Sommario: 1. Premessa — 2. Il progetto Creative Commons: finalità e principi ispiratori — 3. Struttura delle licenze Creative Commons — 4. Problematiche relative all’adattamento delle licenze Creative Commons ad alcuni aspetti dell’ordinamento italiano.
1. Premessa
La condivisione della conoscenza è stato uno dei principi promotori dello sviluppo di Internet. La presenza di contenuti ed informazioni liberamente accessibili è stato uno dei fattori chiave che hanno favorito la rapida diffusione della rete, dapprima nei centri di studio e di ricerca e in seguito negli uffici e nelle case di miliardi di individui. Caratteristica saliente di Internet nella prima fase del suo sviluppo è stata la pressoché totale libertà di accesso e condivisione dei contenuti presenti in rete, i quali venivano pubblicati proprio a questo scopo.
Il successivo, rapido sviluppo di Internet attraverso la diffusione della possibilità di accedere alla rete facilmente, a costi contenuti e tramite connessioni a banda larga, ha rappresentato l’opportunità di creare un nuovo modello commerciale per il quale informazioni e contenuti non erano più liberamente accessibili e condivisibili, ma costituivano piuttosto l’oggetto dell’offerta commerciale ed Internet il mezzo attraverso il quale realizzarla.
D’altra parte, proprio a seguito del suo sviluppo, Internet è divenuta lo strumento ideale per la circolazione di opere, in particolare quelle musicali e audiovisive, che possono essere facilmente copiate e trasmesse in forma digitale, quindi senza una rilevante perdita di qualità ed a costi prossimi allo zero. In questo contesto si inseriscono i numerosi fenomeni di violazione dei diritti d’autore messi in atto soprattutto attraverso l’uso delle cosiddette reti peer-to-peer.
Per contro e inevitabilmente, i detentori dei diritti d’autore di quei generi di opere la cui riproduzione e diffusione incontrollata la rete ha agevolato, si sono progressivamente fatti più attenti al fenomeno Internet. Inizialmente i detentori dei diritti su tali opere hanno percepito Internet più come una minaccia al loro modello di business che come un’opportunità per lo sviluppo di nuovi mercati. La consapevolezza che la situazione di anarchia esistente in rete ha, nel corso del tempo, ripetutamente condotto a più o meno inconsapevoli violazioni dei loro diritti di utilizzazione economica, ha infatti indotto i titolari dei diritti a politiche di repressione degli abusi, di limitazione nella messa a disposizione dei contenuti in rete e di pressione sul legislatore per ottenere una regolamentazione di Internet favorevole alla salvaguardia dei propri interessi economici.
La combinazione dei fattori descritti poc’anzi potrebbe condurre verso scenari completamente diversi da quelli di totale libertà e gratuità di accesso ai contenuti che avevano caratterizzato Internet ai suoi albori. Questo è per lo meno il timore espresso da Lawrence Lessig, uno tra i promotori del progetto Creative Commons, il quale afferma che, continuando per questa strada, Internet diverrà “un contesto dove tutte le forme di utilizzo di contenuti saranno soggette ad autorizzazione”, passando quindi da una situazione di partenza di “no rights reserved” ad una di “all rights reseverd”[1].
2. Il progetto Creative Commons: finalità e principi ispiratori
Partendo da queste considerazioni ha preso avvio il progetto Creative Commons, il quale si pone l’obbiettivo di garantire agli autori la tutela del proprio lavoro, consentendo nel contempo ai fruitori dell’opera alcune forme di utilizzazione dell’opera stessa, in modo tale da riportare equilibrio tra tutela dell’autore e impulso all’innovazione.
Lo slogan del progetto Creative Commons è infatti “some rights reserved”, espressione che evidenzia come la prospettiva dei promotori si ponga in alternativa alle due tendenze estremiste in tema di tutela d’autore che sono rappresentate dalle espressioni “all” e “no rights reserved”.
Il ragionamento fatto da Lessig è infatti duplice: se da un lato deve essere sottolineato come la tutela dell’opera e l’esclusiva sul suo sfruttamento economico rappresentino un importante stimolo alla creatività dell’autore, il quale altrimenti vedrebbe altri appropriarsi del frutto del suo lavoro, è altrettanto vero che l’eccessiva estensione della tutela stessa, non solo in termini di tempo ma anche sul piano delle modalità di utilizzo dell’opera, costituisce un freno alla possibilità per altri potenziali autori di esprimere la propria creatività senza violare l’altrui esclusiva.
Inoltre, al di là dell’eccessiva estensione della tutela, un altro fattore limitante per chi voglia utilizzare opere o brani di opere tutelate dal diritto d’autore è legato alla difficoltà di ottenere l’autorizzazione dal titolare dei diritti sull’opera originaria, ad ancor prima di identificare correttamente il detentore dei diritti relativi all’utilizzazione richiesta.
I promotori del progetto Creative Commons si sono dunque posti come fine quello di realizzare una forma di tutela delle opere equilibrata e flessibile, in contrasto con le tendenze restrittive descritte nel precedente paragrafo, nella convinzione che la volontaria concessione di alcune delle facoltà spettanti all’autore dell’opera possa costituire un incentivo alla creatività ed alla cooperazione, nel pieno rispetto dei diritti dell’autore e delle possibilità di quest’ultimo di sfruttare economicamente la propria opera.
Sebbene i promotori del progetto dichiarino esplicitamente di essersi ispirati al lavoro svolto dalla Free Software Foundation nel campo dei programmi per elaboratore ed ai principi libertà e condivisione della conoscenza che il software libero rappresenta, il sistema di licenze da essi creato non è rivolto al software, ma ad altri generi di creazioni, quali opere letterarie, musicali, audiovisive, fotografiche, ecc.
Per la gestione del progetto Creative Commons è stata creata nel 2001 una persona giuridica senza fini di lucro, con sede in Massachusetts ma con base operativa presso l’Università di Stanford, presieduta da Lawrence Lessig[2]. La versione italiana del progetto ha preso avvio nel 2004, giungendo alla fine dello stesso anno alla presentazione della traduzione dei modelli di licenza che, come si vedrà nel prossimo paragrafo, costituiscono lo strumento che consente di mettere in pratica le finalità di Creative Commons.
3. Struttura delle licenze Creative Commons
Al fine di rimuovere gli ostacoli alla condivisione delle opere e alla creazione di opere derivate, rendendo nel contempo più semplice la gestione dei diritti, Creative Commons ha creato un sistema di contratti di licenza di semplice comprensione e gestione anche da parte di chi non sia in possesso di alcuna conoscenza giuridica.
Infatti, attraverso il sito web del progetto, grazie ad un procedimento guidato che pone semplici domande sulle facoltà che l’autore intende concedere ai fruitori della sua opera, è possibile scegliere tra i sei predefiniti il modello di licenza che meglio si adatta alle proprie esigenze.
L’utilizzo di simboli intuitivi che contraddistinguono le principali caratteristiche di ogni licenza, quali ad esempio la concessione della possibilità di modificare l’opera o il divieto di sfruttarla per fini commerciali, consente, dapprima a chi intendere pubblicare la propria opera attraverso licenza Creative Commons e successivamente a chi ne fruisce, di visualizzare con maggiore immediatezza quali siano le possibilità di utilizzo concesse.
Inoltre le licenze sono state predisposte in tre forme diverse, le quali consentono di semplificare ulteriormente il processo di pubblicazione e la successive modalità di utilizzazione dell’opera.
Una prima forma, denominata Commons Deed, è un riepilogo della licenza. Creative Commons avverte che tale riepilogo non ha valore legale e non sostituisce le condizioni di licenza vere e proprie. Deve quindi essere semplicemente considerato come uno strumento per permettere ai fruitori dell’opera una rapida comprensione dei punti salienti delle condizioni di licenza, grazie anche all’impiego dei simboli che li identificano, in modo tale che chi voglia utilizzare l’opera possa conoscere con facilità quali siano le facoltà attribuite e quali i limiti posti dall’autore.
La seconda forma, richiamata dal Commons Deed per mezzo di un collegamento ipertestuale, è il contratto di licenza vero a proprio, o Legal Code.
La terza ed ultima è in forma di codice interpretabile dagli elaboratori elettronici, detta Digital Code. Tale codice, inserito nella versione digitale dell’opera, consente da un lato a motori di ricerca[3] e ad altri applicativi[4] di catalogare l’opera in base alla licenza Creative Commons con la quale è stata messa a disposizione, e dall’altro lato permette al software dei dispositivi elettronici attraverso i quali è fruita l’opera di informare gli utilizzatori di quali siano le facoltà concesse e quali i limiti stabiliti dalla licenza.
La forma utilizzata per regolare le modalità di utilizzo dell’opera da parte de l titolare dei diritti esclusivi è dunque quella del contratto di licenza. Attraverso la licenza il titolare dei diritti esclusivi di utilizzazione economica su un’opera (licenziante) concede ad un altro soggetto (licenziatario) la facoltà di compiere determinate attività che altrimenti sarebbero riservate esclusivamente in capo al primo. Si tratta dunque di un permesso rilasciato dal titolare dei diritti patrimoniali sull’opera per rendere lecite alcune forme di utilizzazione, nelle modalità e nei limiti stabiliti dalla licenza stessa[5].
Elemento comune a tutte le licenze del progetto Creative Commons è la concessione, effettuata da parte del titolare dei diritti in via non esclusiva, a titolo gratuito e per tutta la durata del diritto d’autore applicabile all’opera in licenza, dell’autorizzazione a esercitare i seguenti diritti sull’opera:
– riproduzione;
– comunicazione al pubblico, compresa la messa a disposizione del pubblico;
– rappresentazione, recitazione, esecuzione ed esposizione in pubblico;
– distribuzione di copie[6].
Altri elementi comuni a tutti i modelli di licenza del progetto Creative Commons sono l’applicabilità della licenza a tutto il mondo[7] e il carattere non revocabile della licenza stessa[8].
I sei schemi di licenza predefiniti proposti da Creative Commons sono a loro volta il risultato della combinazione, con le limitazioni di cui si dirà più avanti, di quattro modelli di licenza di partenza, detti “moduli”, tra i quali quello denominato Attribution è l’unico in comune a tutti.
Il modulo Attribution, contrassegnato nel Commons Deed dal simbolo, è costituito da una serie di disposizioni contrattuali che impongono al licenziatario di concedere all’autore un adeguato riconoscimento dei suoi diritti sull’opera, mantenendo intatte tutte le note informative sul diritto d’autore nell’esercizio dei diritti concessi[9]. Inoltre il licenziatario è tenuto, nell’esecuzione delle attività oggetto di licenza, ad allegare una copia della licenza prescelta dal licenziante, con l’espresso divieto di sublicenziare l’opera o di introdurre condizioni o misure tecnologiche che abbiano come effetto quello di restringere i termini della licenza o di limitare in qualche misura l’esercizio da parte del beneficiario dei diritti concessi[10]. Le condizioni ora descritte costituiscono il “modulo” base di licenza, presente, come detto, in tutti gli schemi contrattuali di Creative Commons.
Gli altri moduli, i quali possono venire combinati insieme per giungere al modello di licenza più adatto alle finalità perseguite dal licenziante, sono:
– No Derivative Works. La scelta di tale modulo ha come effetto quello di impedire ai licenziatari la creazione di opere derivate[11]. L’opera licenziata può quindi essere riprodotta, distribuita, rappresentata, ecc. solo nella sua integrità, senza alcuna modifica.
– Noncommercial. Il divieto di esercitare a fini commerciali[12] i diritti concessi dalla licenza sull’opera, o su sulle opere da essa derivate, è stato introdotto per permettere al licenziante di sfruttare in prima persona i vantaggi economici derivanti dalla messa in commercio della propria opera[13]. Infatti tale limitazione riguarda solo i licenziatari dell’opera, mentre il titolare dei diritti ben potrebbe concedere l’autorizzazione ad utilizzazioni commerciali dell’opera dietro pagamento di un corrispettivo economico[14].
Inoltre, con riferimento alle sole opere musicali, la versione Noncommercial delle licenze riserva in capo al licenziante l’incasso dei compensi provenienti dalla comunicazione al pubblico o dalla rappresentazione o esecuzione, anche in forma digitale, purché effettuata a fine di lucro, dell’opera “inclusa in repertori”[15], con tale espressione intendendosi le opere affidate ad un ente di gestione collettiva, in particolare per l’Italia alla S.I.A.E.
Questa disposizione, oggetto di uno specifico adattamento per la versione italiana delle licenze[16], pone alcuni problemi interpretativi, dal momento che, se il licenziante è associato alla S.I.A.E., non può utilizzare una licenza Creative Commons per concedere l’esercizio dei diritti di comunicazione al pubblico, rappresentazione ed esecuzione, avendo, per effetto dell’associazione, conferito mandato esclusivo per la loro gestione alla S.I.A.E.[17]. Analoga previsione regola l’incasso dei compensi derivanti dalla realizzazione e distribuzione di versioni “cover” dell’opera licenziata[18].
Identica ratio è poi sottesa alla prescrizione riguardante i diritti connessi spettanti al produttore e agli artisti interpreti ed esecutori sui fonogrammi: anche in questo caso la riscossione dei compensi per la comunicazione al pubblico dell’opera, se effettuata a fine di lucro, viene attribuita in via esclusiva al licenziante, personalmente o tramite un ente di gestione collettiva, che per i diritti connessi in Italia è l’I.M.A.I.E.[19].
Nelle licenze Creative Commons che non contengono il modulo Noncommercial, per tutte queste forme di compenso è stata prevista un’esplicita rinuncia da parte del licenziante, indipendentemente dal fatto che le utilizzazioni indicate siano compiute a scopo di lucro o meno.
Le licenze Creative Commons si occupano anche di regolare le altre forme di compenso stabilite dalle legge n. 633/1941 sul diritto d’autore (L.d.a.). L’adozione di un modello di licenza contenente il modulo Noncommercial ha l’effetto di attribuire al licenziante i compensi previsti, mentre nelle licenze prive di tale modulo, o nel caso in cui l’utilizzazione indicata non avvenga a fine di lucro, questi vi rinuncia espressamente, a meno che non si tratti di compensi irrinunciabili[20].
– Share Alike. Scegliendo di inserire il modulo Share Alike, il licenziante permette la creazione di opere derivate solo a condizione che quest’ultime vengano distribuite negli stessi termini di licenza dell’opera originaria. Il modulo Share Alike è dunque per sua natura incompatibile con il modulo No Derivative Works, poiché non avrebbe senso prevedere una clausola di distribuzione negli stessi termini di licenza per le opere derivate, nel momento in cui non si consente l’elaborazione dell’opera.
Pare opportuno segnalare che tale condizione, ispirata ai principi delle clausole c.d. di copyleft[21] presenti nelle più restrittive licenze di software libero / open source, prima fra tutte la GNU GPL, ha per effetto quello di comprimere notevolmente i diritti degli autori delle opere derivate, i quali sono obbligati a distribuire il proprio lavoro, benché meritevole di tutela indipendente dall’opera originaria a norma dell’art. 4 L.d.a., alle stesse condizioni di licenza dell’opera originaria. D’altra parte, l’impiego di regole di copyleft è un valido strumento per far sì che le elaborazioni di un’opera possano restare patrimonio comune della comunità degli utenti, incoraggiando dunque la condivisione delle opere nel rispetto dei diritti dell’autore.
4. Problematiche relative all’adattamento delle licenze Creative Commons ad alcuni aspetti dell’ordinamento italiano
Nel corso del processo di traduzione e adattamento delle licenze Creative Commons all’ordinamento italiano, svolto da un gruppo di lavoro guidato da Marco Ricolfi, si sono posti alcuni problemi di compatibilità delle condizioni licenza con particolari previsioni della normativa italiana. Le modifiche al testo originale sono state introdotte solo laddove si sia reso necessario per produrre effetti giuridicamente rilevanti, seguendo il criterio del “minimo impatto”[22].
Come anticipato in precedenza, le licenze in versione localizzata per l’Italia hanno lo scopo di regolare l’utilizzo dell’opera qualora questa venga distribuita per un utilizzo prevalentemente limitato al territorio italiano. La clausola iCommons, appositamente introdotta allo scopo, ha come conseguenza la formazione del consenso su due testi di licenza: quello della versione italiana, valido per gli utilizzi in territorio nazionale, e quello della versione internazionale corrispondente, che avrà validità qualora l’opera venga utilizzata all’estero[23].
Nell’ambito dell’esame della versione italiana delle licenze, alcune delle questioni più interessanti dal punto di vista giuridico sono quelle riguardanti la natura contrattuale delle licenze e il loro necessario coordinamento con la normativa civilistica relativa ai contratti.
In primo luogo sorge il problema della valida formazione del vincolo contrattuale. Poiché infatti le licenze Creative Commons debbono essere considerate contratti con condizioni generali predisposte da uno dei contraenti, la loro efficacia è subordinata alla conoscibilità delle condizioni da parte dell’aderente prima della conclusione del contratto. Il momento conclusivo dell’accordo va fatto coincidere, in assenza di una comunicazione da parte del licenziatario della propria accettazione, nel primo esercizio di uno dei diritti concessi dalla licenza[24]. D’altra parte il licenziatario non potrebbe, senza accettare le condizioni di licenza, compiere nessuna delle attività oggetto del contratto, dal momento che sono tutte attività il cui esercizio è riservato al titolare dei diritti esclusivi dalla legge sul diritto d’autore. Perciò se il licenziatario esercita una delle facoltà concesse dalla licenza, dimostra di accettarne le condizioni.
Per quanto riguarda poi il soddisfacimento del requisito della conoscibilità, non pare che la semplice presa visione del Commons Deed possa essere sufficiente, ma certamente, poiché il Commons Deed rimanda alle testo completo della licenza (il c.d. Legal Code), usando l’ordinaria diligenza richiesta nel caso, l’aderente è senza dubbio messo nelle condizioni di conoscere le condizioni contrattuali prima della conclusione del contratto.
Accanto alla questione della valida formazione del contratto si pone quella delle clausole vessatorie. Le licenze Creative Commons prevedono una clausola di limitazione della responsabilità per ogni genere di danni derivanti dall’uso dell’opera che rientra senza dubbio nel novero delle clausole vessatorie contemplate dall’art. 1341, II comma, c.c. Un primo adattamento della clausola presente nella versione internazionale delle licenze ha necessariamente dovuto tener conto della previsione contenuta nell’articolo 1229 c.c., a norma del quale “è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave”. In tal senso va dunque letto l’inserimento dell’ultimo periodo della clausola in esame che così recita: “Nessuna clausola di questa licenza esclude o limita la responsabilità nel caso in cui questa dipenda da dolo o colpa grave”.
Rimane aperto il problema del requisito della specifica approvazione per iscritto, a pena di nullità, delle clausole vessatorie, sancito dall’art. 1341, II comma, c.c. Nel Report on Substantive Legal Changes la questione viene definita come “non […] insormontabile, osservando che se il licenziatario fa valere la licenza dimostra di accettarne espressamente le condizioni; altrimenti il suo uso dell’opera è illegittimo”, aggiungendo che “si tratta di norma di applicazione necessaria” sino all’introduzione di “una doppia firma digitale”[25]. Per quanto si possa essere d’accordo con questa tesi sulla valida formazione del vincolo contrattuale, l’adempimento della formalità prevista dalla legge per la validità delle clausole vessatorie non appare così facilmente aggirabile. In tal senso si è espressa autorevole dottrina riguardo a contratti che presentano notevoli analogie, dal punto di vista delle modalità di conclusione del contratto, con le licenze Creative Commons, come i contratti di licenza d’uso di software[26]. Inoltre pare opportuno sottolineare come il requisito della forma scritta possa sin d’ora essere soddisfatto attraverso l’utilizzo della firma digitale, conformemente alla disciplina dettata in materia dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 così come modificato dal D.Lgs. 23 gennaio 2002, n. 10. Potrebbe quindi essere utile prevedere un adeguamento delle licenze Creative Commons consentendo al licenziatario di utilizzare la firma digitale per la separata approvazione delle clausole vessatorie, in modo da mettere al riparo il licenziante da ogni possibile richiesta di risarcimento danni.
Altro aspetto interessante del lavoro di adattamento svolto è quello che ha riguardato la clausola risolutiva inserita nella versione internazionale della licenza. La clausola risolutiva riguarda il mancato rispetto da parte del licenziatario dei limiti imposti dalla licenza all’utilizzo dell’opera. Il problema riguarda la genericità della clausola, la quale fa riferimento ad ogni violazione del regolamento contrattuale[27], in contrasto con le condizioni richieste per la sua validità nel nostro ordinamento. Infatti la clausola risolutiva espressa, fattispecie regolata dall’art. 1456 c.c., deve fare riferimento, nell’opinione unanime di dottrina e giurisprudenza, all’inadempimento di una specifica obbligazione e “se estesa a tutte le obbligazioni poste dal contratto a carico di una parte, genericamente indicate, si intende come clausola di stile, e si ha per non apposta”[28]. Inoltre il gruppo di lavoro che ha lavorato all’adattamento delle licenze ha identificato un ulteriore problema nella automatica operatività della clausola risolutiva in caso di inadempimento. In effetti il secondo comma dell’art. 1456 c.c. richiede, per il verificarsi dell’effetto risolutivo, una dichiarazione della parte interessata, prestata anche in forma implicita[29], della volontà di avvalersi della clausola[30]. Alla luce delle problematiche esposte, si è preferito tramutare la clausola risolutiva in una condizione di risoluzione del contratto, la quale opera “senza necessità di alcuna comunicazione in tal senso da parte del Licenziante, in caso di qualsivoglia inadempimento dei termini della […] Licenza da parte Tua ed in particolare delle disposizioni di cui ai punti [4.a, 4.b, 4.c, 4.d], essendo la presente Licenza condizionata risolutivamente al verificarsi di tali inadempimenti”[31]. Le modifiche introdotte hanno dunque il fine di mutare la qualificazione giuridica della clausola in esame e di renderla maggiormente circostanziata, in particolare introducendo un riferimento alle specifiche obbligazioni contrattuali, in modo tale da ridurre il rischio che possa essere dichiarata inefficace[32].
Infine, appare opportuno segnalare i problemi che potrebbero sorgere nel caso in cui una licenza Creative Commons venga impiegata in un rapporto tra professionista, inteso come una “persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che, nel quadro della sua attività professionale, utilizza il contratto”[33] e consumatore, cioè una “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”[34]. Come giustamente rilevato nel Report on Substantive Legal Changes, “tali problemi non attengono strettamente al contenuto della licenza ma a qualità soggettive del licenziante”. Il licenziante professionista dovrà quindi inserire le condizioni di licenza Creative Commons in un contratto modificato ad hoc che tenga conto degli obblighi di legge legati a tale status, quali per esempio quelli dettati dalle normative sui contratti a distanza, di cui al D.Lgs. 185/99, a quanto previsto dagli art. 1469 bis, III comma, n. 1 c.c., sulle clausole di limitazione della responsabilità, e dall’art. 1519 e seg. c.c. in tema di garanzie[35].
Note:
1 Lawrence Lessig, Free Culture – How big media uses technology and the law to lock down culture and control creativity, New York, The Penguin Press, 2004, pag. 277.
2 Sito web ufficiale del progetto Creative Commons: www.creativecommons.org.
3 Così da permettere ricerche basate sulle condizioni di utilizzo dell’opera. Per esempio attraverso un motore di ricerca potranno essere trovate tutte le versioni disponibili per utilizzi privi di fini di lucro di una determinata opera musicale.
4 I programmi in grado di riconoscere i metadata contenuti nelle versioni digitali delle opere licenziate sono moltissimi: media player, browser web, streaming client, ecc. Si pensi ad esempio al programma iCopyright, recentemente inserito tra i finalisti di un prestigioso premio americano per i migliori software del 2004. iCopyright è un plug-in gratuito che funziona per ora solo con il browser Microsoft Internet Explorer e serve ad identificare quale sia l’assetto dei contenuti di un sito dal punto di vista del diritto d’autore. In altre parole attraverso iCopyright, sfruttando appositi tag che devono essere stati inseriti nel codice html dagli autori dei siti, è possibile sapere quali siano le possibilità concesse dal detentore del copyright di utilizzare i contenuti di un determinato sito web. iCopyright è in grado di riconoscere contenuti distribuiti tramite licenze Cretive Commons. http://www.icopy-right.net/.
5 Sui contratti di licenza ne nostro ordinamento si veda Aldo Frignani, I contratti di licenza nel diritto italiano, in Il Diritto di Autore, 1979, pag. 516 e seg. In particolare, sul contratto di licenza nel diritto d’autore Laura Chimienti, Il diritto di autore nella prassi contrattuale, Milano, Giuffrè, 2003, pag. 30 e ss.
6 Il testo della licenza Creative Commons chiarisce inoltre che tali diritti potranno essere esercitati con ogni mezzo di comunicazione e in tutti i formati. Tra i diritti di cui sopra si intende compreso il diritto di apportare all’Opera le modifiche che si rendessero tecnicamente necessarie per l’esercizio di detti diritti tramite altri mezzi di comunicazione o su altri formati. Tutti i diritti non espressamente concessi dal Licenziante rimangono riservati. Creative Commons, Attribution, vers. 2.0 Italia, art. 3 in fine, reperibile all’indirizzo: http://creativecommons.org/licenses/by-/2.0/it/legalcode.
7 La versione italiana delle licenze Creative Commons ha però valore solo in Italia, come specificato dalla clausola iCommons presente in tutte le licenze in versione italiana, e va quindi letta alla luce della normativa italiana sul diritto d’autore. Se l’opera distribuita tramite una licenza in versione italiana viene utilizzata all’estero, troverà applicazione la versione internazionale delle licenze che deve essere interpretata a seconda del diritto d’autore nazionale dello Stato nel quale si domanda tutela, individuato sulla base delle regole stabilite dalla Convezione di Berna, qualora applicabile, e secondo la normativa sui contratti indicata dalle norme di diritto internazionale privato dello Stato in cui si intende far valere i propri diritti. AA.VV., Report on Substantive Legal Changes, pag. 6, punto 12, reperibile all’indirizzo: http://creativecommons.ieiit.cnr.it/SubstantiveLegalChanges_italiano.pdf.
8 Nonostante il licenziante si impegni a concedere la licenza per tutta la durata del diritto d’autore sull’opera senza revocarla, le condizioni contrattuali gli riservano il diritto di rilasciare l’opera sulla base dei termini di una differente licenza o di cessare la distribuzione dell’Opera in qualsiasi momento; fermo restando che, in ogni caso, tali decisioni non comporteranno recesso dalla presente Licenza […], e la presente Licenza continuerà ad avere piena efficacia, salvo che si verifichi una delle condizioni risolutive del contratto contemplate dalla licenza stessa. Creative Commons, Attribution, vers. 2.0 Italia, art. 7, lett. (b).
9 Qualora Tu [licenziatario, Nda] distribuisca, comunichi al pubblico, rappresenti, esegua, reciti o esponga in pubblico, anche in forma digitale, l’Opera […] devi mantenere intatte tutte le informative sul diritto d’autore sull’Opera. Devi riconoscere all’Autore Originale una menzione adeguata rispetto al mezzo di comunicazione o supporto che utilizzi citando il nome (o lo pseudonimo, se del caso) dell’Autore Originale, ove fornito; il titolo dell’Opera, ove fornito. Creative Commons, Attribution, vers. 2.0 Italia, art. 4b.
10 Creative Commons, Attribution, vers. 2.0 Italia, art. 4a.
11 Nella sezione dedicata alle “Definizioni” delle licenze Creative Commons, si definisce “Opera Derivata” un’opera basata sull’opera originaria ovvero su quest’ultima insieme con altre opere preesistenti, come una traduzione, un arrangiamento musicale, un adattamento teatrale, narrativo, cinematografico, una registrazione di suoni, una riproduzione d’arte, un digesto, una sintesi, od ogni altra forma in cui l’Opera possa essere riproposta, trasformata o adattata. Si chiarisce inoltre che la sincronizzazione di un’opera musicale con immagini in movimento è considerata come una forma di elaborazione. Creative Commons, vers. 2.0 Italia.
12 E cioè in una maniera tale che sia prevalentemente intesa o diretta al perseguimento di un vantaggio commerciale o di un compenso monetario privato. Creative Commons, Attribution – Noncommercial, vers. 2.0 Italia, reperibile all’indirizzo: http://creativecom-mons.org/licenses/by-nc/2.0/it/legalcode.
13 Abbiamo progettato la condizione di “utilizzo prevalentemente non commerciale” per aiutare le persone a trarre guadagno dal proprio lavoro, permettendogli sia di massimizzare la distribuzione (e quindi la diffusione ) delle proprie opere, sia di mantenere il controllo sugli aspetti commerciali del loro diritto d’autore. Creative Commons FAQ, reperibile all’indirizzo: http://www.creativecommons.it/main.php?page=faq.
14 Per esempio: Tizio pubblica sul proprio sito Internet una propria poesia con licenza CC Attribution – Noncommercial. Caio, titolare di un’agenzia pubblicitaria, è interessato ad utilizzare la poesia di Tizio per la realizzazione di uno spot, ma non può farlo senza il consenso di Tizio, stante il modulo Noncommercial. Tizio potrebbe allora negoziare con Caio la concessione dell’autorizzazione all’utilizzo richiesto in cambio di una somma di denaro.
15 Creative Commons, Attribution – Noncommercial, vers. 2.0 Italia, art. 4, lett. d, punto (i).
16 Le disposizioni riguardanti le opere musicali sono state modificate nella versione italiana delle licenze Creative Commons “in modo da conservare nella versione nazionale la funzione svolta nella versione internazionale della licenza”, AA.VV., Report on Substantive Legal Changes, op. cit., pag. 3, punto 6.
17 L’incompatibilità tra lo status di associato S.I.A.E. ed il rilascio delle proprie opere sotto licenza Creative Commons è del resto sottolineato anche nel Report on Substantive Legal Changes, documento che riassume problematiche affrontate e soluzioni adottate nel lavoro di traduzione e adattamento delle licenze Creative Commons all’ordinamento italiano. AA.VV., Report on Substantive Legal Changes, op. cit., pag. 8, punto 15. D’altra parte il Regolamento S.I.A.E., art. 3, stabilisce che “L’iscrizione comporta il conferimento alla Società del mandato per l’esercizio di tutti i diritti su tutte le opere di competenza delle sezioni per le quali l’iscrizione dispiega i suoi effetti in Italia ed in quei Paesi in cui esiste una sua rappresentanza organizzata. L’iscritto ha l’obbligo di dichiarare tempestivamente tutte le opere destinate alla pubblica utilizzazione sulle quali abbia od acquisti diritti.”. Alla luce di questa clausola, l’associato S.I.A.E. sarebbe obbligato ad affidare alla gestione della società di gestione collettiva anche le opere create successivamente alla sottoscrizione dell’associazione. Tale previsione regolamentare rischia però di essere considerata una forma di sfruttamento abusivo di una posizione dominante da parte della S.I.A.E., sulla scorta di quanto stabilito in materia dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee nella sentenza del 27 marzo 1974 nei confronti della S.A.B.A.M., società di gestione collettiva dei diritti belga. In tale decisione la Corte ha sancito il principio per cui il fatto che una società di gestione collettiva “imponga ai suoi membri obblighi non indispensabili al raggiungimento dello scopo sociale e tali quindi da limitare in modo iniquo il libero esercizio dei diritti d’autore, può costituire sfruttamento abusivo di posizione dominante”. In base alla decisone della Corte, che prende in considerazione clausole analoghe a quella qui considerata, dovrebbe essere ritenuto non incompatibile con lo status di associato S.I.A.E. la distribuzione con licenze Creative Commons di opere non affidate in gestione alla stessa S.I.A.E.
18 Per versioni “cover” di un’opera musicale si intendono le versioni frutto di interpretazione da parte di altri artisti. Tali versioni non costituiscono elaborazione dell’opera originale, purché ne lascino intatta la forma espressiva.
19 Si deve inoltre sottolineare che il titolare dei diritti patrimoniali sulle opere musicali che intenda distribuire, mediante licenza Creative Commons, i supporti fonografici contenenti la fissazione della propria opera, deve essere anche il produttore dei fonogrammi nonché l’artista interprete ed esecutore dell’esecuzione oggetto della registrazione fonografica, o aver ottenuto da tali soggetti la necessaria autorizzazione. In mancanza di tali requisiti, infatti, il titolare dei diritti sull’opera musicale non potrebbe autorizzare l’esercizio dei diritti connessi di cui sono titolari il produttore dei fonogrammi, ex art. 72 L.d.a., e gli artisti interpreti ed esecutori, ex art. 80 L.d.a., né rinunciare o riservarsi la riscossione dei compensi spettanti al produttore dei fonogrammi e agli artisti interpreti ed agli artisti esecutori stabiliti dagli art. 73 e 73-bis L.d.a.
20 Come per esempio l’equo compenso spettante all’autore di opere musicali, cinematografiche, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento nel caso di noleggio ai sensi dell’art. 18-bis, quinto comma, L.d.a., o nel caso di comunicazione al pubblico via etere, via cavo e via satellite e per ogni diverso utilizzo dell’opera in accordo con quanto stabilito dall’art. 46-bis, comma primo e secondo, L.d.a. Creative Commons, Attribution – Noncommercial, vers. 2.0 Italia, art. 4, lett. f.
21 Con il termine copyleft, traducibile in italiano con l’espressione “permesso d’autore”, si intende l’insieme delle condizioni contrattuali volte ad impedire che l’elaborazione di un’opera distribuita tramite una licenza che concede ampie facoltà ai fruitori dell’opera, come sono le licenze Creative Commons o la GNU GPL, porti alla realizzazione di opere derivate distribuite sotto altre forme di licenza più restrittive. Il termine è utilizzato in maniera più appropriata in riferimento alle licenze di software libero / open source. Sul punto si veda Marco Bertani, Guida alle licenze di software libero e open source, Milano, Nyberg, 2004, pag. 87 e seg.
22 AA.VV., Report on Substantive Legal Changes, op. cit., pag. 2, punto 4.
23 Clausola iCommons, Creative Commons, Attribution, vers. 2.0 Italia, art. 8, lett. f.
24 Infatti, trattandosi di contratti consensuali, il vincolo contrattuale si perfeziona con la manifestazione del consenso delle parti. Tale consenso nel nostro ordinamento può essere anche manifestato attraverso un comportamento univoco incompatibile, considerando il contesto, con una volontà contraria a quella da esso desumibile. SI veda in proposito Cass. Civ., 8/11/1983, n. 6591.
25 AA.VV., Report on Substantive Legal Changes, op. cit., pag. 4, punto 10.
26 In particolare si fa qui riferimento alle c.d. “shrinkwrap licence” o licenze “a strappo”, le quali prevedono che l’apertura dell’involucro della confezione contenente il CD-ROM del programma, un click con il mouse sul tasto “Accetto” posto in calce alle condizioni di licenza del software visualizzate durante l’installazione o anche il semplice utilizzo del programma costituiscano valide manifestazioni della volontà negoziale. Anche nell’ipotesi che, a certe condizioni, lo possano essere, questo non fa venir meno la necessaria approvazione per iscritto delle clausole vessatorie contenute nelle condizioni di licenza, le quali resterebbero altrimenti senza efficacia. In questo senso Carlo Rossello, I contratti di informatica nella nuova disciplina del software, Milano, Giuffrè, 1997, pag. 78 e seg. ed Emilio Tosi, I contratti di informatica, Milano, Pirola, 1993, pag. 167.
27 “This License and the rights granted hereunder will terminate automatically upon any breach by You of the terms of this License.” Creative Commons, Attribution, vers. 2.0 Internaz., art. 7, lett. a, reperibile all’indirizzo: http://creativecommons.org/licenses-/by/2.0/legalcode.
28 Rodolfo Sacco, I rimedi sinallagmatici, in Trattato di diritto privato, Torino, UTET, 1990, vol. X, pag. 530. Nello stesso senso si è espressa la Suprema Corte: “le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate”, Cassazione Civile, 23 maggio 1985, n. 3119.
29 Cassazione Civile, 8 luglio 1987, n. 5956.
30 In favore della possibilità delle parti di stipulare una clausola risolutiva automatica si è invece espresso C. Massimo Bianca, La responsabilità, in Diritto civile, Milano, Giuffrè, 2000, pag. 318.
31 Creative Commons, Attribution, vers. 2.0 Italia, art. 7, lett. a.
32 AA.VV., Report on Substantive Legal Changes, op. cit., pag. 5, punto 11.
33 Art. 1469-bis, II comma, c.c.
34 Art. 1469-bis, II comma, c.c.
35 AA.VV., Report on Substantive Legal Changes, op. cit., pag. 7, punto 14.