e di creare un sistema di contrappesi rispetto ai rischi connessi ad un utilizzo isolato e discrezionale di singoli criteri.
Vale ribadire, in ogni caso, che le parti possono individuare schemi di definizione dell’equo compenso anche diversi da quello contenuto nell’articolo 4 e, dunque, utilizzare i criteri (quelli dell’articolo 4 e/o altri) in maniera differente. D’altronde, nel caso in cui non vi sia accordo tra editore e prestatore e sia avviata la procedura di cui al Capo IV, laddove non si riesca a definire l’equo compenso sulla base delle proposte delle parti coinvolte, è inevitabile, anche da un punto di vista di efficienza amministrativa, che l’Autorità si serva di uno schema di determinazione del compenso definito il più possibile ex ante.
Per quanto riguarda le proposte pervenute di attribuire più rilievo ai criteri relativi ai costi degli editori, al numero di giornalisti e agli anni di attività, in quanto maggiormente indicativi della qualità della produzione editoriale, si ritiene di dover confermare l’ordinamento proposto nello schema di Regolamento. I criteri sono, infatti, ordinati secondo una logica che privilegia quelli più specifici in relazione alla tutela del diritto d’autore, ovvero il numero di consultazioni online delle pubblicazioni, che costituisce una misura dell’intensità di utilizzo della produzione editoriale sui servizi del prestatore, accompagnato dalla rilevanza dell’editore sul mercato espressa in termini di audience, che misura la circolazione e l’apprezzamento dei contenuti giornalistici dell’editore nell’intero sistema online. Ciascuno dei successivi criteri – più generali e afferenti all’organizzazione dell’editore principalmente – descrive, invece, un aspetto del valore dei contenuti giornalistici: la natura professionale e qualificante della produzione giornalistica, gli sforzi sostenuti per gli investimenti nell’innovazione tecnologica del settore, l’adozione di misure comportamentali e standard di qualità dell’informazione riconosciuti, la storicità del marchio editoriale.
Per ciò che concerne le perplessità espresse rispetto alla preminenza attribuita al numero di consultazioni online, si ritiene che sebbene esse siano in astratto comprensibili, non appaiono sufficienti per motivare una diminuzione della rilevanza del criterio. Infatti, alla luce di quanto sopra illustrato, occorre notare che: i) il numero di consultazioni online realizzato sui servizi del prestatore è bilanciato dalla collocazione subito dopo di un indicatore che misura l’audience in relazione all’intero ecosistema online; ii) il criterio appare adeguato nel contesto della definizione dell’equo compenso; iii) gli indicatori per la sua misurazione sono facilmente ottenibili da fonti terze e i dati sono certificati e soggetti peraltro ai poteri di vigilanza dell’Autorità in materia di indici di ascolto; iv) i criteri sono utilizzati in maniera cumulativa costituendo nel loro insieme un sistema; v) l’Autorità esercita in ogni modo penetranti funzioni regolamentari e di vigilanza, tali da consentire di individuare e porre rimedio a eventuali problematiche che dovessero emergere in merito alla correttezza e al pluralismo dell’informazione, tanto più che l’equo compenso si applica agli editori e non a qualunque sito di informazione online.
Relativamente alla possibilità, emersa in consultazione pubblica, di ridurre la rilevanza al criterio relativo all’adesione ai codici di condotta stante la difficoltà di individuare standard di riferimento condivisi, in base a quanto già espresso nelle ultime due sezioni, si ritiene di non poter accogliere tale indicazione e di confermare la collocazione del suddetto criterio.
Rispetto, poi, alle richieste di considerare l’impatto dell’ordinamento dei criteri sugli editori di piccole dimensioni, si può osservare che le preoccupazioni espresse trovano risposta nell’ordinamento individuato, che difatti colloca per primi i criteri più oggettivi, misurabili anche con fonti terze, che non dipendono, peraltro, in maniera diretta dalla struttura organizzativa dell’editore.
Inoltre, è utile specificare che i rischi di effetti distorsivi derivanti dal modello di determinazione dell’equo compenso previsto dall’articolo 4 e gravanti su editori più piccoli, editori locali, editoria di settore, agenzie di stampa, editori nativi digitali sono mitigati mediante una serie di meccanismi: l’introduzione dei ricavi da traffico di reindirizzamento nella base di calcolo; il range dell’aliquota; le modalità di applicazione dei criteri. Queste ultime, in particolare, prevedono che l’incremento dell’aliquota a partire dal valore minimo avviene sommando algebricamente il contributo (decrescente) apportato dai diversi criteri, che agiscono quindi come fattori incrementali (o di sconto). Ciascun criterio è misurato poi da uno o più indicatori che vengono rilevati per lo specifico editore (prestatore). Per definire, infine, il contributo del criterio all’aliquota si utilizzano dei valori di riferimento degli indicatori (indici di posizionamento, valori medi, tassi di crescita) che vengono raffrontati con il valore rilevato per un determinato editore (prestatore). E’, dunque, proprio la determinazione del valore di riferimento che permette di tenere in considerazione l’eterogeneità degli editori. Infatti, tale valore è determinato, come discusso nelle sezioni precedenti, utilizzando la distribuzione (ordinata) dell’indicatore per la potenziale platea di editori, all’interno di classi di valori o all’interno di categorie omogenee di editori.
Infine, non possono essere condivise le proposte di collocare sullo stesso piano i costi per investimenti tecnologici e infrastrutturali dell’editore e del prestatore. Infatti, pur contribuendo entrambi all’innovazione del settore, si deve comunque considerare che la Direttiva si fonda sul riconoscimento di un’asimmetria esistente tra prestatori ed editori. Si tratta, inoltre, di soggetti strutturalmente diversi, i prestatori investono in infrastrutture e tecnologie non paragonabili per entità e per tipologia agli investimenti degli editori e al contempo fruiscono di economie di scala e di scopo altrettanto non paragonabili a quelle degli editori.
Sulle fonti e sulla periodicità delle informazioni
Si condividono le osservazioni secondo le quali le fonti di dati necessari per la determinazione dell’equo compenso dovrebbero essere terze, verificabili e imparziali. Ciò è senz’altro condivisibile ed è applicabile in particolar modo ai dati che alimentano gli indicatori che misurano i criteri, ad eccezione di quelli relativi ai costi, per i quali, infatti, è necessario effettuare delle stime che partono ragionevolmente da fonti pubbliche (come i bilanci) ma che non possono essere immediatamente riscontrate su tali fonti dovendo subire un processo di imputazione.
Con riferimento ai dati economici che sono necessari per il calcolo della base e per la determinazione dei su citati costi per investimenti tecnologici e infrastrutturali, i prestatori e gli editori, qualora sia attivata la procedura di cui al Capo IV, devono fornire all’Autorità, insieme con i dettagli circa la metodologia adottata (v. supra), anche l’indicazione delle fonti di provenienza dei dati sottostanti.
Più in generale, le parti dovrebbero fornire indicazioni specifiche all’Autorità su tutte le fonti utilizzate per la definizione degli elementi che compongono lo schema di cui all’articolo 4.
Quanto alla necessità, richiamata dai rispondenti, che gli editori condividano i dati che sono in loro esclusivo possesso, si fa osservare che dovrebbe essere nello stesso interesse degli editori far sì che tale condivisione avvenga, come chiarito anche nella sezione seguente in relazione all’articolo 5 del Regolamento.
Infine, sul periodo di riferimento delle informazioni, in accordo con alcune delle osservazioni formulate dai rispondenti, si ritiene di non poter individuare una periodicità uguale per tutti gli indicatori e le grandezze che intervengono nel calcolo, che sono diversi per natura e per funzione d’uso all’interno dello schema. Si possono, tuttavia, formulare alcune indicazioni di principio: i) in generale i dati dovrebbero essere riferiti al più all’anno che precede l’avvio della negoziazione, così da non risultare obsoleti; ii) in particolare i dati di audience che alimentano i criteri dovrebbero riferirsi anche a periodi più recenti rispetto all’anno precedente all’avvio della negoziazione, essendo le rilevazioni continuative; iii) la base di calcolo potrebbe essere determinata prendendo a riferimento i valori medi degli ultimi 2 o 3 anni, anche a seconda della durata e della struttura dell’accordo tra prestatore ed editore; iv) i dati relativi ai costi per investimenti tecnologici e infrastrutturali dovrebbero essere riferiti all’anno che precede l’avvio della negoziazione mentre i tassi di crescita utilizzati come valori di riferimento dovrebbero riferirsi agli ultimi tre anni.
Articolo 5
(Obblighi di comunicazione e di informazione)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Due soggetti evidenziano un’asimmetria relativamente agli obblighi recati dall’articolo 5 e ritengono che tutte le parti dovrebbero essere obbligate in egual misura a condividere i dati necessari per stabilire l’importo dell’equo compenso. Sottolineano a tal proposito che la maggior parte dei criteri è basata su dati nella disponibilità degli editori, quali ricavi da traffico reindirizzato, numero di giornalisti, investimenti, senza i quali il calcolo del compenso è impossibile. Ritengono sia opportuno prevedere una forma di audit e verifica da parte dell’Autorità sui dati, se necessario o su richiesta delle parti.
Un soggetto ritiene che le richieste di condivisione dei dati avanzate dagli editori debbano essere debitamente motivate, specifiche, giustificate e proporzionate, per evitare richieste abusive e garantire il diritto di difesa dell’altra parte. Le richieste dovrebbero riguardare solo i dati relativi allo specifico atto di sfruttamento rilevante ai fini del diritto d’autore e non i collegamenti ipertestuali e gli estratti molto brevi. Evidenzia che sono necessarie misure adeguate a garantire la protezione delle informazioni riservate, bilanciando gli interessi all’accesso alle informazioni pertinenti con la riservatezza delle stesse, in conformità alla normativa applicabile alla protezione dei segreti commerciali.
Anche un altro soggetto ritiene sia opportuno che tali obblighi siano resi reciproci e si applichino anche agli editori in quanto molti dei criteri si basano su dati di proprietà dell’editore. Ritiene, inoltre, necessario un chiarimento su come convivano leggi già esistenti (quali la delibera 173/22/CONS e la legge 481 del 1995) con i nuovi poteri in capo all’Autorità, in particolare con riferimento al potere di acquisire documentazioni e al potere di ispezionare i locali. Chiede ulteriori indicazioni in merito alle modalità di comunicazione delle informazioni. In particolare, sottolinea la necessità di riconoscere i principi di proporzionalità e ragionevolezza, nonché i vincoli tecnici, pratici e legali relativi alla comunicazione delle informazioni. Suggerisce, quindi, che le richieste di informazioni siano limitate a quelle detenute dal prestatore nel corso del normale svolgimento delle sue operazioni, di tenere conto dei limiti tecnici e del fatto che in determinate circostanze la divulgazione di informazioni può costituire una violazione di leggi, ordinanze giudiziarie o altri provvedimenti amministrativi, nonché di obblighi relativi alla riservatezza o alla privacy.
Ritiene, infine, che tali richieste possano essere soddisfatte soltanto quando l’identità e i requisiti della parte richiedente siano stati adeguatamente verificati e la parte richiedente abbia confermato che i dati saranno conservati e utilizzati solo per gli scopi legati alla negoziazione tra l’editore e la piattaforma.
Diversi soggetti non hanno formulato osservazioni sull’articolo 5.
Osservazioni dell’Autorità
Con riferimento alla presunta asimmetria che alcuni soggetti hanno evidenziato relativamente agli obblighi recati dall’articolo in commento, si sottolinea che gli obblighi di comunicazione e informazione sono posti in capo ai prestatori di servizi della società dell’informazione, comprese le imprese di media monitoring e rassegne stampa, in forza di quanto disposto dal comma 12 dell’articolo 43-bis. Cionondimeno, nel caso in cui, ai fini della negoziazione, siano necessari dati in esclusivo possesso degli editori, sarà interesse di questi ultimi metterli a disposizione per una corretta determinazione dell’equo compenso.
Vale evidenziare, al riguardo, che la condivisione delle informazioni necessaria alla stipula di un accordo tra le parti rappresenta un elemento imprescindibile per una negoziazione in buona fede, laddove, ovviamente, vi sia la volontà di negoziare quale presupposto.
Si precisa che le richieste di informazioni dell’Autorità saranno elaborate nel rispetto del quadro normativo di riferimento e, come precisato al comma 2 dell’articolo 5, l’adempimento dell’obbligo non esonera dal rispetto della riservatezza delle informazioni di carattere commerciale, industriale e finanziario, anche da parte degli editori.
Quanto al rapporto tra il presente Regolamento e le norme preesistenti, si sottolinea che restano fermi i poteri generali di cui l’Autorità è investita in quanto Autorità di vigilanza. Ciò premesso, in caso di violazione degli obblighi previsti dall’articolo 5 si applicherà la sanzione amministrativa pecuniaria ivi stabilita, ossia fino all’uno per cento del fatturato realizzato sul mercato nazionale nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notifica della contestazione, secondo l’apparato sanzionatorio sancito dal comma 12 dell’articolo 43-bis LDA.
Capo III
Utilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico da parte di imprese di media monitoring e rassegne stampa
Articolo 6
(Criteri per la determinazione dell’equo compenso)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Osservazioni di carattere generale
Un soggetto, per quanto riguarda la definizione dell’equo compenso dovuto agli editori dalle IMMRS, appare in linea con le posizioni espresse dall’Autorità. Sottolinea che da ciò discende che sugli articoli di giornale sottoposti a clausola di riserva, la titolarità dei diritti resta in capo all’editore, il quale può, su richiesta, autorizzarne la riproduzione e la comunicazione, normalmente verso pagamento di un compenso, con apposita licenza che ne preciserà anche i limiti di utilizzo da parte delle IMMRS e degli utenti finali; sugli articoli di giornale liberamente riproducibili si applicherà l’equo compenso previsto dall’articolo 43-bis. Sottolinea, inoltre, che dalla previsione di un obbligo di remunerare gli editori con equo compenso non può discendere il diritto delle IMMRS di utilizzare online gli articoli coperti dalla clausola di riproduzione riservata in assenza della licenza rilasciata dai titolari dei relativi diritti d’autore.
Un soggetto condivide l’approccio metodologico seguito dall’Autorità nella bozza di Regolamento con cui ha tenuto distinta, nell’ambito dei prestatori di servizi della società dell’informazione, la categoria delle imprese di media monitoring e rassegne stampa da quella degli altri prestatori. Suggerisce di esplicitare, al fine di superare una interpretazione riduttiva della norma, che l’equo compenso per l’utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico dovuto agli editori dalle imprese di media monitoring e rassegne stampa riguarda le fonti cartacee e le fonti online. Ritiene sia necessario che, in pendenza di negoziazione per il rinnovo di una licenza, agli editori sia impedito di sospendere unilateralmente il flusso dei contenuti alle imprese di rassegna stampa e media monitoring, prevedendo una disposizione analoga a quella già prevista nella Bozza di Regolamento a protezione degli editori quando negoziano come parte “debole” con gli OTT in quanto, a suo parere, vi è uno squilibrio di forza contrattuale tra le parti.
Inoltre, auspica che l’AGCOM, pur valorizzando l’autonomia contrattuale delle parti, incentivi e favorisca la negoziazione collettiva tra associazioni maggiormente rappresentative degli editori ed omologhe associazioni delle imprese di media monitoring e rassegna stampa. Sottolinea che l’accordo già raggiunto da una parte maggioritaria dei rassegnisti ed una parte rilevante degli editori italiani riuniti in FIEG-Promopress rappresenta una importante prassi di mercato.
Un soggetto ritiene importante che la disciplina che verrà adottata si inserisca in modo coerente nell’ambito delle varie regolamentazioni che disciplinano la materia del diritto d’autore all’interno del nostro ordinamento. Lo stesso vede con favore l’adozione di normative finalizzate a valorizzare chi investe nella produzione di contenuti di qualità ritenendo però che nello specifico settore della fornitura di servizi di media monitoring e di rassegna stampa, tale condiviso obiettivo debba essere bilanciato con quello altrettanto importante di assicurare il diritto all’informazione costituzionalmente garantito. Ciò a maggior ragione quando l’esercizio di questo diritto è funzionale ad un più efficiente svolgimento dell’attività di impresa.
Sottolinea, poi, che l’utilizzo di contenuti editoriali da parte di imprese che erogano servizi di rassegna stampa ha caratteristiche che non possono in alcun modo essere assimilate a quelle che contraddistinguono l’utilizzo dei medesimi contenuti da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione. Le rassegne stampa, nella maggioranza dei casi, hanno ad oggetto un insieme più o meno ampio di contenuti di interesse dell’azienda contraente e non sono dunque idonee a sopperire al bisogno di informazione dei singoli utenti finali. Evidenzia che lo stesso legislatore prevede espressamente, all’articolo 65 della legge sul diritto d’autore, che la facoltà di predisporre rassegne stampa prescinde, salvo espressa riserva, dalla preliminare acquisizione del consenso del titolare dei diritti sul contenuto informativo. In questo contesto e coerentemente con l’orientamento della giurisprudenza sul punto, ritiene che il primo criterio di cui tener conto è se il servizio di rassegna stampa che l’impresa eroga ai propri clienti si sostituisca o sia idoneo a sostituirsi al bisogno di informazione che spinge il comune lettore di giornali all’acquisto degli stessi. Ritiene, inoltre, che uno degli elementi principali per valutare tale aspetto sia certamente il numero di articoli riprodotti all’interno della rassegna stampa in rapporto al numero complessivo degli articoli pubblicati all’interno di ciascuna rivista monitorata dall’impresa. Secondo lo stesso soggetto, l’utilizzo di una rosa ridotta di contenuti non potrebbe per sua natura essere idoneo a sostituire il desiderio del lettore di avere a disposizione il giornale o la rivista nella sua integralità e, in tale scenario, gli utenti finali, pur leggendo la rassegna, non modificherebbero le proprie abitudini continuando ad acquistare i giornali.
Un’ulteriore proposta di tale soggetto riguarda l’opportunità di specificare che l’equo compenso dovuto da imprese fornitrici di servizi di rassegna stampa e media monitoring
non dovrà in nessun caso essere applicato agli articoli per cui l’editore non si è riservato la riproduzione. Inoltre, al fine di contrastare la pratica con cui molti editori hanno nei fatti privato di efficacia l’articolo 65 della legge sul diritto d’autore, propone che nel determinare l’equo compenso si tenga conto anche del rapporto fra il numero degli articoli su cui è apposta la dicitura “riproduzione riservata” e il totale degli articoli pubblicati da ogni singolo editore, andando a privilegiare quegli editori in cui tale rapporto percentuale è più basso e che dunque fanno un uso più proporzionato e consono della facoltà di riserva concessa dalla legge.
Un soggetto condivide la complessiva impostazione dell’articolo.
Un soggetto non ha particolari osservazioni in quanto non ha avuto modo, nell’ambito della propria attività, di raccogliere sufficienti dati con riferimento a tale particolare attività.
Un soggetto ritiene opportuno non fornire alcuna osservazione in merito, in quanto si tratta di questioni non inerenti direttamente all’attività svolta dallo stesso.
Diversi soggetti non hanno formulato osservazioni sull’articolo 6.
Sulla base di calcolo
Diversi soggetti suggeriscono di chiarire che il fatturato rilevante debba essere riferito alle attività di media monitoring e rassegna stampa, in modo da ricomprendere anche società che operano in altri settori ma che effettuano tali attività. In particolare, un soggetto condivide l’assunzione a base di calcolo dell’equo compenso del fatturato rilevante dell’impresa, specificando che per rilevante deve intendersi il fatturato da ricavi per servizi di media monitoring e rassegna stampa, con esclusione di ogni fatturato derivante da ricavi per diversi servizi o prestazioni. Sottolinea che tale fatturato è solo in parte imputabile alla produzione editoriale utilizzata, dovendosi per maggior parte imputare all’opera di selezione svolta dall’impresa.
Un soggetto ritiene sia opportuno chiarire a cosa ci si riferisca in relazione al fatturato rilevante su cui calcolare l’equo compenso, specificando che esso corrisponde a quello prodotto dallo sfruttamento economico delle rassegne stampa e dei monitoraggi.
In merito, un altro soggetto suggerisce di inserire, al comma 1, il riferimento esplicito alle attività di media monitoring e rassegne stampa relativamente al fatturato rilevante delle imprese, in modo da ricomprendere società che operano in altri settori ma che effettuano tali attività.
Un altro soggetto ritiene che la base di calcolo dell’equo compenso a carico delle imprese di media monitoring e rassegne stampa deve comprendere i servizi di ricerca e delivery che costituiscono parte integrante dell’attività di media monitoring e rassegna stampa e che nei bilanci di tali imprese sono spesso scorporati da detti servizi. Propone quindi di modificare l’articolo 6, comma 1, includendo il fatturato derivante da servizi connessi.
Un soggetto ritiene necessario precisare che per “fatturato rilevante” si intende il fatturato direttamente derivato dai servizi di rassegna stampa e media monitoring dall’utilizzo di pubblicazioni di carattere giornalistico nell’attività di rassegna stampa. Tale precisazione consente di parametrare con esattezza il dato di fatturato che realmente rileva ai fini della
remunerazione dell’equo compenso evitando di includere nel fatturato voci di ricavo che nulla hanno a che vedere con l’utilizzo delle pubblicazioni di carattere giornalistico.
Un altro soggetto con riferimento alla definizione dell’equo compenso dovuto agli editori dalle imprese di media monitoring e rassegne stampa (cd. IMMRS), segnala, preliminarmente, che nella delibera si definisce il “value gap” come l’iniqua distribuzione del valore generato dallo sfruttamento in ambiente digitale di un contenuto protetto tra il titolare del diritto (editore) e il prestatore di servizi (IMMRS) che veicola questo contenuto online e si afferma che il divario fra i ricavi conseguiti dagli intermediari che distribuiscono i contenuti e il valore riconosciuto ai titolari dei diritti integra il cd. value gap. Intende sottolineare, con riferimento a tale concetto, che i ricavi conseguiti dalle IMMRS, essendo basati su materiali giornalistici i cui diritti sono in capo agli editori, sicuramente integrano il value gap ma non ne sono l’unica componente preponderante. Ritiene che un’importante componente sia rappresentata dai mancati introiti per l’editore derivanti dalle minori vendite che conseguono alla disponibilità di prodotti di rassegna stampa. Evidenzia che spesso nei bandi di gara per i servizi di rassegna stampa viene chiesto di inserire, oltre ad una selezione di articoli preparata secondo il profilo del richiedente (che già è frequentemente molto ampia), la possibilità di visualizzare tutti gli articoli di una pubblicazione giornalistica. Tale metodologia di fornitura porta, tra le aziende che dispongono dei servizi delle IMMRS, ad una diminuzione degli acquisti dei giornali. Sul lato delle pubblicazioni web, il fenomeno è ancora più marcato. Spesso viene richiesto alle IMMRS di inserire nelle rassegne, invece dell’abstract corredato dal link dell’articolo online, lo screenshot della pagina web o il testo intero del pezzo. Tale metodologia rende inutile visitare il sito dell’editore per leggere l’articolo completo e conseguentemente sottrae traffico generando minori introiti pubblicitari e di vendita in quanto aggira le regole dei paywall di gestione degli abbonamenti. Evidenzia, pertanto che il value gap ha due importanti componenti: i mancati introiti da minori vendite e minor traffico web che pesano sugli editori e gli introiti conseguiti dalle IMMRS per la vendita dei loro servizi.
Evidenzia, poi, con riferimento alla identificazione nel fatturato delle imprese di IMMRS come base di calcolo per la determinazione dell’equo compenso dalle stesse dovuto, che il fatturato possa rappresentare la base di calcolo per una sola delle due componenti del value gap, ovvero gli introiti conseguiti dalle IMMRS per la vendita dei loro servizi. Sottolinea che il fatturato inoltre non rappresenta una misura dei mancati introiti da minori vendite e minor traffico che pesano sugli editori. Ritiene quindi che questa seconda componente del value gap debba essere corrisposta dalle IMMRS agli editori in aggiunta alla prima legata agli introiti.
Un altro soggetto evidenzia che dal servizio offerto dai rassegnatori non deriva alcun beneficio agli editori per l’utilizzo delle proprie pubblicazioni di carattere giornalistico. Pertanto, ritiene corretta la scelta dell’Autorità di non prevedere alcun criterio di “abbattimento” dell’equo compenso – come invece è previsto per quello dovuto dai prestatori.
Un soggetto ritiene, relativamente al fatturato rilevante, che debbano essere considerati altri parametri di ricavo, quali i ricavi derivanti dalla vendita di dati e da qualsiasi altra modalità di sfruttamento dei dati generati mediante le utilizzazioni oggetto di compenso. Ritiene che il riconoscimento dell’equo compenso debba essere applicato a tasso fisso, a prescindere da criteri e ponderazioni qualitative soggettive.
Sulla definizione dell’aliquota
Un soggetto non condivide un sistema ad aliquote e propone di adottare un equo compenso ad “articolo”, ossia basato sull’effettivo numero di articoli messi a disposizione da ogni singola testata, secondo un “metodo prevalente all’estero” non meglio specificato. In via subordinata, propone di prevedere un sistema con una sola aliquota uguale per tutte le IMMRS, ma che comprenda l’equo compenso a favore di tutta la stampa quotidiana e periodica italiana, non della singola testata. Un importo da versare magari in un fondo gestito dal DIE o AGCOM che poi provvederà a suddividerlo tra gli aventi diritto. Ritiene che, al contrario, l’ipotesi di creare aliquote diverse comporterà la necessità di numerosissime aliquote; aliquote necessariamente differenti per ogni impresa di media monitoring e da rivedere ogni anno, perché modificandosi la clientela cambia l’interesse per le varie testate. La complessità nel prevedere i propri costi, poi, potrebbe portare la clientela a ridurre il panel delle testate da monitorare.
Un altro soggetto ritiene che il principio della commisurazione dell’equo compenso ad una aliquota del fatturato rilevante sia razionale e sottolinea che il totale dovuto da un’impresa per oneri di equo compenso non può ritenersi una variabile senza limiti, poiché ne esiste sempre non solo una soglia di congruità ma anche una soglia di sostenibilità da parte dell’impresa, determinata da vari fattori, quali i margini di utile e la soglia di disponibilità della clientela ad accettare aumenti di prezzo dei servizi.
In un sistema di aliquote differenziate editore per editore si imporrebbe la logica necessità di una determinazione di tutte le aliquote in via contemporanea e tale determinazione si prospetta inattuabile, perché i criteri utilizzabili per una diversificazione dell’equo compenso tra editore ed editore sono conoscibili soltanto ex post. L’esigenza che l’equo compenso assuma un valore sufficientemente stabile nel tempo si impone non solo nel quadro dei singoli rapporti tra l’impresa e i vari editori, ma anche nel quadro generale dei rapporti tra impresa e editoria nel suo complesso, onde consentire all’impresa un’adeguata pianificazione della propria politica commerciale. Un sistema ad aliquote differenziate, invece, è intrinsecamente inidoneo ad assicurare una stabilità nel tempo.
Unica soluzione razionale, e agevolmente praticabile, si manifesta pertanto l’individuazione di un’aliquota unica, “generale”, a valere cioè quale totale dovuto agli editori per equo compenso da ciascuna impresa su ciascun fatturato annuo, e la successiva ripartizione dell’ammontare monetario ad essa corrispondente per ciascuna impresa tra tutti gli editori i cui contenuti siano stati utilizzati dall’impresa nell’anno di riferimento, in proporzione dell’incidenza percentuale del numero di riproduzioni dei rispettivi articoli sul numero totale delle riproduzioni di articoli effettuate nell’anno. Tale sistema risulta di estrema semplicità applicativa, assicura una base di parametrazione dell’equo compenso uguale per tutti gli editori e per tutte le imprese, prevede un parametro di differenziazione dell’equo compenso tra editore ed editore, garantisce una effettiva parità di trattamento, garantisce inoltre una valorizzazione esattamente proporzionata tra editore ed editore e un premio sia della maggiore e migliore offerta di contenuti espressa da un singolo editore sia della maggior domanda di sue pubblicazioni guadagnata mediante la reputazione acquisita nel tempo, in quanto restituisce una misura diretta dell’effettivo utilizzo della produzione di ciascun editore operata dall’impresa. Tale sistema, inoltre, assicura un automatico, esatto adeguamento, anno per anno, dell’equo compenso dovuto dall’impresa a ciascun editore ad ogni variazione dell’entità dell’utilizzo della sua produzione da parte dell’impresa; restituisce agli editori un metro tangibile dell’interesse riscosso dalla propria produzione su di un mercato, quello del media monitoring e delle rassegne, caratterizzato da un’utenza specialmente qualificata; contribuisce pertanto ad incentivare lo sviluppo, da parte degli editori, di un’informazione quanto più “adeguata da un punto di vista sociale”. Tale modello, infine, può prevedere meccanismi di acconti infrannuali calcolati sulla base dei dati dell’anno precedente ed è il sistema adottato da Promopress, unico modello accettato dalla totalità delle imprese del settore.
Secondo tale soggetto, i principali parametri utilizzabili ai fini della determinazione dell’aliquota sono i margini di utile dei servizi di rassegna stampa e media monitoring, e la soglia di disponibilità della clientela dei servizi ad accettare e assorbire aumenti dei relativi prezzi. Sottolinea che il fatturato annuo globale del settore è da tempo fermo intorno ai 40 Mln distribuiti tra 19 imprese e ciò evidenzia una capacità contributiva del settore nel suo complesso certamente non elevata. Infatti, l’aliquota applicata da Promopress è attestata sull’8% del fatturato rilevante dal 2015.
Ritiene, infine, che sia ineludibile l’esigenza di una moderazione dell’aliquota in misura tale da non determinare eccessivi squilibri impropri a carico delle imprese che privilegiano la qualità dei servizi ed operano pertanto mediante selezione in manuale dei contenuti editoriali.
Un soggetto ritiene opportuno individuare la soglia minima articolata secondo la caratterizzazione dell’articolo, con riproduzione riservata, senza riproduzione riservata ed esclusivamente online, sulla base della prassi di mercato (sistema Promopress), stabilendo una forchetta tra il 4% e l’8% per gli articoli con riproduzione riservata, tra il 2% e il 4% per gli articoli senza riproduzione riservata e tra l’1% e il 2% per gli articoli di fonte online. Quanto alla valorizzazione economica degli articoli da fonte online, precisa che la minore valorizzazione deriva dall’importanza della fonte cartacea che, per quanto il mercato sia orientato ad una transizione verso il digitale, è ancora preponderante, in termini di autorevolezza e impegno dell’editore.
Un altro soggetto sottolinea che un sistema basato su aliquote del fatturato sarebbe complesso e che l’aliquota non potrebbe essere uguale per tutte le IMMRS. Sarebbe più semplice, chiaro e gratificante invece calcolare l’equo compenso in base al numero degli articoli tratti da ciascuna testata e messi a disposizione della clientela. Sostiene che, una volta deciso da Agcom il compenso ad articolo per una data testata, questo potrà diventare un parametro utile per qualsiasi IMMRS, di facile applicazione e adattabile in maniera automatica nel tempo. Ritiene sia più conveniente e di immediata comprensione per tutte le parti prevedere per le testate che ne faranno richiesta un equo compenso ad articolo. Ritiene che un’impostazione ad aliquote differenziate porterebbe a una riduzione delle testate monitorate e quindi della circolazione dell’informazione. Sottolinea che il
compenso ad articolo, che può variare a seconda della testata ma sarebbe uguale per tutte le IMMRS, è il metodo prevalente adottato all’estero. Secondo lo stesso soggetto un compenso ad articolo eviterà la necessità di aggiornare (anche più volte all’anno e probabilmente con l’arbitrato AGCOM) l’aliquota dovuta da ogni IMMRS a una singola testata. Inoltre, un equo compenso ad articolo favorirebbe la sottoscrizione di accordi senza la necessità di ricorrere all’arbitrato di Agcom, essendo un sistema facilmente replicabile. Il ricorso ad Agcom sarebbe limitato perché un compenso ad articolo renderebbe le condizioni sempre FRAND, ossia eque, ragionevoli e non discriminatorie. Ci sarebbero garanzie di omogeneità e congruità, pur nelle diversità che caratterizzano editori e IMMRS.
Si chiede se una soluzione iniziale possa essere l’introduzione di un’aliquota uguale per tutte le IMMRS, dell’8%, come prevista dal sistema Promopress. Anche in quest’ultimo sistema, però, il quid effettivamente riconosciuto a Promopress è in proporzione agli articoli degli editori aderenti al Repertorio rispetto al totale degli articoli riprodotti in rassegna dalla singola IMMRS. Un sistema ad aliquote differenziate, invece, comporta la necessità di fissare numerose aliquote, necessariamente differenti per ogni impresa di media monitoring e da rivedere annualmente, in quanto ad ogni modifica della clientela cambia il numero di articoli inseriti da ciascuna testata in rassegna stampa. La difficoltà nel prevedere i propri costi, potrebbe inoltre portare la clientela a ridurre il panel delle testate da monitorare limitando la richiesta di monitoraggio a quelle “irrinunciabili” e a quelle che preferiranno non chiedere il pagamento dell’equo compenso. Un sistema ad aliquote differenziate, poi, obbligherebbe le parti a ricorrere più spesso all’arbitrato di Agcom.
Un soggetto specifica che il regolamento afferisce unicamente all’uso online delle pubblicazioni di carattere giornalistico e sottolinea come il prodotto editoriale abbia un valore oggettivo intrinseco indipendente dal fatturato dell’impresa di media monitoring e rassegne stampa. Stante tuttavia la prassi ormai consolidata di riconoscere all’editore di pubblicazioni di carattere giornalistico parte dei ricavi generati dalle attività di media monitoring e rassegne stampa, evidenzia che a differenza di quanto formulato nell’articolo 4, comma 2, della Delibera e di quanto enunciato nelle considerazioni in premessa, l’articolo 6 non contiene un riferimento esplicito ad un’aliquota da applicare per la determinazione dell’equo compenso a carico delle società di media monitoring e rassegne stampa. Ritiene quindi opportuna una indicazione esplicita in tal senso. In considerazione del fatto che nei paesi nei quali sono adottate gestioni condivise o collettive dei diritti degli editori, la quota di fatturato retrocessa da parte delle società di media monitoring e rassegne stampa è all’incirca del 30%, appare altresì utile l’indicazione di una aliquota analoga. Un altro soggetto evidenzia, con riferimento alla identificazione di un’aliquota da applicare al fatturato come criterio di calcolo per l’applicazione dell’equo compenso, che l’aliquota è un metodo di calcolo semplice e come tale può essere efficace. Tuttavia, l’applicazione del criterio (e quindi l’aliquota) deve tenere in considerazione due fattori: (i) l’identificazione e la corresponsione di ambedue le componenti del value gap. In merito, per arrivare a comprendere le due componenti del value gap, l’aliquota, con tutta probabilità, non potrà essere marginale
ma dovrà essere tale da identificare un importo significativo se rapportato con il fatturato. Ipotizza che rapportato all’intero fatturato del mercato dei servizi di rassegna stampa, la quota da destinare alla totalità degli editori per compensare il valore di entrambe le componenti del value gap debba essere in un intorno del 20%. Ciò verosimilmente indurrà le IMMRS a riversare una parte del nuovo costo sull’utente finale; (ii) la differenziazione dell’aliquota stessa in base alla rilevanza dell’editore. In proposito, i criteri identificati nella delibera all’allegato A, capo III, articolo 6.1 sono sicuramente funzionali allo scopo di rapportare l’aliquota all’importanza dell’editore. [omissis]. In aggiunta ai valori sopra identificati che afferiscono alla concessione della licenza d’uso dei materiali, ritiene che l’equo compenso debba essere integrato anche con una componente fissa che vada a coprire i costi per preparare e mettere a disposizione delle ARS in orari notturni i giornali. Questo costo potrebbe essere facilmente quantificato sommando il prezzo edicola giornaliero di tutte le edizioni dei giornali che la singola ARS intende ricevere integrato con una percentuale per il servizio di preparazione ed invio notturno.
Facendo seguito alla domanda 6.4, ipotizza una metodologia alternativa per l’identificazione dell’equo compenso. Questa metodologia è quella applicata negli accordi che sono in essere tra il soggetto rispondente e la quasi totalità delle IMMRS presenti sul mercato italiano. L’equo compenso è determinato dalla somma di due componenti: (i) una componente fissa, che vada a coprire i servizi tecnici (preparare e mettere a disposizione delle IMMRS in orari notturni i flussi dei testi). Questo importo può essere facilmente quantificato sommando il prezzo edicola giornaliero di tutte le edizioni dei giornali che la singola IMMRS intende ricevere integrato con una percentuale per il servizio di preparazione ed invio notturno; (ii) una componente legata alla licenza d’uso dei materiali identificata moltiplicando il numero dei pezzi distribuiti dalle singole IMMRS per un costo unitario.
Il costo unitario è poi determinato su due componenti: (i) un costo base ad articolo inserito in rassegna, che potrebbe diminuire per fasce all’incrementare dei pezzi totali inseriti in un anno nelle rassegne; (ii) un’aliquota marginale da moltiplicare per il costo base che tenga conto della rilevanza dell’editore. Ritiene che i criteri per la determinazione di quest’aliquota potrebbero essere la quota diffusionale dell’editore (il principale) determinata sui dati pubblici ADS e i criteri “d”, “c” ed “e” identificati nella delibera all’allegato A, capo III, articolo 6.1. Sulla determinazione della quota di mercato dell’editore sono disponibili i dati ADS.
Tale metodologia comporta lo sforzo iniziale nella determinazione del costo base ad articolo, ma permette l’utilizzo di un modello matematico deterministico e facilmente indicizzabile.
Un soggetto condivide la proposta di individuare l’aliquota per la determinazione dell’equo compenso come ipotizzata, in quanto non esistono elementi da prendere in considerazione per l’abbattimento del compenso nel caso dei rassegnatori.
Un altro soggetto sottolinea che la norma non prevede né un limite minimo e massimo per l’aliquota né criteri per determinarla sulla base dei criteri indicati.
Sui criteri per la determinazione dell’equo compenso
Un soggetto conferma che il criterio fondamentale di riferimento per la determinazione dell’equo compenso dovuto agli editori dalle imprese di media monitoring e rassegne stampa dovrebbe tendere a fornire il più possibile una misura del value gap e ritiene che la definizione dell’equo compenso proposta sia in linea con le posizioni espresse dall’Agcom nella delibera n. 195 quando considera il nuovo «diritto connesso» spettante agli editori inserito nel corpo della LDA come “un diritto in più che amplia la sfera giuridica degli editori stessi e che ha una durata limitata (due anni dalla pubblicazione) e un ambito applicativo limitato all’«utilizzo on line» delle pubblicazioni di carattere giornalistico”, applicandosi agli articoli di giornale liberamente riproducibili ex articolo 65, comma 1, LDA (in quanto non recanti la clausola di riserva) e lasciando inalterato l’assetto normativo anteriore alla novella.
Un altro soggetto con riferimento ai criteri per la determinazione dell’equo compenso propone di modificare il criterio di cui alla lettera a), come segue “numero di articoli comunicati una volta all’interno di ciascuna della rassegna stampa anche tramite collazione degli articoli o del servizio di media monitoring”, e il criterio di cui alla lettera b), come segue “numero effettivo degli utenti finali contrattualizzati per iscritto”. Ritiene che il criterio di cui alla lettera c) sia utile e significativo e potrebbe servire per stabilire l’equo compenso a singolo articolo. Ritiene che i criteri di cui alle lettere d) ed e) non siano rilevanti ma, essendo previsti dall’articolo 43-bis, ne condivide il posizionamento ipotizzato dall’Autorità. Condivide, infine, l’ordine di rilevanza dei criteri e l’idea di darvi un peso diverso.
Un soggetto con riferimento al criterio di cui alla lettera a), lo ritiene condivisibile se ritenuto utilizzabile non per la misura dei ricavi dell’impresa e per la determinazione dell’aliquota di equo compenso, ma unicamente e sempre che per numero di articoli si intenda il numero delle riproduzioni di cui ogni singolo articolo è fatto oggetto del complesso delle rassegne fornite dall’impresa, per la misura dell’utilizzo della produzione di ciascun editore operato dall’impresa e dell’incidenza, su tale utilizzo, dei fattori di cui ai criteri sub lettere c), d), e). Questi ultimi criteri, oltre ad essere anch’essi inutilizzabili, secondo la Società, per la misura dei ricavi dell’impresa e per la determinazione dell’aliquota di equo compenso, ma unicamente utilizzabili per la misura dell’utilizzo della produzione di ciascun editore operato dall’impresa, devono ritenersi assorbiti dal criterio di cui alla lettera a). Tale soggetto non condivide il criterio di cui alla lettera b), in quanto il numero di utenti finali dipende esclusivamente dall’iniziativa e dall’operato dei clienti, senza possibilità di controllo o regolazione da parte dell’impresa; è irrilevante ai fini dei ricavi dell’impresa, e non può quindi spiegare alcuna incidenza in termini di value gap; non può nemmeno valere come indicatore dell’effettivo utilizzo dei contenuti di ciascun editore fatto dall’impresa, perché appunto la circolazione intra moenia emptoris delle rassegne e dei loro contenuti si configura quale utilizzo riferibile esclusivamente al cliente e del tutto estraneo all’impresa; è normalmente non conoscibile dall’impresa, o conoscibile solo per parte esigua.
Segnala che il disposto di cui al comma 9, prima parte, dell’articolo 43-bis sembra recepibile unicamente in senso precettivo, ossia statuitivo di una necessaria, obbligatoria addizione nel quadro dei parametri di riferimento della negoziazione, dei criteri stabiliti dall’Autorità ai diversi criteri autonomamente individuati o individuabili dalle parti, e non recepibile in senso semplicemente permissivo di una simile addizione o di una scelta alternativa tra gli uni e gli altri criteri. Sarebbe arduo, infatti, rinvenire un fondamento logico del disposto ove lo si volesse recepire in senso semplicemente permissivo, mentre un recepimento in senso precettivo collima perfettamente con il ruolo moderatore che la norma assegna all’Autorità.
Secondo tale soggetto si esclude a priori ogni problematica di graduazione della rilevanza dei criteri, in quanto i criteri alle lettere a), c), d), e), si configurano inutilizzabili per la definizione dell’aliquota, e utilizzabili all’unico fine di modulare, ovvero proporzionare l’equo compenso tra gli editori, e a tal fine quelli alle lettere c), d), e) devono ritenersi assorbiti dal criterio alla lettera a). Quanto al criterio di cui alla lettera b), lo ritiene inutilizzabile sotto qualsiasi profilo.
Un altro soggetto condivide la scelta di dare un ordine di rilevanza decrescente dei criteri indicati. Con riferimento al criterio di cui alla lettera a), sottolinea che è necessario precisare che il numero di articoli si riferisce al singolo editore rispetto al quale i criteri per la definizione dell’equo compenso devono essere applicati e che tali articoli sono conteggiati rispetto all’anno di riferimento.
Con riferimento al criterio relativo al numero di utenti finali di cui alla lettera b) ritiene necessario precisare che una rilevante prassi di mercato non considera il numero di utenti finali nella definizione del compenso dovuto dai rassegnisti. Nell’esperienza Promopress per oltre dieci utenti finali il corrispettivo è corrisposto direttamente dal contraente. Auspica quindi un orientamento generale che ponga in capo al Contraente, in funzione del numero di utenti finali, una parte della remunerazione dovuta agli Editori come elemento di equo bilanciamento dei costi sostenuti per l’approntamento e la fruizione del servizio di rassegna.
Quanto al criterio di cui alla lettera c), sottolinea che questo non possa essere valorizzato in maniera uniforme per tutti gli Editori in quanto non rappresentativo della prassi di settore, non applicabile in concreto e già ricompreso nel criterio di cui alla lettera a). La “rilevanza” dell’Editore rispetto agli interessi specifici del Contraente è infatti rappresentata dalla circostanza che è il Contraente (i.e. il cliente del rassegnista) ad indicare tra le fonti da recensire nell’ambito del servizio di rassegna stampa e media monitoring una determinata testata.
Ritiene che i criteri di cui alle lettere d) ed e) non abbiano rilevanza specifica in quanto parti del costo di produzione e già ricompresi nelle lettere precedenti.
Condivide l’idea di assegnare una maggiore valorizzazione in funzione di soglie ben definite di un numero complessivo di articoli inviati per Editore, del numero di giornalisti regolarmente assunti e dell’anzianità della testata, avendo come parametro di riferimento l’utilizzo della forcella percentuale riferita alla quota di fatturato di ogni singolo Editore definita in funzione del numero degli articoli inviati per le relative testate.
Ritiene necessario che l’Autorità promuova l’istituzione di una entità a cui sia demandata in concreto l’attività di calcolo e rendicontazione, al fine di non gravare le imprese di media monitoring e rassegna stampa e disporre di un sistema di rendicontazione obiettivo
e di modalità semplici e trasparenti nella applicazione dei criteri per la definizione dell’equo compenso.
Un altro soggetto condivide il criterio di cui alla lettera a), ma ritiene sia preferibile la seguente formulazione: “numero di articoli comunicati almeno una volta all’interno di ciascuna rassegna stampa”. Ritiene che tale criterio dovrebbe assumersi come criterio cardine di tutto il sistema dell’equo compenso, nell’interesse degli editori e soprattutto delle testate meno grandi.
Per quanto attiene al criterio di cui alla lettera b), ritiene sia opportuno specificare che gli utenti finali debbano essere contrattualizzati per iscritto, in modo da scongiurare contenziosi giudiziari tra editori, IMMRS e clienti. Ciò in quanto solo il cliente finale conosce il numero di utenti della propria rassegna; tutte le esperienze estere prevedono che gravi direttamente sui clienti la gran parte degli introiti collegati alle rassegne stampa; solo la contrattualizzazione scritta con i clienti comporta una presa di responsabilità da parte degli utilizzatori finali. In caso contrario, Agcom introdurrebbe una sorta di responsabilità oggettiva a carico delle IMMRS per comportamenti imputabili ai dipendenti di Enti e Aziende. Sarebbe invece opportuno che per l’equo compenso relativo alle utenze interne contrattualizzate per iscritto, il Regolamento Agcom rendesse responsabili in solido tra loro il fornitore di rassega e le Aziende/Enti suoi clienti.
Con riferimento al criterio di cui alla lettera c), dichiara che questo sia un criterio astrattamente condivisibile ma che diverrebbe ingestibile se sfociasse in un compenso determinato con una aliquota testata per testata, soprattutto perché fa riferimento ai contraenti/clienti, che cambiano sensibilmente nell’arco massimo di dodici mesi.
Condivide il posizionamento dei criteri di cui alle lettere d) ed e), seppure li ritenga non rilevanti in quanto si tratta di criteri non utilizzati dalla clientela nel focalizzare il proprio interesse circa una certa testata. Riconosce però che sono criteri stabiliti dalla normativa primaria.
Condivide l’ordine di rilevanza dei criteri e l’idea di attribuire a ciascuno un peso diverso. In merito ai criteri di cui alle lettere f), g) ed h), rileva una questione di riservatezza delle informazioni, in particolare con riferimento alle informazioni commerciali sensibili che non possono essere rivelate.
Un soggetto per quanto riguarda l’ordine di rilevanza dei criteri, ritiene che debba essere data maggiore enfasi al criterio “d” riguardante il numero dei giornalisti impiegati che dovrebbe essere il secondo in ordine di rilevanza dopo il numero degli articoli riprodotti in rassegna. Sul criterio “c” appare difficile identificare una rilevanza relativa dell’editore rispetto al contraente. La rilevanza relativa potrebbe essere sostituita da un indice di rilevanza assoluta dell’editore rispetto al mercato. La rilevanza assoluta dell’editore può essere misurabile con dati pubblici quali le diffusioni ADS determinando le “quote diffusionali” di ogni editore. Inoltre, ritiene che si potrebbero pesare con maggiore importanza i giornali nazionali rispetto a quelli solo locali e che sia opportuno applicare un ulteriore fattore di correzione ad incremento per i giornali nazionali che presentano anche edizioni locali e per quelli che trattano temi specifici (per es. economici).
Un altro soggetto, quanto ai criteri individuati per determinare la base dell’equo compenso, ritiene utile integrarli con parametri che consentano di tenere in debita considerazione l’attendibilità e l’autorevolezza dell’editore, attraverso elementi come il numero di giornalisti e gli anni di attività, ma guardando all’entità e alla modalità di diffusione della pubblicazione di carattere giornalistico. Tali fattori risultano particolarmente indicativi per testate destinate in via primaria a un’utenza specializzata o professionale. In questo contesto, il fatto che la circolazione della pubblicazione di carattere giornalistico avvenga in modo più stabile (sottoscrizione di abbonamenti), rispetto alla vendita di singole copie del quotidiano, costituisce un indicatore del valore della pubblicazione utile ai fini della determinazione del compenso dovuto per il suo utilizzo.
Il parametro sopra indicato risulta particolarmente importante per apprezzare appieno la misura del valore estratto dai Rassegnatori da pubblicazioni di carattere giornalistico quali quelle della società rispondente. Dall’utilizzo di tali pubblicazioni da parte dei Rassegnatori deriva peraltro un rischio concreto per l’editore che l’utente finale possa soddisfare il proprio fabbisogno informativo attraverso il servizio di rassegna stampa offerto all’organizzazione di cui l’utente fa parte, con la diretta conseguenza che ad esempio l’abbonamento sottoscritto con l’editore potrebbe divenire superfluo.
Condivide i criteri individuati dall’Autorità per determinare la base di calcolo per l’equo compenso. Tuttavia, suggerisce di aggiungere tra i criteri uno che dia conto dell’autorevolezza dell’editore, ad esempio ancorato al numero di abbonamenti sulla diffusione totale, ma anche all’adesione a codici di condotta. Per una corretta determinazione della base dell’equo compenso ritiene essenziale consentire la valorizzazione di una pubblicazione di carattere giornalistico attraverso un indicatore della sua autorevolezza quale quello offerto dal numero di abbonamenti sul totale delle copie vendute. In merito, suggerisce di verificare il dato presente nella diffusione dichiarata dall’Editore ad ADS – Accertamenti Diffusione Stampa, che certifica e divulga i dati relativi alla tiratura e alla diffusione e/o distribuzione della stampa, rapportando la somma delle voci che raggruppano il numero di copie in abbonamento con la diffusione totale della relativa testata (sia nella versione cartacea che digitale).
Condivide la scelta di dare un ordine di rilevanza dei criteri e l’idea di attribuire, a ciascun criterio, un peso diverso che rifletta l’ordine di rilevanza proposto e che contribuisca a definire l’ammontare dell’aliquota e quindi l’idea di una ponderazione dei criteri. Tuttavia, suggerisce di dividere l’equo compenso in una parte “fissa” (legata a elementi di lungo termine, quali ad esempio gli indicatori dell’autorevolezza dell’editore, l’adesione a codici di condotta, il numero di giornalisti impiegati), e una parte “variabile” (più dinamica, legata esclusivamente all’entità dell’uso dei contenuti editoriali e al numero di utenti finali, come da lett. a e b).
Un altro soggetto, con riferimento alla lett. e) richiama quanto evidenziato in relazione alla lett. j) dell’articolo 4, comma 2. In particolare, il parametro degli “anni di attività” attiene al più generale elemento dell’attendibilità della testata e quindi del grado di fiducia che in essa e nei contenuti editoriali da questa prodotti ripongono i lettori. Ritiene opportuno, pertanto, riferirsi unicamente alla “storicità” della testata, che si consolida dopo un numero congruo di anni di attività continuativa. Evidenzia altresì che gli anni di attività dell’editore non necessariamente corrispondono agli anni di attività della testata.
Propone, per le ragioni esposte, di sostituire la lett. e), dell’articolo 6, comma 1, con la seguente: “e) anni di attività della testata”.
Un soggetto, con riferimento al criterio di cui alla lettera d), sottolinea che le Società operanti nella sola editoria online impiegano un numero molto elevato di figure professionali non assunte con mansioni giornalistiche ma che sono ugualmente fondamentali alla riuscita del prodotto editoriale. Per quanto riguarda i giornalisti, poi, si applica il CCNL USPI-CISAL, che sembrerebbe escluso dalla definizione data dall’Autorità.
Un altro soggetto ritiene condivisibili i criteri individuati per determinare la base di calcolo per l’equo compenso. Ritiene il parametro individuato alla lettera c) del tutto arbitrario, in quanto prevede una valutazione qualitativa dei contenuti in base ad una definizione di rilevanza dell’editore di riferimento che ritiene del tutto non attribuibile in un contesto del genere. Con riferimento al numero di giornalisti ritiene che il criterio debba tenere conto anche di quelli aventi rapporto di lavoro part-time e a tempo determinato, anche se con parametri differenziati. Ritiene che l’inserimento da parte delle imprese di media monitoring e rassegne stampa di una testata tra quelle osservate debba determinare una remunerazione, indipendentemente dagli articoli selezionati. Condivide l’idea di attribuire a ciascun criterio un peso diverso, ma si dovrebbero verificare le ponderazioni rispetto a ciascun criterio proposto.
Un soggetto segnala, con specifico riferimento al criterio di cui alla lettera b), che si tratta di un criterio non pertinente che andrebbe espunto, o in alternativa non dovrebbe essere tenuto in considerazione per le persone giuridiche, e ciascuna di esse dovrebbe essere indicata come singolo utente, indipendentemente dai potenziali accessi dei propri dipendenti. Secondo il soggetto rispondente, tale criterio non è coerente con l’utilizzo delle rassegne stampa. Infatti, il numero degli utenti può variare sensibilmente in ciascuna giornata, per cui si tratterebbe di un dato del tutto variabile. Né tale numero modifica o incide sul valore attribuito alla rassegna stampa, considerato che il rapporto contrattuale intercorre tra il Contraente e la singola agenzia di media monitoring, senza alcun riguardo agli utenti effettivi che quotidianamente potranno accedere alla rassegna stampa.
Un soggetto esprime parere positivo relativamente ai criteri individuati dall’Autorità, ma non condivide la scelta di dare un ordine di rilevanza ai criteri. Propone l’applicazione del metodo cumulativo, previa riduzione del numero dei criteri e semplificazione del loro contenuto. Non condivide la proposta di attribuire a ciascun criterio un peso diverso.
Un soggetto ritiene che la metodologia di applicazione dei criteri non paia coerente con il contenuto dell’articolo 43-bis, che non prevede una diversa pesatura dei vari criteri, ma pare indicare che tutti i criteri siano posti sullo stesso piano e nessuno sia gerarchicamente sovraordinato agli altri. Sottolinea che i criteri appaiono, in pari grado, sintomatici della qualità e del valore economico e informativo del materiale sfruttato per la rassegna stampa. Ad essi, quindi, dovrebbe essere dato un valore uguale di pesatura, in una scala corta di attribuzione di punteggi. Ad ogni punto dovrebbe corrispondere un aumento dal minimo dell’aliquota fino al massimo, nella misura di una frazione di punto percentuale. Ritiene che il criterio del numero effettivo di utenti finali debba essere espunto, in quanto non previsto dalla norma e comunque scarsamente significativo rispetto al valore del
materiale usato nelle rassegne stampa. In subordine, andrebbe almeno specificato che ogni persona giuridica va conteggiata come utente finale unico, a prescindere dal numero dei lavoratori/dipendenti/collaboratori impiegati e che hanno accesso alla rassegna stampa.
Osservazioni dell’Autorità
Sulle osservazioni di carattere generale
L’Autorità ritiene di dover confermare la distinzione operata rispetto alle imprese di media monitoring e di rassegna stampa (IMMRS) nell’ambito dei prestatori di servizi della società dell’informazione, in quanto caratterizzate da differenze strutturali, in primis con riferimento alla natura dei servizi che offrono. Queste, infatti, forniscono, di regola a titolo oneroso, i propri servizi a clienti che sottoscrivono contratti di fornitura dei relativi servizi personalizzati, di cui beneficia una molteplicità di utenti finali appartenenti all’organizzazione del contraente. Cionondimeno, le IMMRS, seppur attraverso un diverso modello di business rispetto agli altri prestatori, danno luogo a forme di riproduzione e comunicazione al pubblico delle pubblicazioni di carattere giornalistico.
Giova sottolineare che il rinvio agli articoli 13 e 16 LDA fatto dal legislatore italiano nell’introdurre il diritto connesso di cui all’articolo 43-bis discende da quanto statuito dall’articolo 15 della direttiva (UE) 2019/790, che ha introdotto anche per gli editori il riconoscimento dei diritti di riproduzione e comunicazione al pubblico, già previsto dalla direttiva 2001/29/CE per altre categorie di titolari. Tali diritti hanno natura esclusiva e disponibile, ossia si riconosce il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione e la messa a disposizione del pubblico di opere protette.
Con riferimento all’assetto normativo anteriore alla novella, l’Autorità ha già avuto occasione di sottolineare che sebbene il servizio di rassegna stampa non fosse espressamente disciplinato dalla legge sul diritto d’autore, gli articoli di carattere editoriale recanti la clausola di riserva sono tutelati come opere dell’ingegno a carattere letterario e la loro utilizzazione economica (riproduzione, ex articolo 13, e comunicazione al pubblico, ex articolo 16, della legge n. 633/1941) è prerogativa esclusiva dell’editore ed è quindi necessario che i titolari dei diritti possano concedere licenze per gli utilizzi delle proprie opere o altri materiali ai soggetti che operano nel campo delle rassegne stampa. L’orientamento dell’Autorità è stato confermato sia dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio sia dal Consiglio di Stato.
Fermo dunque l’assetto normativo anteriore alla novella, è indubbio che gli operatori di media monitoring e rassegne stampa svolgono un importante ruolo nell’ambito del comparto istituzionale, imprenditoriale e produttivo della società, favorendo la circolazione dell’informazione e dei contenuti editoriali ad una specifica e predeterminata clientela. In tale modello di business tutte le fonti, siano esse cartacee o native digitali, nazionali e locali, generaliste e specializzate, costituiscono un input importante del servizio di rassegna stampa. Nello stesso senso, la definizione di pubblicazione di carattere giornalistico di cui all’articolo 43-bis, comma 2, si riferisce a tutte le tipologie di pubblicazioni, ricomprendendo quindi sia le fonti cartacee sia quelle native digitali, senza stabilire, tra l’altro, alcuna distinzione per gli articoli recanti la clausola di riserva di riproduzione. A tale proposito, occorre sottolineare che gli articoli recanti la clausola di riproduzione riservata costituiscono nel panorama editoriale attuale la percentuale prevalente delle pubblicazioni di carattere giornalistico e non possono ritenersi, pertanto, esclusi dalle negoziazioni tra editori e IMMRS, qualora un editore decidesse di concederli in licenza.
Ne discende che i criteri di cui al presente Regolamento possono essere adottati anche in caso di negoziazione avente ad oggetto articoli con riproduzione riservata. Con quanto sopra detto si intende esprimere una possibilità rimessa alla volontà delle parti, in quanto il nuovo articolo 43-bis non reca alcun obbligo di negoziazione, né vincola le parti a ricorrere esclusivamente ai criteri stabiliti con Regolamento Agcom, come chiarito dal comma 9 dello stesso articolo. La ratio dell’articolo 15 della Direttiva Copyright, infatti, dal quale discende l’articolo 43-bis LDA, non è quella di vincolare ma quella di incentivare la negoziazione, riconoscendo un diritto in capo agli editori e nel rispetto dei principi di trasparenza e buona fede.
Resta fermo che la riproduzione e la comunicazione al pubblico di articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso, pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico che recano la clausola di riserva di cui all’articolo 65, comma 1, LDA debba essere comunque previamente autorizzata e licenziata dal titolare dei diritti di sfruttamento economico (che ex articolo 38 LDA spetta all’editore salvo patto contrario).
Quanto alla proposta di impedire agli editori di sospendere unilateralmente il flusso dei contenuti alle IMMRS in pendenza di negoziazione si sottolinea quanto già detto in ordine alla natura, esclusiva e disponibile, dei diritti di riproduzione e comunicazione al pubblico. Le negoziazioni dovranno comunque condursi nel rispetto del principio di buona fede, in particolar modo da parte degli editori nei casi in cui vi sia già un contratto in essere ed è in corso una negoziazione ai fini del rinnovo della licenza.
Sulla base di calcolo
Con riferimento alla base di calcolo per la determinazione dell’equo compenso, si ritiene di poter accogliere la proposta di inserire il riferimento esplicito alle attività di media monitoring e rassegne stampa relativamente al fatturato rilevante delle imprese e, allo stesso tempo, di specificare che rientrano nel calcolo tutte le attività comunque connesse alla fornitura di tali servizi. Per attività comunque connesse alla fornitura dei servizi di rassegna stampa e media monitoring si intendono tutte le attività afferenti ai processi di lavorazione, riproduzione e diffusione al pubblico delle pubblicazioni di carattere giornalistico, quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, rassegna stampa (selezione, indicizzazione, organizzazione, collazione, estrazione, trasmissione e messa a disposizione di pubblicazioni di carattere giornalistico), servizi di monitoraggio, media analysis, produzione, realizzazione e commercializzazione di ritagli stampa, banche dati, servizi telematici e informatici, software monitoraggio agenzie, fornitura di software e hardware, delivery. Ciò al fine di perimetrare con esattezza il fatturato che realmente
rileva ai fini della remunerazione dell’equo compenso, comprendendo tutte le attività connesse a quelle di media monitoring e rassegne stampa ma evitando di includere voci di ricavo che nulla hanno a che vedere con l’utilizzo delle pubblicazioni di carattere giornalistico.
Quanto alle osservazioni relative ai costi sostenuti da entrambe le parti, l’Autorità ritiene di dover confermare l’impianto proposto con la delibera di consultazione e non prevedere un abbattimento nella base di calcolo. Si rileva a tale proposito che sia per quanto attiene all’attività editoriale sia per quella relativa al servizio di media monitoring e rassegna stampa gli investimenti risultano essere strumentali alla produzione e, pertanto, non rilevanti ai fini della determinazione della base di calcolo.
Si ribadisce, inoltre, che nessun tipo di ricavo può essere sottratto dalla base di calcolo relativa alle imprese di media monitoring e rassegne stampa, in quanto alcun tipo di remunerazione o di ritorno economico deriva agli editori da detti servizi, salvo il compenso pattuito per la messa a disposizione delle pubblicazioni di carattere giornalistico utilizzate dalle IMMRS.
Sulla definizione dell’aliquota
In merito alla proposta avanzata da un soggetto di individuare una soglia minima dell’ammontare del compenso, articolata secondo la caratterizzazione dell’articolo (con riproduzione riservata, senza riproduzione riservata ed esclusivamente online), sulla base della prassi di mercato, si sottolinea quanto segue. Non v’è dubbio che gli articoli recanti la clausola di riserva di riproduzione debbano essere oggetto di una maggiore valorizzazione rispetto agli articoli liberamente riproducibili. Non si ritiene, però, di dover stabilire una forbice per la definizione dell’aliquota da applicare alla base di calcolo, né un’aliquota unica, in quanto andrebbe a vincolare eccessivamente la libertà contrattuale delle parti coinvolte. Sul mercato, infatti, esiste un sistema consolidato e riconosciuto, particolarmente efficace in ambito di contrattazioni collettive, cui, tuttavia, non si riscontra un’adesione unanime. Come sottolineato anche con riferimento all’articolo 4, il modello di determinazione dell’equo compenso deve restare sufficientemente generale da essere potenzialmente applicabile a ogni tipologia di accordo liberamente scelta dalle parti.
Tutto ciò premesso, giova sottolineare che nel sistema Promopress, cui aderiscono una gran parte degli editori, l’aliquota applicata è pari all’8% del fatturato rilevante. Si ritiene pertanto di non poter considerare valori inferiori per la determinazione minima dell’equo compenso. Per quanto riguarda, invece, una valorizzazione del valore massimo, si ritiene che questa debba necessariamente tenere conto del fatturato annuo globale del settore, che si attesta attualmente intorno ai 40 milioni di euro, e della sua eventuale evoluzione nel tempo. Le negoziazioni dovranno, pertanto, condursi secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità, oltre che nel rispetto del principio di buona fede.
Sui criteri per la determinazione dell’equo compenso
Quanto alle osservazioni proposte in ordine ai criteri di cui al comma 2, si sottolinea quanto segue.
Con riferimento al criterio di cui alla lettera a), ossia il numero di articoli riprodotti all’interno della rassegna stampa anche tramite collazione degli articoli o del servizio di media monitoring, alla luce di alcune osservazioni, si ritiene di dover specificare che per numero di articoli si intende il numero delle riproduzioni di cui ogni singolo articolo è fatto oggetto in ciascuna rassegna fornita dall’impresa e che gli articoli devono essere conteggiati per ogni singolo editore rispetto all’anno di riferimento.
Per quanto attiene al criterio di cui alla lettera b), ossia il numero effettivo degli utenti finali, inteso come numero di utenti presso il cliente dell’impresa di media monitoring e di rassegna stampa, questo è un indicatore che restituisce informazioni sulla reale circolazione delle opere all’interno dell’organizzazione del contraente che usufruisce dei servizi di rassegna stampa o di media monitoring.
Questa Autorità si è già espressa in merito al diritto di comunicazione al pubblico nell’ambito delle rassegne stampa, sottolineando che, se, da un lato, è pacifico ritenere che il servizio di rassegna stampa costituisce un atto di comunicazione, in quanto in questa definizione si fa rientrare qualsiasi trasmissione di opere protette, a prescindere dal mezzo utilizzato, dall’altro lato, con riferimento alla definizione del pubblico destinatario del servizio di rassegna stampa, sulla base dei criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, devono essere considerati elementi quali il numero di persone destinatarie della comunicazione o la presenza di nuovo pubblico. Le IMMRS forniscono i propri servizi perlopiù ad una clientela determinata, che non sembra corrispondere ad un pubblico generalizzato. Ciò nondimeno, a giudizio dell’Autorità, risulta necessario tenere conto del fatto che tale clientela potrebbe consistere in un numero indeterminato di destinatari potenziali.
Anche il sistema Promopress, riconosciuto valido dalla maggior parte dei soggetti rispondenti, prevede per la consultazione delle rassegne stampa fino a 10 utenti e degli scaglioni per gli ulteriori utilizzatori, stabilendo importi diversi a seconda dello scaglione di appartenenza.
Quanto alla natura mutevole di tale criterio e alla difficoltà di conoscere a priori il reale numero di utenti finali, sollevata in particolare dalle IMMRS, si ritiene sia possibile prevedere un sistema a consuntivo, con la comunicazione da parte dei clienti degli utenti finali effettivi che sono stati in condizione di usufruire delle rassegne stampa nell’anno di riferimento, in quanto dipendenti o comunque appartenenti alla società o pubblica amministrazione contraente. Per stabilire se si è in presenza di una comunicazione al pubblico, infatti, bisogna considerare i potenziali accessi a una data opera. Ciò alla luce di quanto la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha chiarito nella sentenza Reha Training g (C-117/15), ossia che è pubblico un “fairly large number of people” valutato in base ad effetti economici cumulativi, in considerazione della determinatezza e/o determinabilità dei destinatari della comunicazione in contrapposizione alla generalità dei consociati. La Corte ha sottolineato che la nozione di “pubblico” riguarda un numero indeterminato di destinatari potenziali, da valutare in relazione a quante persone abbiano accesso alla stessa opera simultaneamente e in successione.
Tenuto conto, infine, che la medesima clientela delle IMMRS è vincolata dalle condizioni generali di contratto ad un uso strettamente personale e riservato delle rassegne stampa, per garantire maggiore certezza in tale ambito, si ritiene di dover accettare la proposta di specificare che gli utenti finali debbano essere contrattualizzati per iscritto.
Con riferimento al criterio di cui alla lettera c) l’Autorità intende confermare che il beneficio che deriva alle imprese di media monitoring e rassegne stampa dall’utilizzo delle pubblicazioni è strettamente legato agli interessi del contraente, dal momento che i servizi di media monitoring e di rassegna stampa si fondano proprio su una selezione dei contenuti informativi in base alle richieste formulate dal cliente. La rilevanza dell’editore, poi, non può che essere relativa, in quanto necessariamente parametrata alla rispondenza della produzione dell’editore rispetto alle specifiche esigenze del contraente, ed espressa, tra gli altri, dal grado di copertura delle tematiche di interesse del contraente o dalla diffusione dell’editore nell’area geografica all’interno della quale opera il contraente o nella quale si concentrano i suoi interessi. Quanto alla proposta di un soggetto di aggiungere tra i criteri uno che dia conto dell’autorevolezza dell’editore, ancorandolo al numero di abbonamenti sottoscritti, si sottolinea che il criterio della rilevanza ben può comprendere l’autorevolezza di una determinata testata in uno specifico settore di riferimento. In tale ottica, il numero di abbonamenti sottoscritti costituisce sicuramente un indicatore del valore della pubblicazione utile ai fini della determinazione del compenso dovuto per il suo utilizzo, così come gli accessi unici degli utenti alle testate giornalistiche online, misurazioni che dovrebbero essere condotte tenendo conto dei dati elaborati dal JIC di riferimento.
Quanto al numero di giornalisti impiegati dall’editore, questi rappresentano la risorsa essenziale alla base della produzione delle pubblicazioni utilizzate dall’impresa, che incide sui costi dell’editore, ma anche sulla quantità, varietà e qualità delle pubblicazioni utilizzabili per il servizio di media monitoring e di rassegna stampa e che, dunque, ha un impatto rilevante anche sul valore di tale servizio, con conseguente beneficio per l’impresa. Non si ritiene, però, di poter accogliere la proposta di dare maggior importanza al criterio di cui alla lettera d), in quanto alcune realtà editoriali non impiegano in modo prevalente giornalisti, ma risorse professionali differenti, ai fini della produzione del prodotto editoriale. Si ritiene, invece, di dover accettare l’inserimento, da più parti proposto, anche dei giornalisti con rapporto di lavoro part-time e a tempo determinato.
In merito alla proposta di modifica relativa al criterio di cui alla lettera e), che intende attribuire gli anni di attività alla singola testata e non all’editore, si sottolinea che le disposizioni di cui all’articolo 43-bis, dalle quali deriva il Regolamento, si riferiscono all’editore in quanto soggetto al quale vengono riconosciuti i diritti esclusivi di riproduzione e comunicazione al pubblico. Non si ritiene, pertanto, di poter accogliere tale proposta di modifica. Ciò premesso, è indubbio che vi sia un riferimento implicito alla testata appartenente a un determinato editore, soprattutto se si considera che nell’ottica collettiva la popolarità di un gruppo editoriale corrisponde a quella della
testata. Pertanto, l’Autorità ritiene di dover integrare tale criterio specificando che gli anni di attività dell’editore possono essere valutati anche in relazione alla storicità della testata.
Con riferimento all’osservazione secondo cui i criteri di cui alle lettere c), d) ed e) debbano ritenersi assorbiti dal criterio di cui alla lettera a) si sottolinea che l’articolo 43-bis prevede che si tenga conto dei diversi criteri dettati dal comma 8 dello stesso articolo. L’Autorità ha ritenuto di dover individuare un insieme distinto di criteri per le IMMRS coerente con la natura di tali imprese, ma non si ritiene di poter prescindere in toto dalle indicazioni del legislatore. Il criterio di cui alla lettera a), inoltre, è oggettivo e di natura quantitativa, mentre quelli di cui alle lettere c), d) ed e) misurano aspetti di natura prevalentemente qualitativa.
Quanto alla proposta di promuovere da parte di questa Autorità l’istituzione di una entità a cui sia demandata in concreto l’attività di calcolo e rendicontazione, al fine di non gravare le imprese di media monitoring e rassegna stampa e disporre di un sistema di rendicontazione obiettivo e di modalità semplici e trasparenti nella applicazione dei criteri per la definizione dell’equo compenso, si sottolinea che l’Agcom è stata chiamata ad intervenire solo nel caso in cui non vi sia un accordo tra le parti e una di queste si rivolga ad essa ai fini della definizione dell’equo compenso.
Articolo 7
(Obblighi di comunicazione e di informazione)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Diversi soggetti non hanno formulato osservazioni sull’articolo 7.
Un soggetto sottolinea che il disposto di cui all’articolo 7 appare coerente con il ruolo assegnato all’Autorità nel quadro della normativa di cui all’articolo 43-bis. Rileva, però, che gli unici documenti utili sono i bilanci annuali e le tabelle riassuntive, anno per anno, del numero totale delle riproduzioni di articoli operate nel complesso delle rassegne e il numero delle riproduzioni di articoli di ogni singola testata. L’elenco clienti, richiesto da alcuni editori alle IMMRS, invece, non è di alcuna necessità e costituisce, al di là dei vincoli di riservatezza, un segreto commerciale che l’impresa ha il diritto di mantenere tale, anche perché nessuna rilevanza sui suoi ricavi e nessuna rilevanza utile alla determinazione dell’equo compenso può spiegare l’identità dei singoli clienti. Sottolinea, poi, che ben possono essere previste verifiche sulla veridicità dei dati mediante l’opera di soggetti terzi e imparziali o, preferibilmente, da parte della stessa Autorità, mediante ispezione.
Lo stesso soggetto ritiene sia opportuno prevedere un’espressa indicazione nel Regolamento dei dati e delle informazioni soggetti ad obbligo di comunicazione. Infine, sottolinea che qualsiasi obbligo di comunicazione e informazione non può riguardare altro che informazioni e dati in effettivo possesso e nella libera disponibilità dell’impresa e che sarebbe utile, a prevenzione di equivoci ed errori, predisporre contenuti e formati standard delle informazioni.
Osservazioni dell’Autorità
Non si ritiene di poter accogliere la proposta di specificare all’articolo 7 del Regolamento nel dettaglio quali informazioni richiedere al fine di determinare la misura dell’equo compenso, in quanto queste possono variare sensibilmente a seconda dei casi. D’altronde, l’articolo 7 sancisce un obbligo per le imprese di media monitoring e rassegne stampa di mettere a disposizione i dati necessari ad applicare i criteri di cui all’articolo 6 al fine di determinare la misura dell’equo compenso, con ciò indentificando in maniera sufficientemente chiara quali tipi di informazioni occorrere condividere.
Vale sottolineare, più in generale, che una negoziazione in buona fede dovrebbe comportare necessariamente la condivisione delle informazioni indispensabili a procedere alla stipula di un accordo, purché naturalmente, a presupposto, vi sia la volontà di avviare una negoziazione.
Si intende, inoltre, che, come precisato al comma 2 dell’articolo 7, l’adempimento dell’obbligo non esonera dal rispetto della riservatezza delle informazioni di carattere commerciale, industriale e finanziario. Quanto alla possibilità di effettuare ispezioni, si rileva che questa è già prevista al comma 4 dello stesso articolo.
Capo IV
Procedura per la richiesta di intervento dell’Autorità ai fini della determinazione dell’equo compenso
Articolo 8
(Modalità di intervento)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Un soggetto propone l’eliminazione del secondo comma dell’articolo 8. Ciò perché la Legge specifica che qualsiasi “ingiustificata limitazione” dei contenuti degli editori sarà presa in considerazione nel valutare se un prestatore di servizi ha agito in buona fede. L’attuale proposta di cui all’articolo 8, comma 2, non rispecchierebbe questo principio e potrebbe anzi portare a conseguenze indesiderate, potendosi verificare circostanze in cui, nell’ambito del normale funzionamento di una piattaforma, per ragioni tecniche o in seguito a decisioni prese dagli editori stessi la visibilità dei contenuti cambi. Ad avviso del rispondente, l’inclusione di questo nuovo obbligo non definito rischia di portare a inutili controversie ed esula dalle competenze dell’Autorità.
Anche un altro soggetto propone una modifica al comma 2, sostenendo che il disposto debba essere integrato prevedendo che la visibilità dei contenuti non sia limitata nei risultati di ricerca.
Un soggetto ritiene sia opportuno emendare l’articolo 8 affinché gli editori, dato il considerevole squilibrio di forza contrattuale, non possano unilateralmente interrompere l’accesso ai contenuti editoriali “forzando” i rassegnisti ad accettare condizioni economiche e contrattuali da essi ritenute non eque.
Diversi soggetti non hanno presentato osservazioni rispetto al presente articolo.
Osservazioni dell’Autorità
Si ritiene di non poter accogliere la proposta di eliminare il secondo comma dell’articolo 8 poiché tale disposizione risulta coerente con quanto previsto dall’articolo 43-bis, comma 9, LDA. Si ritiene, invece, di poter accogliere la proposta di modifica volta a specificare che la visibilità dei contenuti degli editori non sia limitata, da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione, nel corso delle negoziazioni, “nei risultati di ricerca” in quanto maggiormente aderente al dettato della norma primaria. Contrariamente, si ritiene di non poter accogliere la proposta di emendamento volta ad estendere l’applicazione del comma 2 dell’articolo in commento anche alle negoziazioni tra imprese di media monitoring e rassegne stampa ed editori, in ragione del fatto che i diritti di riproduzione e comunicazione al pubblico sono diritti esclusivi e disponibili riconosciuti in capo agli editori, come diffusamente chiarito nelle osservazioni relative all’articolo 6.
Articolo 9
(Avvio della procedura)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Un soggetto propone di modificare il primo comma, dal momento che gli indirizzi di posta elettronica certificata sono riservati esclusivamente a persone fisiche/enti italiani mentre le società non italiane non dispongono di un indirizzo PEC.
In merito al comma 4, suggerisce di chiarire cosa avviene se durante una procedura davanti all’Autorità venga avviato un procedimento giudiziario e di prevedere che la procedura non possa essere promossa anche quando per lo stesso oggetto sia pendente un procedimento dinanzi all’Autorità giudiziaria. Rispetto al comma 5, ritiene opportuno sottolineare che l’Autorità dovrà respingere, in quanto inammissibili, le richieste laddove: i) il richiedente non sia un editore di stampa in possesso dei requisiti ai sensi della Legge e dello Schema di regolamento; ii) le parti non abbiano concluso le trattative o le discussioni non siano in una fase in cui il contributo dell’Autorità è necessario od opportuno; iii) non sia stato possibile verificare l’identità e/o i diritti di un determinato editore; iv) la richiesta riguardi contenuti caricati dall’editore sulla piattaforma di social media; v) la richiesta sia preclusa poiché è stato avviato un procedimento giudiziario avente lo stesso oggetto.
Un altro soggetto ritiene che l’inammissibilità delle istanze cumulative, ossia presentate in forma associata dagli editori, prevista dall’articolo 9, comma 2, non sia conforme al disposto dell’articolo 43-bis LDA.
Un soggetto propone di prevedere che i trenta giorni di cui al comma 1 siano giorni lavorativi e che la richiesta di avvio di negoziato possa essere trasmessa con qualsiasi altro mezzo che garantisca la prova della ricezione da parte dei destinatari.
Lo stesso soggetto propone anche la modifica dell’articolo 9, comma 2, al fine di garantire il diritto di difesa della controparte, prevedendo che il soggetto istante debba allegare all’istanza i dati necessari per l’applicazione dei criteri ai fini della determinazione dell’importo dell’equo compenso di cui egli dispone. Suggerisce inoltre che il soggetto istante invii alla controparte una copia dell’istanza entro il giorno lavorativo successivo al deposito dell’istanza.
Propone, infine, per coerenza con l’articolo 43-bis, comma 10, LDA di modificare l’articolo 9, comma 4, prevedendo l’archiviazione anche nel caso in cui in pendenza della procedura venga avviato un procedimento giudiziario.
Diversi soggetti non hanno presentato osservazioni rispetto al presente articolo.
Osservazioni dell’Autorità
Si ritiene di poter accogliere le osservazioni in merito all’esclusivo utilizzo della posta elettronica certificata, specificando che si faccia ricorso alla stessa “ove possibile”, ovvero, in alternativa, consentendo il ricorso a qualsiasi altro mezzo che garantisca la prova della ricezione da parte dei destinatari, quali ad esempio lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, o caricamento sulle piattaforme dei destinatari con ricevuta di ritorno rilasciata dai destinatari.
Con riferimento alla modifica del termine di trenta giorni per la negoziazione, trascorso il quale è possibile presentare istanza all’Autorità, si sottolinea che tale termine è previsto dalla norma di legge e pertanto non si ritiene di poterlo modificare. Ciò premesso, si ritiene che tale termine debba essere ancorato a una data certa, ai fini di una successiva verifica da parte dell’Autorità, che è chiamata ad esercitare le sue competenze solo in un secondo momento, ossia in caso di mancato accordo tra le parti e sempre se una delle parti lo ritiene opportuno.
Quanto alle proposte di modifica relative al comma 2 dell’articolo in commento, si sottolinea che la parte che promuove la procedura innanzi all’Autorità è tenuta a depositare tutta la documentazione utile ai fini della determinazione dell’equo compenso. Ciò non solo ai fini della ricevibilità dell’istanza, ma anche nel suo interesse. In caso contrario, i dati mancanti e comunque necessari per la determinazione del compenso saranno oggetto di una richiesta di informazioni ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento.
Si ritiene, invece, di dover accogliere la proposta di modifica volta a consentire istanze formulate in forma associata, ma resta fermo che le istanze presentate nei confronti di più soggetti saranno considerate irricevibili.
Si ritiene, inoltre, di chiarire che l’intervento dell’Autorità si propone come alternativo, e non sostitutivo, rispetto a quello dell’autorità giudiziaria, prevedendo non solo la non procedibilità dell’istanza qualora sia stata adita l’autorità giudiziaria ma anche l’archiviazione della procedura amministrativa laddove il soggetto istante adisca
l’autorità giudiziaria in un secondo momento. In tali casi, il soggetto istante è tenuto ad informarne la Direzione. Quanto alle considerazioni sull’identità dell’oggetto della negoziazione, l’Autorità ritiene di doversi riservare una valutazione caso per caso.
Con riferimento all’archiviazione in via amministrativa delle istanze, si sottolinea che le istanze presentate da soggetti diversi dagli editori e dai prestatori di servizi della società dell’informazione, incluse le imprese di media monitoring e rassegne stampa, così come definiti dal presente Regolamento, saranno ritenute inammissibili. Così come rientreranno in un caso di inammissibilità le istanze aventi ad oggetto contenuti caricati dai titolari dei diritti, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione del Regolamento. Le istanze presentate da soggetti la cui identità non sia certa saranno invece archiviate per difetto di informazioni essenziali. Non si ritiene, dunque, di dover accogliere le proposte di modifica formulate in relazione al comma 5.
Si ritiene, invece, di poter prevedere che il richiedente informi la controparte di aver presentato un’istanza all’Autorità. Ciò ove possibile e al fine di garantire maggior speditezza alla definizione della procedura. I diritti di partecipazione, infatti, sono già garantiti da quanto disposto dall’articolo 10, in quanto la Direzione comunica alle parti l’avvio della procedura entro cinque giorni lavorativi dalla ricezione dell’istanza.
Articolo 10
(Trasmissione dell’istanza alla parte convenuta)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Un soggetto, al fine di garantire il diritto di difesa della controparte, propone di modificare il comma 1 prevedendo che la Direzione comunichi alle parti anche gli eventuali documenti e le informazioni forniti dal soggetto che ha presentato l’istanza e il comma 2, estendendo il termine ivi previsto a venti giorni lavorativi.
Un altro soggetto per quanto riguarda l’articolo 10, comma 2, suggerisce di estendere il termine per fornire le informazioni e i dati necessari da dieci giorni lavorativi a quindici. La ragione di tale proposta è quella di fornire alla parte convenuta tempo sufficiente per individuare e preparare le informazioni e i dati necessari.
Diversi soggetti non hanno presentato osservazioni rispetto al presente articolo.
Osservazioni dell’Autorità
L’Autorità si riserva ogni valutazione relativa alla trasmissione alle parti della documentazione e delle informazioni fornite dai soggetti istanti nell’ottica di un bilanciamento tra il rispetto della riservatezza e la tutela dei diritti in gioco. Si ritiene di dover confermare i termini procedimentali alla luce di quanto disposto dall’articolo 43-bis LDA. Tuttavia, si ritiene di dover prevedere, all’articolo 11, una sospensione dei termini, non superiore a 20 giorni, per garantire la possibilità di svolgere ulteriori necessari approfondimenti da parte dell’Autorità.
Articolo 11
(Convocazione delle parti)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Diversi soggetti concordano con la proposta di svolgere un incontro tra le parti.
Un soggetto suggerisce che a ciascuna parte venga data la possibilità di richiedere un incontro oltre a presentare osservazioni scritte. Se nessuna delle parti richiede un incontro orale, la questione dovrà essere decisa solo sulla base delle comunicazioni scritte. Se una, o entrambe le parti, richiedono un incontro, il Consiglio dovrà fissare una data e un orario, con un ragionevole preavviso che consenta alle parti di prepararsi.
Diversi soggetti non hanno presentato osservazioni rispetto questo articolo.
Osservazioni dell’Autorità
Si ritiene di poter confermare quanto previsto in merito alla convocazione delle parti.
Articolo 12
(Determinazione del compenso)
Posizioni principali dei soggetti intervenuti
Un soggetto sottolinea, rispetto alla possibilità di intervento dell’Autorità nella determinazione dell’equo compenso, che rimane ferma l’assenza di un qualsiasi obbligo dell’editore a negoziare e tantomeno a contrarre.
Un soggetto suggerisce che l’Autorità aggiunga una disposizione che garantisca la riservatezza dei dati sensibili a cui l’organo collegiale potrebbe fare riferimento nelle sue decisioni. A tal fine, suggerisce di aggiungere una clausola che stabilisca che le decisioni dell’Autorità non saranno pubblicate o, quanto meno, aggiungere una clausola che stabilisca che l’organo collegiale non farà alcun riferimento a dati sensibili nelle versioni pubbliche delle decisioni e predisponga un meccanismo che consenta alle parti di richiedere la riformulazione di qualsiasi informazione sensibile prima della pubblicazione.
Diversi soggetti non hanno presentato osservazioni rispetto al presente articolo.
Osservazioni dell’Autorità
Si ritiene di non dover specificare anche all’articolo in commento l’assenza di un qualsiasi obbligo a negoziare o a contrarre, in quanto diffusamente chiarito nelle altre disposizioni. Si specifica, infine, che l’Autorità, nella pubblicazione delle sue decisioni, terrà conto della riservatezza delle informazioni di carattere commerciale, industriale e finanziario.
RITENUTO pertanto che, a seguito dei rilievi e delle osservazioni formulati nell’ambito della consultazione da parte dei soggetti intervenuti, debbano essere accolte, nei limiti e per le ragioni espresse, le conseguenti modifiche e integrazioni allo schema di regolamento posto in consultazione;
UDITA la relazione del Presidente;
DELIBERA
Articolo unico
1. È approvato il “Regolamento in materia di individuazione dei criteri di riferimento per la determinazione dell’equo compenso per l’utilizzo online di pubblicazioni di carattere giornalistico di cui all’articolo 43-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633”, di cui all’allegato A alla presente delibera.
2. La relazione di analisi di impatto della regolamentazione (AIR) è contenuta nell’allegato B alla presente delibera.
3. Gli allegati A e B costituiscono parte integrante e sostanziale del presente provvedimento.
Il presente provvedimento è pubblicato sul sito dell’Autorità.
Roma, 19 gennaio 2023
IL PRESIDENTE
Giacomo Lasorella
Per attestazione di conformità a quanto deliberato
IL SEGRETARIO GENERALE
Giulietta Gamba